“Se l’Autore non avesse affrontato con perseveranza, a fine giornata, la scrittura del suo Diario, ci mancherebbe questa bella storia di un’amicizia con Dio in Cristo, nello Spirito Santo, e allo stesso tempo di vicende sinodali vissute dal di dentro, in un posto di straordinario servizio e di visione complessiva delle cose”. È una delle osservazioni che l’arcivescovo Agostino Marchetto esplicita nella sua presentazione del volume da lui curato Il “Diario” conciliare di Monsignor Pericle Felici, che riunisce gli scritti del segretario generale del Concilio Ecumenico Vaticano II. Un libro di 600 pagine, che “permette di conoscere finalmente, dopo 50 anni dalla chiusura del Concilio, una fonte per me decisiva, sebbene non ufficiale, che acquista un posto particolarissimo di rilievo fra i molti Diari finora pubblicati”, spiega monsignor Marchetto.
Eccellenza, possiamo brevemente contestualizzare il ruolo e l’importanza di monsignor Pericle Felici nella storia del Concilio Ecumenico Vaticano II?
Basta leggere il regolamento conciliare per renderci conto del ruolo chiave avuto in Concilio da mons. Felici; la lettura del suo “Diario” poi ce lo conferma ampiamente, suscitando meraviglia per la vastità, laboriosità, profondità e delicatezza del suo impegno. Da ciò l’importanza della funzione e il suo contributo nella soluzione delle questioni, sempre secondo l’indirizzo papale. In effetti con i due Papi del Concilio, S. Giovanni XXIII e il Beato Paolo VI, con i quali il Segretario generale ebbe con il passare del tempo “incontri di tabella” settimanali.
Ricorderò soltanto la sua proposta che la direzione del magno Sinodo fosse affidata a 4 o 5 Eminentissimi, il suo schierarsi per la questione famosa dei quesiti circa la collegialità e il diaconato da sottoporre ai Padri, con la distruzione delle prime schede preparate dai Moderatori. Inoltre tutto il prodigarsi per una collegialità che non ferisse il Primato del Successore di Pietro.
Vanno rivelate altresì una mediazione sul “De Beata”, una decisione circa la scelta della formula di conferma papale dei documenti finali del Vaticano II, nonostante quanto affermato finora da molti. Paolo VI affida poi al Segretario generale sempre più gravi incombenze, con il passare del tempo e con il crescere della fiducia e per la generosità di Mons. Felici nell’adempiere i compiti affidatigli. Così egli deve “seguire” periti ed esperti. Da seguire è altresì il nuovo organismo (“Consilium”) per la Liturgia. Felici dovrà presentare un progetto di strutturazione delle Conferenze episcopali e uno studio sul celibato.
Per quanto riguarda la questione della condanna del comunismo e del relativo ricorso di Mons. Carli, è la proposta di soluzione del Segretario generale ad essere accettata dal Pontefice e da tutti. Significativo è pure quanto Felici suggerisce a Paolo VI, il 05/05/1965, cioè di “lasciare gli organi direttivi del Concilio già come sono; solo si dovrebbe raccomandare ai Moderatori di essere veramente tali; non dovrebbero prendere posizione per questa o quell’altra tendenza, né esprimere opinioni personali. E il Santo Padre è d’accordo; è il suo pensiero”.
Con l’avvicinarsi poi della fine del Concilio già vi è uno scambio di vedute del Papa con Felici per la fase post-conciliare. Come appendice aggiungo che all’Autore del Diario è affidata altresì l’attuazione del “progetto” Synodus Episcoporum, anche se egli sottolinea la problematica che gli suscita, nonché la stesura finale del suo regolamento, pur aiutato da una piccola Commissione.
Profitto per confermare il mio giudizio storico sui due Pontefici del Concilio che vi stanno molto bene insieme e hanno operato per la sua riuscita, ciascuno certo con la propria fisionomia per l’aggiornamento, la riforma, il rinnovamento ecclesiale, ma non certo nella linea della rottura, sebbene nella continuità dell’unico soggetto Chiesa.
Il volume segue una scansione cronologica dal 1958 al 1967. Quali novità che si apprendono da questo lavoro?
In genere i giornalisti vogliono le novità, occorre rilevare anche le continuità. È in fondo, del resto, l’errore di molti nella interpretazione proprio del Vaticano II in cui si dimentica che esso è stato di riforma, di rinnovamento, nella continuità dell’unico soggetto Chiesa, e non nella rottura, nella discontinuità. Ma veniamo alle nuove acquisizioni storiche che si possono trovare ora, dopo questa pubblicazione, che fanno superare una non esatta “vulgata” del magno Sinodo.
D’inizio si tratta del cammino percorso nella preparazione del Concilio seguito da chi ne ha tenuto in mano le fila organizzative, e poi per la nomina del suo Segretario generale, per la formazione delle Commissioni, incaricate della stesura dei documenti preparatori, ecc., ed inoltre la grande confidenza e l’affetto fra l’autore e Papa Giovanni. Vi fu per lui obbedienza, e devozione. La malattia del Card. Tardini causò poi rapporto sempre più diretto e frequente con il Pontefice che confida a Felici: “i nostri caratteri si incontrano ed è un bene per il concilio”. Nel ’61 (20/6) il Papa gli aveva intimato: “Aiutiamoci a vicenda. Facciamo come nel coro: prima canta uno, e mentre questi riposa, canta l’altro”. Ormai verso la fine della vita, gli farà comunicare che “il Papa apprezza lui e il suo lavoro”, aggiungendo: “Anch’io lavoro per il Concilio, anche e soprattutto adesso” (25/5/63). Scendendo all’analisi, più in dettaglio, nel contesto del procedere sinodale, dal “Diario” risulta essere stato il Card. Tardini a proporre che i Presidenti delle Commissioni Preparatorie fossero i Prefetti delle varie Congregazioni curiali, mentre Mons. Dell’Acqua farà aggiungere una Commissione dei Laici. Comunque il Papa non vuole che i Segretari di tali Congregazioni lo siano delle Commissioni stesse.
Dal “Diario” emerge chiarissima la soddisfazione di Papa Giovanni per il lavoro di preparazione al Concilio compiuto dal Segretariato guidato da Mons. Felici.
Già il 3/1/62 infatti il Vescovo di Roma aveva annunciato a Felici che egli sarebbe stato il Segretario generale del Concilio. Comunque tutti i testi del ’60 rivelano un grande intendimento fra i due e la benevolenza e predilezione del Sommo Pontefice. Ma la nomina è resa pubblica solo contemporaneamente al Motu Proprio di indizione del Concilio. Da segnalare è il fatto che il Sommo Pontefice il 21/5/62 esprime chiaramente la sua volontà che gli schemi preparatori, sui quali porrà delle note a commento (25/7/62), siano pastorali.
La data di inizio è decisa il 28/1/62, ma invero già l’11/4/61 il Papa aveva menzionato l’autunno ’62. Felici pensa di fatto a tre sessioni, mentre il Papa ne desidera due, auspicando la chiusura del Vaticano II in coincidenza con la celebrazione dell’anniversario del Concilio di Trento.
Intanto ecco il giorno di apertura del Concilio che il Segretario generale descrive con molta semplicità (11/10/62). Al termine della prima sessione, il Papa ha uno sguardo positivo sul magno Sinodo e rassicura, nonostante la difficoltà iniziale della votazione sugli elenchi dei componenti le Commissioni conciliari. Ma arriva purtroppo anche la fine, nella figura di questo mondo, del pontificato giovanneo. Il nuovo Papa accoglie Felici con un significativo: “Io ho in lei piena fiducia” e gli affida sempre più gravi incombenze.
Sulla Divina Rivelazione varrà ricordare inoltre una costante di Papa Paolo VI, come risulta dal Diario, e cioè la sua volontà che lo schema parli di più e più chiaramente della Tradizione come fonte costitutiva della Rivelazione stessa.
Potremmo anche rilevare l’accoglienza, definirei cordiale, un apprezzamento da parte di Felici della riforma liturgica conciliare, di un grande latinista come lui.
Per Felici peraltro “Forse nessun Concilio
ha avuto una fine così bella e promettente”. È nota finale di speranza che equilibra altri giudizi alquanto pensierosi, diciamo così.
Non mancano, da parte di monsignor Felici, accenni a “pressioni e angustie giornaliere”, che denotano la fatica di condurre in porto i lavori conciliari…
Sì, le difficoltà non mancano al Segretario generale, a cominciare con quella della salute. Avvisaglia già ne ebbe a metà del 1961, legata alla sua funzione, per trovarsi quasi solo a prendere decisioni e sentendone la responsabilità. Di conseguenza soffre di timori e ansie, di angustie e preoccupazioni. Sono dovute ad astenia nervosa. Non mancano quindi nel “Diario” i suoi propositi spirituali adattati alla situazione di esaurimento nervoso, per lottare altresì contro la tristezza.
Ancora angustie di spirito, scrupoli, ansietà, sistema nervoso che rimane scosso, esitazioni e dubbi sono da lui segnalati. Mons. Felici è stato dunque sottoposto a dure prove durante il magno Sinodo, ma molto lo ha sostenuto la sua spiritualità, manifesta chiaramente durante la stesura di tutto il suo “Diario”. La si può leggere alla luce di quanto gli attesta Giovanni XXIII: “chi sa sopportare ogni giorno la sua piccola pena, può veramente paragonarsi a coloro di cui si raccontano le grandi penitenze”.
E tutto questo è vissuto all’interno della Curia, che l’Autore mostra di conoscere bene nelle sue malattie e intossicazioni, cioè la superbia, l’arrivismo, le ambizioni.
Dunque la visione della Curia nel Diario non è idilliaca poiché risultano evidenti le sue “malattie”, indicate recentemente dallo stesso Papa Francesco. Esse sono spesso rilevate, con dolore, da Felici, cioè, ripetiamo, invidia, gelosia, corsa ai posti di “comando”, carrierismo insomma.
Le difficoltà furono tali che sorse in lui perfino la tentazione di dimettersi (7/5/62). Il Papa gli rispose “Per carità no, non ci pensi neppure”.
A completamento indicativo, ricordo un altro “sfogo” di Felici affidato al Diario per quanto concerne l’accusa a lui rivolta di essere “il manutengolo della Curia Romana”. “Se sapessero costoro – si lagna fra sé e sé – quanto ho dovuto soffrire per alcuni suoi Prelati”! E aggiunge “se la campagna [denigratoria] continuerà potranno cambiarmi mestiere e ne ringrazierei Iddio”.
Emerge anche l’aspetto spirituale di una “bella storia di un’amicizia con Dio, in Cristo”, che rivela un “grande animo sacerdotale”.
L’Autore rivela nel suo “Diario” una profonda spiritualità, potrei aggiungere tradizionale a spiritualità, con aggettivo che nulla toglie a profondità e autenticità, anzi. Egli spesso si analizza per quanto riguarda la tentazione della superbia. Manifesta un proposito fermo: “Voglio vivere in umiltà: soggetto sempre al tuo volere, accettando fin d’ora la morte, quando e come tu la vorrai, in perfetto atto di amore; lavorando con tutto l’impegno dove tu vorrai. Per bocca del tuo Vicario mi hai assegnato il lavoro; lavorerò come meglio potrò”.
Si badi bene che tutte queste felici disposizioni spirituali furono messe a dura prova durante il Concilio anche per le difficoltà di salute.
Spiritualità tradizionale la sua? Egli stesso si esamina (21/6/64), osservando quasi con distacco: “Talora io penso come possa essere toccato a me l’ufficio di Segretario del Concilio Ecumenico. Un po’ per carattere, un po’ per formazione, un po’ per ministero esercitato con certi orientamenti, io mi trovo a condividere nella dottrina e nella pratica alcune posizioni che si è convenuto chiamare tradizionali, pur guardando con serenità – così mi sembra – a delle aperture, che possono migliorare gli spiriti e renderli più adatti alla diffusione del vero e del bene”.
In ogni caso il Segretario generale ha coscienza d’aver “parlato con molta franchezza con tutti, con il Papa anzitutto, il quale penso abbia apprezzato molto il mio atteggiamento, che sicuramente non può procurare altro che tensione nervosa, fastidio ed inimicizie” (4/12/63). Comunque è certo il fatto che Paolo VI gli affida sempre più gravi incombenze. Ecco dunque l’uomo in croce.
Un ultimo tratto da rilevare viene dalla considerazione della pastoralità di Mons. Felici, lui che dimostra tenere così tanto alla dottrina. Scrisse: “Soprattutto devo pensare che sono qui sulla terra non per dormire, ma per trafficare con un’ampia e intelligente negoziazione i tesori che il Signore mi ha affidati. Il pensiero dell’inferno è salutare; devo meditarlo spesso e predicarlo” (06/10/60).
E ora che dire? Cinquant’anni dopo possiamo legittimamente domandarci: come ci troveremmo senza la bussola del Concilio nel periglioso mare di questo inizio di III millennio? Da ciò nasce in noi l’amore riconoscente al Concilio Ecumenico Vaticano II, quello vero, dei Padri.
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Gli Autori
Pericle Felici. Nato a Segni (Roma), il 1° Agosto 1911, ordinato presbitero il 28 ottobre 1933 e vescovo il 28 ottobre 1960, cardinale dal 29 giugno 1967, morto a Foggia il 22 marzo 1982. Il Segretario del magno Sinodo aveva affidato al suo collaboratore mons. Carbone, in caso di morte improvvisa, i suoi “segreti”, indicandogli il “nascondiglio” che per essi aveva escogitato: il fondo di un inginocchiatoio, chiuso nella parte inferiore. E così infatti Mons. Carbone li trovò e cominciò a studiarne il contenuto.
Vincenzo Carbone. Nacque il 27 giugno 1920 a Mercogliano e fu ordinato sacerdote il 27 giugno 43 nel Santuario di Montevergine, Abbazia nullius (Avellino). È morto a Roma il 13 febbraio 2014. Si deve a lui, che è stato per tantissimi anni incaricato dell’Archivio del Concilio Vaticano II, se abbiamo quel tesoro di pubblicazione che sono le Fonti ufficiali del magno Sinodo Vaticano, in 63 grossi tomi, quasi tutti in latino.
Agostino Marchetto. Curatore dell’Opera, dopo anni di studi critici sul Medio Evo, il suo interesse storico si rivolge dal 1990 alla storia contemporanea, e più concretamente al Concilio Ecumenico Vaticano II, su indicazione di mons. Michele Maccarrone, suo docente alla Università Lateranense. Da ciò l’incontro, l’interessamento e l’aiuto a mons. Carbone, nonché lo scambio di studi e di opinioni e punti di vista sul magno Concilio.