Logo of the networking protocol https and the www letters

WIKIMEDIA COMMONS

Michele Mezza: capire la rete per capire il futuro

I fattori di rischio del mondo digitale nelle riflessioni di uno dei maggiori esperti italiani del web

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Reuters Report: le principali piattaforme per la fruizione delle notizie in Italia sono Facebook per il 57%, a seguire YouTube col 23%, poi WhatsApp con il 13%, davanti all’11% di Google e al 10% di Twitter.

Questa scritta luminosa, esemplificativa della rivoluzione in atto nel mondo dell’informazione, campeggiava sullo schermo del centro dibattiti della FNSI, Federazione Nazionale Stampa Italiana, durante la presentazione del libro Giornalismi nella rete (sottotitolo: Per non essere sudditi di Facebook e Google) di Michele Mezza (2015, Donzelli Editore).

La presentazione del libro, tenutasi a Roma il 29 settembre, è stata l’occasione per riflettere sui mutamenti in corso e prefigurare le linee di sviluppo del futuro. Perché – è questo l’elemento centrale emerso dal dibattito – siamo nel pieno di un processo in atto. Sul mercato si sono affermati alcuni grandi protagonisti – primi fra tutti: Google e Facebook – ma i giochi sono ancora aperti, sia in relazione al progresso tecnologico che alle scelte politiche degli Stati nazionali (ed in particolare del colosso cinese).

Raffaele Barberio, direttore di Key4biz, il più avanzato quotidiano online sulla “digital economy” e la cultura del futuro, ha svolto il ruolo di moderatore dell’evento e ha coordinato con maestria gli interventi dei qualificati relatori: Anna Del Freo, segretario generale aggiunto della FNSI, sindacato dei giornalisti italiani; Fabrizio Carotti, direttore generale della FIEG, federazione degli editori di giornali; Vittorio Di Trapani, segretario dell’USIGRAI, sindacato dei giornalisti RAI; Antonio Nicita, commissario AGCOM, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Michele Mezza, giornalista di lungo corso, già inventore di Rainews24 e vicedirettore di RAI International (attualmente insegna “culture digitali” presso l’Università Federico II di Napoli), ha preso per primo la parola illustrando il tema centrale del suo libro: dove va l’informazione e dove vanno coloro che fanno informazione, in un’epoca in cui vince la velocità e ai tradizionali media si sostituiscono le piattaforme. “È in corso una straordinaria ‘mediamorfosi’ – ha spiegato Mezza adottando un efficace neologismo –, i vecchi mediatori sono stati emarginati ed è emerso un mediatore unico: l’algoritmo, ossia il procedimento sistematico di calcolo adottato dai computer. E questo rappresenta un fattore di rischio, soprattutto per le nuove generazioni che sono prive di memoria storica…”.

“Abbiamo passato dieci anni a discutere sulla carta stampata – ha continuato Mezza – e oggi siamo impegnati a discutere sul web pensando di poterlo codificare in una formula statica. Non è così. Internet non è un dato acquisito, ma un flusso in movimento. È svanita una ‘categoria filosofica’: l’impaginazione. Le testate giornalistiche, incluse le più celebri (New York Times, El País, Le Monde, ecc.), stanno diventando ‘portatori d’acqua’, ‘pony express’ delle grandi piattaforme web. Le notizie diventano un immenso ‘database’, e Facebook e Google decidono come impaginarle e come indicizzarle. È quindi ovvio che, dalle loro scelte, dipende l’incidenza sociale delle notizie stesse”.

“Stiamo assistendo ad un singolare paradosso – ha continuato Mezza –, i giornali arrancano ma il giornalismo sta diventando il motore del mondo. Possiamo capire questo fenomeno solo se non ci chiudiamo nello schema del ‘giornalismo delle notizie’. C’è una forma di giornalismo enorme che si propaga ovunque: attraverso l’associazionismo, le istituzioni, i mille attori sociali delle società avanzate. È un giornalismo che dobbiamo essere capaci di intercettare, se vogliamo capire il dinamismo in atto. E questa capacità dovrebbe averla soprattutto lo Stato, se vuole governare i processi in corso”. A tale proposito, Michele Mezza ha ricordato la funzione della RAI affermando che oggi la nozione di “servizio pubblico” non dovrebbe qualificarsi solo per la capacità di produrre contenuti, ma soprattutto per la capacità di essere “un presidio culturale del Paese”.

Anna Del Freo ha spiegato che, in questi anni, il sindacato ha dovuto fare i conti con una gravissima crisi che l’ha obbligato più a gestire l’esistente che a guardare al futuro: “Dal punto di vista sindacale, il giornalista è tale a prescindere dalla piattaforma che usa. La professione giornalistica offre comunque un valore aggiunto, una capacità critica di rielaborazione dei contenuti che conserva il suo peso anche nei nuovi media”.

Vittorio Di Trapani ha condiviso il grido d’allarme lanciato da Mezza sottolineando che “il confine è diventato il mondo”. Ma nonostante questo, “la Tv non è morta né sta per morire, e il servizio pubblico ha grandi opportunità di sviluppo nella misura in cui saprà svolgere un ruolo di guida”. In tale prospettiva, il segretario USIGRAI ha proposto una grande alleanza fra i servizi pubblici europei, perché – ha concluso – “se rimaniamo agganciati al testo, ci perdiamo il contesto”.

Fabrizio Carotti della FIEG ha spiegato che gli editori stanno cercando di contrastare un “abuso di posizione dominante” da parte di Google, detentore, oltre che del celebre motore di ricerca, anche di YouTube, Android e del browser più diffuso. Un problema amplificato dall’impossibilità di stabilire un’equa tassazione, perché non è dato di conoscere gli introiti pubblicitari di Google in Italia: cosa che determina una evidente “distorsione della concorrenza”. Gli editori da un lato vorrebbero combattere, ma dall’altro sono obbligati a fare accordi. L’algoritmo – ha detto Carotti, condividendo il giudizio di Mezza – condiziona ormai la nostra vita, inclusi i nostri Governi.

Nel dare la parola al commissario AGCOM Antonio Nicita, il moderatore Raffaele Barberio ha osservato che se il digitale può facilitare la creazione di centri di potere, al tempo stesso si contrappone al “pensiero unico” perché cambia più velocemente della realtà fisica. Legiferare sulla rete è difficile – ha ammesso Nicita – perché è vero che tendono a costituirsi dei monopoli, ma la rete è anche un baluardo della libertà d’informazione. Occorre risolvere la contraddizione concettuale fra il mercato dei beni e il mercato delle idee. Per i beni si ritiene che il consumatore debba essere tutelato, mentre per le idee questa esigenza non è altrettanto avvertita. “Il compito dell’Autorità resta quello di difendere il pluralismo su tutti i mezzi d’informazione, inclusi quelli digitali”, ha concluso Nicita.

Dopo il saluto dell’editore Donzelli, che ha rivendicato l’importanza degli operatori culturali di nicchia, ha ripreso la parola Michele Mezza citando un pensiero del sociologo Bauman: “Digital divide non significa non avere un computer sulla scrivania, ma non saper contribuire alla produzione di senso”.

“A fine ‘800 – ha concluso Mezza – la classe operaia negoziò il rapporto fra il lavoro e la fabbrica, e questo ci ha dato un secolo di civiltà. La tecnologia si afferma sempre in ragione di una domanda sociale: se Facebook ci propone una forma di flusso, noi dobbiamo contrapporre un flusso di tipo diverso. Dobbiamo negoziare l’algoritmo: se si automatizza il pensiero, abbiamo il diritto di sapere come si svolge questo processo…”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Massimo Nardi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione