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Matrimonio, Famiglia e Diritto naturale: uno sguardo ai diritti e ai doveri

Nel suo saggio edito da San Paolo, il giurista Alberto Gambino invita a guardare verso il Sinodo, con la consapevolezza della responsabilità di credenti e di testimoni

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È uscito la scorsa settimana, in allegato a Famiglia Cristiana, il saggio di Alberto Gambino, professore di Diritto Privato e di Filosofia del Diritto all’Università Europea di Roma. Edito da San Paolo, Matrimonio, Famiglia e Diritto naturale: uno sguardo ai diritti e ai doveri è il III volume della collana Questioni di Famiglia.

L’autore passa in rassegna l’istituzione familiare e quella matrimoniale, alla luce della volontà dei padri costituenti e dell’evoluzione del pensiero giuridico sulla famiglia, legato alle nuove norme in materia di divorzio e alle diverse risposte che i singoli Stati e l’Europa hanno dato alla richiesta delle coppie omosessuali di contrarre un vincolo eguagliabile al matrimonio. Attraverso la riflessione su casi giudiziari concreti e sulle ripercussioni che questi hanno avuto negli ultimi anni, l’autore aiuta il lettore a fare chiarezza nell’attuale dibattito sull’opportunità o meno di muoversi su diversi fronti: aprire l’istituzione matrimoniale a coppie dello stesso sesso, pensare a un legame giuridico che possa soddisfare le coppie che vogliono convivere senza sposarsi, consentire l’adozione al di fuori del matrimonio. In particolare, la riflessione di Gambino si rivolge al credente, che vuol intervenire nel dibattito con maggiore consapevolezza e conoscenza anche delle basi giuridiche del matrimonio e della famiglia.

«L’adesione richiesta al credente nei confronti del dato sociale in continua evoluzione» si legge nell’introduzione, «è però, per dirla con un’efficace e fortunata espressione di Philipp Heck, un’adesione (non cieca, ma) “pensosa”, “riflessiva”, e cioè costantemente attenta a cogliere le opzioni di ordine valutativo e tenerne adeguatamente conto anche nella soluzione dei casi non espressamente regolati. L’idea che va respinta è quella secondo cui la complessità sociale e il pluralismo dei valori abbiano messo ormai definitivamente in crisi qualsiasi aspirazione a cercare il senso del “giusto”. Perché proprio qui – e forse solo qui – si misura il contributo del laico credente impegnato nella costruzione di un “bene” che da personale si fa comune».

Il libro si apre con la questione del riconoscimento di diversi modelli legali di convivenza. Se da un lato «le statistiche in tema di famiglia mostrano un sensibile calo della scelta di rendere ufficiali i vincoli affettivi e il corrispondente aumento della scelta di instaurare legami precari» dall’altro una nuova «tendenza comporta un riformismo “ideologico”, che da azione politica di tutela e protezione delle fasce deboli della società sposta il tiro sull’accondiscendenza a élites culturali che individuano il progresso del XXI secolo nell’annullamento della “dimensione naturale” delle relazioni umane. Il tema dell’adozione per le coppie gay è, in questo senso, centrale: non più una mamma e un papà per il bambino in formazione».

Ma che cos’è la Famiglia? Il secondo capitolo analizza l’istituzione familiare come fonte di diritti e doveri: l’obbligo per i coniugi della reciproca fedeltà e dell’assistenza morale e materiale; la responsabilità genitoriale condivisa, che vale anche nel caso in cui i due genitori non siano uniti in matrimonio e si può estendere a seconda dei casi anche a un eventuale nuovo coniuge e in parte ai nonni. Il capitolo si conclude con una riflessione sull’attuale crisi del rapporto coniugale. «Un istituto millenario come il matrimonio, su cui si sono fondate tutte le grandi civiltà e le moderne democrazie – scrive l’autore – rappresenta un impegno importante dei consociati davanti alla comunità e il suo eventuale scioglimento dovrebbe essere ponderato, anche con il decorso di un tempo ragionevole».

Il divorzio breve pare essere stato introdotto per ridurre i tempi di attesa e le spese giudiziarie. Questo ha significato, però, un cambiamento del significato e del valore della separazione che era piuttosto un periodo di verifica del matrimonio, al fine di  «tutelare l’interesse superiore all’unità familiare». «Sembra quasi che la soluzione ai problemi relativi alla crisi matrimoniale e allo scioglimento del vincolo si ottenga con l’accorciamento dei termini di durata della separazione. L’istituto della separazione non è stato pensato dal legislatore quale passaggio procedimentale per giungere ineluttabilmente al divorzio, ma come fase “temporanea” che potrebbe dar luogo anche a una riconciliazione tra i coniugi».

Soggetti di diritti all’interno della famiglia, non sono solo i coniugi ma anche i figli. Dove si vanno affermando «tendenze, specie in ambito giudiziario, che mirano a legittimare nuove strutture familiari, in cui svanisce la distinzione antropologica tra uomo e donna, tra madre e padre» e «i conviventi seguono quelli che sono i loro desideri e bisogni, anche quello di adottare un figlio, bisogna tenere presente che vi è un “terzo incomodo”: il bambino stesso che ha dei diritti, a volte trascurati, che non sono quelli di avere davanti a sé, nella fase più delicata della sua vita, due uomini o due donne che lo allevano, ma il diritto, invece, di vedere rappresentato ciò che è naturale, e cioè di relazionarsi con due figure genitoriali, una maschile e una femminile».

In questo contesto culturale, istituti come l’adozione “mite” e l’affido etero-familiare, che erano «previsti dal legislatore per la protezione del bambino in circostanze in cui non sia possibile dichiararne l’adozione piena […] nelle mani di una giurisprudenza creativa, finiscono per snaturarsi e realizzare il diverso interesse dell’adulto a conferire stabilità e riconoscimento giuridico a vincoli affettivi preesistenti a coppie omosessuali». Un paragrafo del terzo e ultimo capitolo è dedicato al tema della fecondazione medicalmente assistita. «Con la sentenza n. 162 del 2014, la Corte costituzionale ha deciso di estirpare dalla legge 40 sulla procreazione assistita una delle norme più caratterizzanti, quella che precludeva alla coppia di accedere al gamete di un donatore esterno; e ha dichiarato l’illegittimità della disposizione che vieta il ricorso a un donatore esterno di gameti (ovociti o spermatozoi) nei casi di infertilità assoluta […]Il divieto di fecondazione eterologa aveva il pregio di mantenere intatta una visione della famiglia secondo la quale il dato biologico coincideva con il dato sociale.

Il ricondurre le tecniche di fecondazione artificiale nell’ambito dei soggetti che convivono quotidianamente con il figlio era un modo per lasciare inalterato il rapporto tra padre e madre naturale e padre e madre sociale. Due sole figure genitoriali. La caduta del divieto dell’eterologa apre invece a un terzo soggetto: il donatore esterno, estraneo alla famiglia, ma che entra dal punto di vista biologico a farne parte. Una pronuncia che quindi scardina la concezione della famiglia come modellata dalla Costituzione e a risentirne sono in particolare gli artt. 29 e 30 della Carta costituzionale, il primo già vittima di un attacco con l’apertura della legge 40 anche a coppie non sposate, il secondo perché la sentenza ribalta la centralità dell’interesse del figlio sulla quale sembra prevalere il già citato presunto diritto alla genitorialità.

Un presunto “diritto”, appunto. Occorre cioè chiedersi se un desiderio, seppur eticamente condivisibile, come quello della generazione di un figlio, può assurgere al rango di diritto, ossia di pretesa tutelata coercitivamente dall’ordinamento di uno Stato. La famiglia, in altri termini, non è più un dato oggettivo, una comunità pronta ad accogliere figli, ma nella nuova concezione che forse – ed è bene sottolineare il “forse” – ha sposato anche la Consulta, appare strutturarsi come proiezione di ciò che i conviventi desiderano che sia».

Il libro di Alberto Gambino ci porta a guardare verso il Sinodo, ormai prossimo, con la consapevolezza della responsabilità che grava s
ulle spalle dei Padri sinodali e sulle nostre, in quanto credenti, che abbiamo il dovere di testimoniare e far luce sulle questioni che riguardano la famiglia e il matrimonio. «Il credente» scrive ancora Gambino, «deve saper leggere le modalità della vita d’oggi, deve rispettare le regole che presiedono alla convivenza civile e alla organizzazione sociale e politica, e – scendendo in profondità – deve produrre un chiarimento sull’idea di uomo e di società alla luce della ragione e della fede. È questa “un’operazione complessa che deve coinvolgere tutti i credenti”, chiamati a discernere e ad agire, certamente sotto l’animazione e la guida dei pastori, ma anche mettendo in gioco la loro tipica responsabilità e le loro specifiche competenze ed esperienze di vita».

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ZENIT Staff

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