«Bisogna fare in modo che se si hanno ricchezze esse servano al bene comune. Un’abbondanza di beni vissuta in modo egoistico è triste, toglie speranza ed è all’origine di ogni genere di corruzione».
Al male che ammorba di sé la vita dei singoli e quella dello Stato Papa Francesco ha dedicato, durante la messa mattutina di qualche giorno fa in Santa Marta, un’omelia profonda e sincera, nella quale ha ammonito: «L’attaccamento alle ricchezze è l’inizio di ogni genere di corruzione, dappertutto. Quelli che vivono attaccati al proprio potere, alle proprie ricchezze, si credono nel paradiso. Sono chiusi, non hanno orizzonte, non hanno speranza. Alla fine dovranno lasciare tutto».
Che il benessere corrompa è possibilità concreta e reale: l’abbondanza, che crea un’apparente felicità, intacca la coscienza rendendola amorale, colpisce la mente ottundendola e ferisce il cuore inaridendone progressivamente la sensibilità. I sapienti hanno sempre ricordato che occorrono grandi virtù per sopportare la buona fortuna più che la cattiva: la prova materiale che si esprime nella povertà, nella sofferenza, nella miseria, può infatti temprare lo spirito e rendere l’animo più nobile e forte. Ma con sconforto si deve riconoscere che col passare dei secoli la cattiva erba della corruzione, del malgoverno, dell’ingiustizia resiste a tutti i diserbanti, anzi pare che venga rinvigorita. E se dal singolo si passa alla comunità, le cose non cambiano, anzi risultano aggravate da situazioni paradossali. Come quella delle leggi, che dovrebbero essere per definizione fonte di legalità, ma sono talmente numerose ed a volte in contrasto da risultare impossibile contarle ed applicarle in modo corretto. «Corruptissima res publica, plurimae leges», osservava già Tacito: «Le troppe leggi sono indice di uno Stato molto corrotto». Non basta, infatti, sfornare leggi per migliorare la moralità. Al contrario, accade che ad aumentare sia l’astuzia per evaderle, facendo così prosperare non solo gli avvocati, ma anche i trafficanti di tangenti, di inganni, di corruzioni.
È necessario per tutti un ritorno non solo alla legalità in senso lato e alto, ma in senso spicciolo e quotidiano: insozzare le vie, imbrattare i muri, devastare ambiti e mezzi pubblici, non rispettare le norme del traffico, abdicare alle regole del vivere comune, della cortesia e del rispetto reciproco non sono soltanto comportamenti disdicevoli a livello sociale e civile, lo sono ancor prima sotto il profilo morale e religioso. È per questo che, come si educa a superare l’immoralità della violenza, delle violazioni delle leggi, della ricchezza di tanti nelle mani di pochi, così si deve combattere con fermezza l’evasione fiscale, la noncuranza nei confronti dei codici, la vocazione dei doveri civici di base.
È questa l’unica strada per migliorare anche lo Stato: ciascuno faccia quello che deve e tutto andrà per il meglio. «Se le navi vanno generalmente meglio degli Stati», annotava arguto Massimo D’Azeglio, «ciò accade per la sola ragione che in esse ognuno accetta la parte che gli compete, mentre negli Stati, generalmente, meno se ne sa, e più si ha smania di comandare».