Le previsioni avevano ragione: la conferenza straordinaria che ha riunito ieri a Bangkok i rappresentanti di 17 nazioni e organizzazioni internazionali, per discutere dell’allarme “boat people” nel sud est asiatico, non ha portato ad alcun risultato utile. Quello che “doveva essere un momento di responsabilizzazione e di coordinamento delle nazioni coinvolte dai flussi migratori da Myanmar e Bangladesh”, riferisce la Radio Vaticana, “ha invece evidenziato contraddizioni e limiti, nonostante dichiarazioni di disponibilità”.
L’emergenza degli immigrati di etnia rohingya – denunciata anche dal Papa in una Messa a Santa Marta – rimane dunque ancora senza soluzione, nonostante abbia raggiunto “livelli allarmanti”, come confermato dal ministro degli Esteri thailandese, Thanasak Patimaprakorn, che ha aperto ieri il vertice. “Nessuno stato può risolvere questo problema da solo”, ha detto Thanasak, incitando ad “affrontare le ragioni che spingono queste persone a migrare”. Proprio ieri, al largo delle coste birmane, sono stati recuperati quasi 730 migranti, tra cui numerosi bambini.
Nell’assise di ieri, i governi di Malaysia e Indonesia hanno confermato la loro disponibilità ad accogliere i profughi, limitando però ad un anno il tempo di permanenza di chi arriverà sulle loro coste e la possibilità di utilizzo di scali e spazio aereo thailandesi e malesi per i voli di individuazione di migranti in mare da parte di velivoli statunitensi. Entrambi hanno poi comunicato di aver portato a terra negli ultimi giorni centinaia di irregolari, tuttavia arrestandoli come illegali e rinchiudendoli in campi di raccolta.
Chiusura totale da parte del governo birmano. Per l’esecutivo la questione rohingya non ha bisogno di altri approfondiment: non sono suoi cittadini, sono e resteranno immigrati irregolari dal Bangladesh. Quindi l’unica loro sceltà è o l’espulsione o la vita randagia, con le conseguenti violenze.
Scarsi i risultati, quindi, riguardo alla identità nazionale e tutela dei rohingya e all’impegno a smantellare le reti di trafficanti cresciute proprio in quei paesi dove ora la crisi sembra espandersi. Ovvero i due nodi centrali, questi, per cui si era deciso di convocare il vertice.
Come riferito sempre dalla emittente vaticana, l’Alto commissariato Onu per le Nazioni Unite ha chiesto un esborso urgente di 24 milioni di dollari, l’Australia ha risposto subito offrendone sei. Il rischio concreto dopo l’incontro di Bangkok non è più solo un epilogo ancora più tragico della tragedia dei rohingya, ma che questa cada nel disinteresse del mondo.