Holy Trinity

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“Immersi” nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

Commento al Vangelo della Santissima Trinità 2015 — Anno B

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Per celebrare la Santissima Trinità la Chiesa ci “fa discepoli” dicendoci: “Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te”, apri cioè i libri di storia e chiedi alle vicende che in esse vi sono descritte se “vi fu mai cosa grande come questa”. Chiedi in giro se oggi, nel mondo, si è udita una “cosa simile a questa”.

Anche in occasione di questa Solennità, infatti, la Chiesa, non spiega teoricamente un dogma, ma annuncia un fatto concreto, visibile, sperimentabile: Dio esiste, ed è “Padre, Figlio e Spirito Santo”. E’ questa la cosa inaudita, che non leggerai su nessun giornale e non sentirai in nessun telegiornale.

E perché, invece, la Chiesa lo può annunciare “andando e ammaestrando tutte le nazioni”? Perché è testimone che “Dio è venuto a scegliersi una nazione in mezzo alle altre con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori”.

La Chiesa ha cioè sperimentato che Dio ha scelto un pugno di uomini tra i più poveri e deboli, un resto di “schiavi” per liberarli dalle catene del demonio che soggioga tutte le nazioni della terra, e farne dei “figli di Dio” riuniti in una nazione santa.

Questi suoi figli hanno visto “sotto i loro occhi” il “potere” che veniva dal “Cielo”, ovvero più forte della morte, che il Padre ha dato al suo Figlio “sulla terra”; hanno “udito la voce di Dio parlare dal fuoco” e sono “rimasti vivi”, sperimentando cioè l’ardere dello Spirito Santo bruciare ogni peccato, e scrivere nel loro cuore “le Leggi e i comandi” che nessun uomo con le sue forze è in grado di compiere.

Celebrando la Santissima Trinità dunque, la Chiesa narra e canta i memoriali dell’amore di Dio, professando con gratitudine e coraggio la sua fede. Non a caso, infatti, il Credo che recitiamo dopo la proclamazione della Parola di Dio e prima della liturgia eucaristica segue una divisione Trinitaria.

E’ questo credo che unisce la Parola predicata, ascoltata e accolta al suo compimento sull’altare. E’ la fede della Chiesa che ci fa passare dalla Parola del Padre alla sua Incarnazione nel Figlio sino al compimento del suo Mistero Pasquale nello Spirito Santo che trasforma, come le specie eucaristiche, la nostra vita.

Noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo perché siamo stati “battezzati” in loro, “immersi” cioè nell’amore del Padre che non ci ha mai giudicati ma ha provveduto con pazienza e fedeltà alla nostra vita; nell’amore del Figlio che si è fatto uomo come noi per entrare nella morte che, impaurendoci, ci ha tenuti schiavi, e risorgere insieme a noi da tutte le situazioni di peccato che ci impedivano di amare; nell’amore dello Spirito Santo che ci è stato donato e ha fatto di noi i “figli adottivi di Dio per mezzo del quale gridiamo a Dio “Abbà, Padre!”.Per questo, dopo aver celebrato il Tempo Pasquale, compimento della missione di Gesù che ci ha salvati, siamo chiamati oggi ad “andare” anche noi “in Galilea, sul Monte che Gesù ha fissato” alla sua Chiesa, quello dove aveva annunciato le Beatitudini e profetizzato l’uomo nuovo che vive “guidato dallo Spirito Santo” secondo le parole del Discorso detto appunto della Montagna. Siamo cioè chiamati ad accogliere in noi il suo compimento per uscire in missione e testimoniarlo al mondo.

E’ vero che alcuni di noi stanno ancora “dubitando”… E’ davvero impossibile per l’uomo che guarda a se stesso “partecipare alle sofferenze di Cristo per partecipare alla sua gloria”.

Insomma, questo blocco granitico di orgoglio e superbia, questo pallone gonfiato dall’ipocrisia che sono io può davvero “ereditare” da Dio la stessa vita eterna che ha “ereditato” Cristo?

Si fratelli, tu ed io, così come siamo oggi possiamo diventare “figli di Dio”. O pensate che tra gli “undici discepoli” Gesù abbia scartato per inidoneità quelli che “dubitavano”? Certo che non li ha scartati, Lui conosce tutti quelli che ha “scelto”. Non a caso quella mattina erano “undici”: Giuda, infatti, chiuso nella superbia che gli aveva impedito di abbandonarsi alla misericordia di Dio, si era autoescluso uccidendosi.

Ed è stato un segno profetico: per salire sul Monte e obbedire a Gesù dobbiamo dare morte al nostro uomo vecchio che dispera della salvezza e non crede al perdono e alla possibilità di cambiare vita nelle acque di misericordia che ci attendono nel grembo della Chiesa.

Esso è il segno del cuore di Dio dove possiamo conoscere l’amore trinitario e credere in Essa, per “sapere oggi e conservare bene nel nostro cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra, e che non ve n’è altro”.

Non c’è altro luogo dove imparare a credere al Mistero della Trinità che la comunità cristiana. In essa Gesù “si avvicina” con la Parola, i sacramenti e la carne dei fratelli, per essere “con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”: ciò significa che potremo sperimentare “il potere che gli è stato dato in Cielo” dove è entrato vittorioso sulla morte” in ogni circostanza che vivremo “in terra”.

Per “andare e ammaestrare tutte le nazioni” occorre, infatti, avere l’esperienza di essere “usciti dall’Egitto”, perché è lì che Dio viene “tutti i giorni” a “scegliere” ciascuno di noi.

Coraggio allora, perché siamo stati scelti per rivelare alle nazioni l’amore della Trinità, la possibilità offerta da Dio ad ogni uomo di essere “battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” perché tutti, nessuno escluso, consegnino al loro amore i propri peccati e rinascere senza paura come figli di Dio!

Ma per “ammaestrare” le nazioni abbiamo bisogno di ascoltare noi per primi il Maestro che insegna “tutti i giorni” nella Chiesa; e in essa sperimentare i “prodigi” che il Padre compie in noi per entrare con il Figlio nelle “battaglie” contro il demonio, il mondo e la carne e lasciarci guidare dal “braccio teso” e dalla “mano potente” dello Spirito Santo per discernere, in tutto, “i comandi e le leggi” che siamo chiamati ad osservare.

Solo così saremo “felici noi e i nostri figli dopo di noi, restando a lungo nella terra” che è la comunità cristiana, dove gustare le primizia della vita che “il Signore nostro Dio ci darà per sempre”. Fratelli, il mondo che per essere felice si sta degradando nelle caricature più turpi e tragiche dell’amore che feriscono tanti figli innocenti di matrimoni improbibili, sarà “ammaestrato” solo se vedrà realizzarsi in noi la “felicità” di una vita piena nell’amore autentico, cioè libero e gratuito, trasmessa anche ai nostri figli. 

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Antonello Iapicca

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