Pace / Pixabay CC0 - Waldo93, Public Domain

La pace è lo stile di vita di chi ha conosciuto il Signore

Commento al Vangelo della VI Domenica di Pasqua (Anno C) — 1 maggio 2016

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Il compimento del Mistero Pasquale del Signore è l’effusione dello Spirito Santo, che, colmando il nostro cuore, non delude la speranza e ci fa partecipi della natura divina. “Dimorare” in Dio e “rimanere” nell’amore di Gesù è, concretamente, “osservare la sua Parola” che, secondo l’originale greco, è un custodire dinamico, lo stesso di Maria che custodisce e mette insieme tutti gli eventi della sua storia straordinaria, meditandoli nel suo cuore.
E’ “un custodire per far crescere”, nella fecondità che suppone un processo di maturazione. E’ la custodia di chi “accoglie” i comandamenti ascoltando la predicazione. Ogni comandamento illumina e dà pienezza a ciascun aspetto della vita; “osservandoli”, possiamo rimanere in Cristo in ogni momento, custodendo la sua opera in noi.
Come fu in quel pomeriggio per Giovanni e Andrea che andarono e videro dove Gesù abitava “rimanendo” presso di Lui, anche noi possiamo andare da Lui negli eventi concreti in mezzo ai quali sorge la sua “dimora” nella quale “rimanere” presso di Lui. Uscendo con la fidanzata, con il testo di algebra o di anatomia dinanzi agli occhi, cambiando pannolini o passando l’aspirapolvere, al mercato o sulla metropolitana, in una riunione di marketing o imbottigliati nel traffico dell’ora di punta, ogni luogo è quello giusto per dimorare in Cristo.
E’ pur vero che ogni giorno sperimentiamo i nostri limiti. Per questo ci è necessario un Consolatore che che “ci ricordi” le parole del Signore nei momenti in cui il demonio, come fece con Adamo ed Eva, ci tenta per farci disobbedire ad esse e così scappare dalla storia dove è posta la “dimora” di Dio con noi.
Nell’Antico Testamento la “Dimora” (in ebraico “mishkan”) aveva ospitato l’Arca nel deserto dove Dio “abitava” con il suo Popolo. Essa era una struttura mobile in legno, tutta rivestita d’oro, ricoperta di teli di lino pregiato: il bisso o “lino fine” che nell’Apocalisse e’ il tessuto con cui é rivestita la Chiesa, sposa dell’Agnello, mentre la “porpora”, che nell’antichità era il colore dei vestiti indossati dai principi e dagli alti personaggi, è la stessa che ha rivestito Cristo durante il processo che lo ha condannato alla Croce.
L’origine dell’architettura come quella del culto risale all’incontro decisivo del Sinai, dove il Popolo ha visto Dio e non è morto, e, dopo un lungo cammino iniziato con Abramo, ha ricevuto le Tavole dell’Alleanza, la “Berit”, che divenne il sigillo nuziale di un’appartenenza e un’intimità esclusive. E’ stata l’iniziativa di Dio a far sorgere nel Popolo il desiderio e la volontà di osservare ciascuna delle Dieci Parole che costituiscono il cuore dell’Alleanza; all’origine dell’ascolto obbediente vi è l’amore gratuito di Dio.
L’agire morale dell’uomo scaturisce dall’Alleanza come da una sorgente inesauribile di libertà: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù” (Es. 20,2). Per questo nel cuore della Dimora vi era l’Arca dell’Alleanza dove erano collocate le due tavole con incisi i comandamenti; esse erano chiamate “la Testimonianza” (‘edut), che indicava, secondo la cultura orientale, le clausole di un trattato imposto da un sovrano al suo vassallo.
Coraggio fratelli, perché tutto quello che era profetizzato nell’Arca Gesù lo ha compiuto per noi suoi vassalli: basta “accogliere i suoi comandamenti” perché Gesù viene anche oggi a compierli in noi. Nella sua carne ha posto la Dimora di Dio tra gli uomini, annunciando e compiendo le Parole dell’Alleanza sino all’ultimo iota. Il suo sangue ha sancito la nuova ed eterna Alleanza.
“Accogliendo” il suo Spirito attingeremo forza e vigore per vivere ogni alleanza della nostra vita: tra gli sposi, con i colleghi e gli amici, con i fidanzati e i parenti, perfino con i nemici, perché si realizzerà in noi quanto fece Mosè quando “prese l’olio dell’unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacro'” (Lv. 8,10). L’olio dello Spirito Santo che ha consacrato la Dimora e poi ha unto Gesù per accompagnarlo nella sua missione, unge oggi ciascuno di noi (cristiani – unti – cristi); come un profumo soave pervade ogni aspetto della nostra vita come ogni angolo della Dimora e dell’esistenza di Gesù.
Così lo Spirito Santo custodisce in noi la memoria della vita di Cristo “ricordandoci” nei momenti opportuni le sue Parole che illuminano gli eventi. Hai un problema con tuo marito? Ecco lo Spirito Santo che ti “ricorda” come Gesù ti ha amato, difendendoti così dalle menzogne del demonio per muoverti verso l’altro nello stesso amore. Lo Spirito Santo, infatti, “si manifesta ai discepoli e non al mondo” proprio per “testimoniare” a ogni uomo la “presenza” di Dio tra di loro. Per questo nulla può turbare un cristiano: ovunque e in ogni circostanza, l’Arca dell’Alleanza fa presente Dio in lui attraverso la vita eterna conquistata da Cristo che lo rende più che vincitore nelle tentazioni e nei combattimenti di ogni giorno.
Anche quando il mare è in tempesta e Gesù dorme… No c’è da temere perché la “sua pace” è proprio il “suo sonno” in mezzo ai marosi, profezia del suo addormentarsi nella morte, il seno dove la Pace autentica ha preso forma. Il suo corpo disteso nel sepolcro e destatosi nella risurrezione, infatti, è stato come l’arca dove la colomba è tornata dopo il diluvio, recando il ramoscello d’ulivo, simbolo della Pace. Ma la colomba e l’olio che scaturisce dall’olivo sono anche simboli dello Spirito Santo.
“Dimorare” con Lui nella barca che è la Chiesa, la concreta comunità cristiana nella quale camminiamo per crescere nella fede addormentandoci, senza “turbarci” e senza “paura”, perché è proprio nei momenti di vento contrario e onde che sembrano sommergerci che la colomba della “sua pace” viene a visitarci, recandoci il suo ulivo, lo Spirito di vita eterna che ci fa passare indenni. Dormire con Cristo, come un bimbo in braccio a sua madre, così è di chi ha accolto la “sua Pace”.
Essa, infatti,  è il dono messianico per eccellenza. Al termine del sacramento della confessione il presbitero ci congeda dicendoci: “Il Signore ti ha perdonato, vai in pace”. Le stesse parole di Gesù che ci consegna la sua pace sono proclamate nella liturgia eucaristica prima di accostarsi alla comunione, implorando il Signore ormai presente nelle specie del pane e del vino, di “non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa”; al termine della Celebrazione poi, il Presbitero congeda l’Assemblea invitando ciascuno ad andare in pace. Un Vescovo saluta liturgicamente il popolo annunciando la Pace.
Dalla liturgia e dai sacramenti comprendiamo come la pace sia il sigillo di un’esperienza che trascende il mondo e i suoi limiti. Essa è il tesoro prezioso che il Messia Gesù di Nazaret, vincendo la morte e il peccato, ha scovato nel Cielo, nel Regno di suo Padre, dove è entrato con la nostra stessa carne. E’ come un souvenir di quel Regno, molto di più, è il grappolo d’uva che gli esploratori inviati da Mosè hanno riportato dalla Terra Promessa. La Pace è ciò che ogni cuore desidera, il riposo dello Spirito, la certezza in mezzo alla bufera, il respiro di vita tra i rantoli della morte che incombe. La Pace del Signore è il frutto del suo mistero pasquale, il suo sguardo di misericordia che incontra i nostri occhi impauriti e turbati sotto il peso dei peccati.
Shalom! Pace a voi! Il saluto di Cristo risorto dalla morte rivolto ai discepoli impauriti nel Cenacolo: “«Pace a voi!» diventa qui una cosa nuova: il dono di quella pace che solo Gesù può dare, perché è il frutto della sua vittoria radicale sul male. La «pace» che Gesù offre ai suoi amici è il frutto dell’amore di Dio che lo ha portato a morire sulla croce, a versare tutto il suo sangue, come Agnello mite e umile, «pieno di grazia e di verità»” (Benedetto XVI). Per questo la Pace è stata, per così dire, deposta come un seme, nel corpo di Cristo crocifisso, gestata nel sepolcro, e ha visto la luce nel giorno di Pasqua. E’ lo schema attraverso il quale la pace si genera: in famiglia, nella comunità cristiana, al lavoro, non può che essere deposta in noi attraverso i chiodi del  rifiuto, gestata nel silenzio della solitudine, per essere consegnata a tutti “non come la dà il mondo, ma come la regala Gesù!
La Pace infatti è un frutto dello Spirito Santo Paraclito che scaturisce dal perdono, libera dal peso della colpa, rinnova lo spirito e apre sconfinati spazi alla speranza. La pace è lo stile di vita di chi ha conosciuto il Signore, di chi lo ha incontrato vivo e vittorioso sulla propria morte. La pace che non si perde neanche in mezzo alla guerra, alla sofferenza, ai fallimenti.
Il mondo cerca compromessi e baratti per ottenere la pace sancendola sui corpi dei vinti. La Pace del Signore invece riscatta chi ha perduto, Lui che ha vinto fa la pace e la dona sciogliendo le catene degli sconfitti ridotti in schiavitù. La Pace cui aneliamo anche oggi, anche ora, è il trofeo conquistato sulla Croce, il frutto maturo dell’obbedienza di Cristo; grazie ad essa, il nostro cuore indurito e ingannato dall’orgoglio del demonio trova nell’umiltà di Cristo l’amicizia e la gioia perdute.
Se oggi non abbiamo pace occorre chiederci perché le situazioni o le persone hanno il potere di sottrarcela. Se non siamo in pace è perché siamo usciti dal Regno, dalla comunione con Dio: stiamo cercando la nostra volontà e non quella del Padre, perché solo in essa vi è la vera pace.
Ma oggi ci viene annunciato qualcosa di impensabile. Il fiume di male che ha lambito le nostre esistenze devastandole, si scatena ancora su Cristo; la furia del demonio, il principe di questo mondo che “non ha nessun potere su Gesù”, si abbatte su di Lui per infrangersi e dissolversi nel suo Corpo offerto per puro amore. Il Signore ci avverte “prima”, ci rivela sin da ora quale sia il cammino che i “suoi” sono chiamati a percorrere: portare su di sé il peccato che si abbatte su Cristo vivo nei cristiani, perché già ora essi sono “andati al Padre” con Lui, assisi alla destra di Dio insieme con il loro Capo. I piedi degli apostoli si posano su questa terra, nel loro corpo si compie ciò che manca alla passione di Gesù, il compimento del suo amore crocifisso nelle generazioni che si susseguono.
Ma nessuna persecuzione, nessun male, neanche il demonio ha potere sulla loro anima, perché essa è custodita, già durante la vita terrena, nel cuore di Dio, al sicuro con il loro Signore. L’amore che il prossimo ha il diritto di vedere in noi è l’obbedienza alla volontà di Dio, salire e non scendere dalla Croce, dove “dimorare” con Cristo uniti a Lui nello Spirito Santo che ci spinge ad offrire la vita gratuitamente. Uniti a Lui per mezzo dello Spirito che abbonda e ci viene donato nei sacramenti, nella Parola e la comunione della Chiesa, possiamo partecipare del suo trionfo e ricevere in eredità, insieme a questa generazione, la Pace che supera ogni intelligenza, il sigillo del Cielo che ci guida sino all’eternità, accompagnandoci già oggi dal Padre, “il più grande” di ogni peccato, sofferenza e male che si abbatte sulla carne.

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Antonello Iapicca

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