La statistica è una scienza? Questa domanda, formulata qualche decennio fa, avrebbe avuto una sola risposta e non avrebbe risvegliato alcuna riflessione. Anche se non è da oggi che si può fare – e si fa – un uso politico delle statistiche. I numeri, dicono gli stessi studiosi della materia, vanno “letti” e in questo verbo è riposto un significato che va ben oltre l’atto della lettura. Una sfumatura che si percepisce anche nel Global Food Security Index, presentato nei giorni scorsi da DuPont, che lo sponsorizza. Si tratta di un indice che misura la sicurezza alimentare globale ed è realizzato dall’Intelligence Unit di The Economist. Ad essere maliziosi, si può immaginare che il giornale economico-finanziario con questo strumento si sia preso una rivincita sulle posizioni “no global” di papa Francesco, che della globalizzazione ha dato una lettura in chiaroscuro e che su questo terreno è stato criticato esplicitamente dal giornale. In verità, l’indice ha quattro anni di vita e da questo lasso di tempo dimostra – nel che vediamo la “rivincita” di cui sopra – che la globalizzazione ha aumentato e non diminuito la sicurezza alimentare globale.
Presentato a margine dell’Expo, anche il rapporto 2015 va in questa direzione, individuando nell’Europa Centrale e Orientale l’area con le maggiori fragilità e nell’urbanizzazione incontrollata la criticità più esplosiva. Discutendone nell’ambito di un forum di economisti e ong a Milano, James C. Borel, Vice Presidente di DuPont, ha invitato i partecipanti a estendere il dibattito oltre Expo Milano, e a sfruttare i risultati del Global Food Security Index per sviluppare nuove mirate soluzioni alla fame mondiale.
“Man mano che la popolazione globale aumenta, diventa più urbanizzata e la classe media si amplia, è necessario focalizzare adeguatamente le nostre risorse per rafforzare i sistemi alimentari e la loro capacità di recupero dalla crisi”, ha affermato. “Dobbiamo occuparci delle cause scatenanti dei problemi – degli indicatori che influenzano la capacità di nutrirsi delle persone. Questa è la grande forza del Global Food Security Index.”
Borel ha evidenziato quattro aree di intervento che garantiscono un adeguato investimento delle risorse: innovazione per la produttività agricola, incremento nutrizionale degli alimenti, creazione di eque politiche di libero scambio e riduzione degli sprechi alimentari. Borel era circondato da uomini di buona volontà come Rikin Gandhi – la sua Digital Green utilizza le tecnologie mobili per insegnare ai contadini in India a migliorare le loro capacità manageriali - e Wolfgang Jamann - CARE International lavora con i piccoli agricoltori di Haiti per migliorare la nutrizione del suolo e rendere il loro sistema alimentare più capace di rispondere in tempi di crisi – non diversamente convinti che la via della globalizzazione vada percorsa fino in fondo. L’Intelligence Unit Economist ha presentato al forum un libro bianco su “Il ruolo dell’innovazione per rispondere alle sfide sulla sicurezza alimentare”, che identifica e definisce le sfide, i protagonisti e le soluzioni tecnologiche relative alla sicurezza alimentare mondiale. Il documento è focalizzato su tre principali aree di opportunità utili ad incrementare l’accessibilità ad alimenti di qualità in tutto il mondo. – l’utilizzo delle biotecnologie, il supporto ai piccoli agricoltori e lo sviluppo di un’agricoltura urbana. Sullo sfondo, come dicevamo, i numeri, che danno ragione a quest’analisi: guardando all’approvvigionamento di cibo, infatti, le aree Povere del pianeta – con l’eccezione di alcune regioni caratterizzate da una forte instabilità politica – evidenziano segni di miglioramento e per contro sono i Paesi ricchi a non tenere il passo come una volta. L’Italia è 22esima e sta perdendo terreno.
“I risultati di quest’anno sottolineano l’importanza di investimenti continuativi in ricerca e infrastrutture per l’agricoltura in Europa, per assicurare che tutta la popolazione della regione possa accedere ad alimenti sicuri e convenienti”, ha affermato Borel. “L’Europa è stata leader nella sicurezza alimentare e dobbiamo far in modo che quelle aree della regione non vengano lasciate indietro a causa di mancanza di investimenti e supporto per gli agricoltori e per le nuove tecnologie agricole.” DuPont ha investito molto nell’Europa dell’Est – specialmente in Ucraina e Russia – che possiedono una superficie arabile altamente produttiva rimasta inutilizzata per decenni. Attraverso DuPont Pioneer, il business che si occupa di sementi, la società ha recentemente investito più di 50 milioni di dollari in Ucraina per costruire stabilimenti di ricerca e produzione, e prevede di impegnare più di 9.500 agricoltori ucraini quest’anno, con i servizi di training in campo per i clienti. Anche questi sono numeri e anche questi numeri – evidentemente - hanno un peso politico che va oltre il ruolo della multinazionale sul mercato chimico.