Don Bosco: un grande comunicatore (Seconda parte)

Il direttore della LEV, don Giuseppe Costa racconta il lato umano del fondatore dei Salesiani e di come il suo carisma sia più che mai vivo nei media, nell’educazione dei giovani e nelle missioni

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[Leggi prima parte]

Come si concretizzò l’approccio di don Bosco ai mezzi di comunicazione della sua epoca?

Il contatto di don Bosco con la stampa comincia nel 1848, quando collabora con il teologo Marinotti ad un giornale socio-politico. Ai ragazzi in oratorio, iniziò ad insegnare il mestiere della tipografia che sviluppa in tutte le sue opere, così come i corsi di addestramento professionali. Don Bosco capisce subito che “fatta l’Italia bisognava fare gli italiani” e cavalca le prime riforme scolastiche, scrivendo lui stesso dei libri per ragazzi e per le scuole. Ha anche scritto una storia d’Italia, una storia sacra, un libro sul sistema metrico decimale, quando in Italia si cambiò la misurazione, e persino dei manuali di formazione per contadini. Nel 1877 fondò il Bollettino Salesiano, un giornale di notizie dal mondo e sulle missioni salesiane. Del libro don Bosco aveva una concezione elevatissima, per lui era una cosa sacra (e non lo era solo la Bibbia); per lui, il libro era un mezzo per controbattere al male attraverso il bene. L’apostolato del libro era una cosa importantissima per don Bosco, tanto è vero che moltissimi Salesiani sono diventati scrittori e sono stati incoraggiati a pubblicare opere letterarie. Non fece in tempo a vedere il cinema, in compenso amava molto farsi fotografare: ci sono foto di don Bosco con la banda, mentre confessa i ragazzi, mentre conversa a Barcellona con la nobildonna Dorotea Chopitea, cooperatrice salesiana, oggi Venerabile.

Don Bosco aveva una concezione mediamente ‘industriale’ dei media del suo tempo. Scrisse anche tre biografie che descrivono profili di ragazzi e di adolescenti (tra cui San Domenico Savio), come modelli da offrire ai loro coetanei. Fu fondatore delle Letture Cattoliche, un mensile in abbonamento su termini monografici. Diresse una collana di biblioteca per ragazzi, che raccoglieva circa 284 titoli. Le prime opere salesiane vertevano su musica, teatro, letture, recite. I ragazzi venivano coinvolti in questa atmosfera culturale. La sua non era solo una proposta “religiosa”. Coglieva i giovani in tutta la loro globalità. Questo spiega perché dalle scuole di don Bosco sono venuti su attori, scrittori, artisti, ecc.

 

Qual era il temperamento di don Bosco? Di lui si è detto di tutto: che fosse un collerico ma anche un mistico…

La presenza del sovrannaturale in don Bosco è piuttosto precoce. A nove anni ebbe un sogno che gli indicò una missione e che avrebbe sempre tenuto in mente: aiutare i giovani e trasformare la società attraverso di loro. Nel primo sogno gli appare la Madonna che gli dice: “questi giovani non puoi prenderli a sculacciate, con le buone maniere e la dolcezza riuscirai a trasformarli”. Di qui la nascita di questo approccio positivo e generoso verso il mondo giovanile, in un’epoca in cui i ragazzi davano fastidio a tutti, specialmente ai preti… Il suo era un temperamento volitivo e deciso: don Bosco ha sempre avuto fiducia in se stesso, non è mai stato un depresso, sebbene qualche volta la sua attività lo stancasse. Poté contare su due grandi aiuti: mamma Margherita, che lo assistette fino ai primi anni dell’opera salesiana e che lo aiutò ad essere più tranquillo e più sereno; San Giuseppe Cafasso che gli diede dei parametri spirituali piuttosto chiari. Era un uomo deciso, perché era chiara per lui la missione da raggiungere. Se fosse stato un prete depresso e umanamente deluso, non avrebbe potuto costruire quello che ha costruito. Negli anni ’70 del XIX secolo, don Bosco aveva già attorno a sé, la più grande concentrazione di adolescenti d’Europa. Avvertiva la responsabilità di aiutare questi giovani. Anche psicologicamente doveva lottare con chi lo ostacolava e con chi non lo aiutava.

 

Il pontefice regnante, papa Francesco, è un gesuita ma in lui, molti riscontrano caratteristiche tipiche del carisma salesiano: giovialità, capacità comunicative, vicinanza ai giovani…

In papa Francesco ci sono sicuramente elementi legati al carisma salesiano. Sin dalla prima infanzia in Argentina, Bergoglio ebbe contatti con il mondo salesiano. I primi Salesiani arrivarono in Argentina a partire dal 1875: don Bosco vi mandò figure molto capaci e forti che andarono addirittura a fondare città in Patagonia. I Salesiani hanno delineato la geografia di quei luoghi attraverso personaggi come don Alberto Maria De Agostini o monsignor Fagnani. Fino a quando Bergoglio non maturò la vocazione gesuita, fu quindi a stretto contatto con i Salesiani. I genitori stessi di papa Francesco si conobbero in una chiesa salesiana e crebbero i figli nell’ambiente salesiano. Lui stesso ha raccontato l’esperienza di don Lorenzo Mazza, l’incaricato dell’oratorio che fondò la Società Sportiva del San Lorenzo. Bergoglio fu molto legato a don Mazza e ad altri salesiani. Da arcivescovo, il 24 di ogni mese, si recava nella chiesa di Santa Maria Ausiliatrice a Buenos Aires. Per un anno frequentò il collegio salesiano, come lui stesso ha raccontato al Consiglio Superiore dei Salesiani quando li ha ricevuti la prima volta. La dimensione ludica di questo pontefice è una dimensione salesiana, sicuramente non ignaziana: Sant’Ignazio non ha mai giocato a pallone… [ride]. Il coinvolgimento del mondo giovanile, il conversare con i giovani, fanno parte dello stile e del carisma salesiano.

 

Lei è stato seminarista negli anni a cavallo del ’68: come è stata vissuta quell’epoca tra i Salesiani?

Abbiamo vissuto quegli anni immersi nel mondo giovanile, cogliendo alcune intuizioni che sono rimaste nella storia della pastorale giovanile. In quegli anni abbiamo creato tre organismi legati all’attività culturale, sportiva e turistica, che, con le loro iniziative, contribuirono a non far scappare i ragazzi dai nostri oratori. Offrimmo un associazionismo da protagonisti, che ha mantenuto i ragazzi nei nostri oratori, in anni in cui si diceva “Chiesa no, Cristo sì”, e l’oratorio fa parte della Chiesa…

L’Operazione “Mato Grosso”, fondata da don Ugo De Censi, rivelò una dimensione religiosa dell’impegno sociale. I nostri ragazzi scoprirono dunque una dimensione positiva dell’essere cattolici nella società. Ci furono anche i Salesiani che aprirono le prime comunità di recupero per tossicodipendenti. Un salesiano va dove vanno i giovani: abbiamo avuto cappellani a San Vittore a Milano che hanno seguito da vicino i ragazzi finiti in carcere. Essendo il nostro un lavoro di confine, in cui il conflitto con le istituzioni era frequente, purtroppo in quegli anni abbiamo anche perduto molti confratelli e qualcuno ha finito con il “saltare lo steccato”. Il ’68 è stato dunque vissuto così: la maggior parte dei giovani sono rimasti a noi fedeli ma, in compenso, abbiamo perduto qualche confratello.

 

Ci può raccontare, in conclusione, la dimensione missionaria dell’opera salesiana?

La dimensione missionaria è costante. Noi non siamo una congregazione missionaria in senso stretto, come ad esempio il PIME, tuttavia sono di gran lunga più numerosi i salesiani missionari, che non gli istituti missionari veri e propri. La missione è stata considerata come un aiuto specifico per i giovani più abbandonati. Don Bosco era vicino ai giovani più abbandonati: chi più abbandonati, dunque, dei giovani latino-americani o africani? È una dimensione costante, per la quale tanti salesiani hanno trovato la loro piena realizzazione. Siamo in paesi come la Mongolia l’Alaska, l’altipiano etiopico, in Kenya. Abbiamo i nostri difetti e limiti ma la nostra missione è una grande cosa per chi la vive.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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