“Una visita del Pontefice in Kurdistan è essenziale. Ne ho parlato con Papa Francesco lo scorso novembre a Roma e lui stesso ha espresso il desiderio di venire in Iraq”. Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno.

“Francesco mi ha detto che il suo entourage non gli consente di compiere un tale viaggio per evidenti motivi di sicurezza – aggiunge - ma io ritengo che sia possibile organizzare una visita. Ci vorrà soltanto un po’ di tempo”.

Monsignor Warda racconta come nella sua diocesi abbiano trovato rifugio decine di migliaia di cristiani fuggiti dalle violenze dello Stato Islamico e riferisce dei significativi progressi compiuti nell’assistenza umanitaria. “Un risultato raggiunto soprattutto grazie ad Aiuto alla Chiesa che Soffre: il nostro partner principale in questa drammatica crisi”. ACS ha infatti donato oltre 4 milioni e 800mila euro a sostegno dei rifugiati, finanziando progetti quali abitazioni e scuole prefabbricate.

Migliaia di sfollati in Kurdistan attendono di conoscere quale sarà il loro futuro. “Se vi fossero segni di una riconquista delle aree occupate da Isis da parte dell’esercito, i cristiani sarebbero incoraggiati a rimanere in Iraq. Tuttavia, anche qualora Mosul e la Piana di Ninive fossero liberate, i fedeli dovrebbero attendere mesi prima di poter ritornare nelle proprie case”.

Monsignor Warda è scettico riguardo alla possibilità di una protezione internazionale delle aree a maggioranza cristiana intorno a Mosul. “Considerata la situazione ad alto rischio, molte nazioni non vorranno inviare le proprie truppe. Prima di un qualsiasi intervento si dovrà poi avviare un processo di riconciliazione così che i vicini paesi musulmani non vedano nelle forze internazionali una presenza ostile”.

Per il presule sono inoltre necessari maggiori sforzi per una pacificazione interna al paese. “Dal 2003 ad oggi sono morte almeno di 25mila persone a causa degli scontri tra sciiti e sunniti – afferma monsignor Warda – Per porre fine all’odio servirà un serio impegno sia della nostra classe politica che di potenze regionali quali Iran e Arabia Saudita, che da sempre influenzano la politica irachena”.

La presenza cristiana ha un ruolo cruciale per il futuro equilibrio interno dell’Iraq. “Attraverso le nostre scuole e la nostra presenza promuoviamo di una cultura di dialogo, riconciliazione e pace. L’Iraq non sarebbe lo stesso senza cristiani”, conclude poi il presule.