E’ il suo nome nella lingua universale, il latino, ma lo è anche nell’altrettanto universale inglese, e in tante altre lingue. Jesus, Gesù di Nazareth. Da duemila anni echeggia nel mondo quella domanda che egli rivolse ai suoi discepoli: “E voi chi dite che io sia?” La figura di Gesù, il cui nome significa “colui che salva” si staglia nella storia umana, la segna, inequivocabilmente, tant’è che i tempi e i secoli si dividono in “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. Un grande uomo, un profeta, il Messia.
Gesù Cristo, il Redentore, è “centro del cosmo e della storia”, come ebbe a scrivere nella sua enciclica Redemptor hominis san Giovanni Paolo II. Il grande papa scriveva che “Dio è entrato nella storia dell’umanità e, come uomo, è divenuto suo «soggetto», uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico! Attraverso l’Incarnazione Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare all’uomo sin dal suo primo inizio, e l’ha data in maniera definitiva – nel modo peculiare a Lui solo, secondo il suo eterno amore e la sua misericordia, con tutta la divina libertà – ed insieme con quella munificenza che, di fronte al peccato originale ed a tutta la storia dei peccati dell’umanità, di fronte agli errori dell’intelletto, della volontà e del cuore umano, ci permette di ripetere con stupore le parole della sacra Liturgia: «O felice colpa, che meritò di avere un tanto nobile e grande Redentore.”
Gesù è ben di più che un profeta, un maestro, un personaggio straordinario che compiva prodigi: è il Redentore del mondo. In lui si è rivelata la fondamentale verità sulla creazione, che il Libro della Genesi attesta quando ripete più volte: «Dio vide che era cosa buona». Il bene ha la sua sorgente nella Sapienza e nell’Amore. In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l’uomo, quel mondo che, essendovi entrato il peccato, «è stato sottomesso alla caducità»- riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell’Amore. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Come nell’uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell’uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato.
Lo stesso immenso progresso che si è verificato, nel corso della modernità, nel campo del dominio sul mondo da parte dell’uomo, rivela forse in un grado mai prima raggiunto, la multiforme sottomissione «alla caducità».
Basta solo qui ricordare i conflitti armati che scoppiano e si ripetono continuamente, oppure la mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche è allo stesso tempo un mondo che «geme e soffre» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio». L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. Cristo Redentore rivela quindi pienamente l’uomo all’uomo stesso. Questa è la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l’uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l’uomo diviene nuovamente «espresso» e, in qualche modo, è nuovamente creato. L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere – deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve «appropriarsi» ed assimilare tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso. “Quale valore – diceva ancora san Giovanni Paolo II nella sua fondamentale enciclica sulla figura di Gesù- deve avere l’uomo davanti agli occhi del Creatore se «ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore», se «Dio ha dato il suo Figlio», affinché egli, l’uomo, non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. La religione che prende il nome da Gesù, il Cristo, o il Nazareno, come dicono alcuni. Un nome che viene usato come discriminazione, come etichetta infamante, come è accaduto spesso nella storia quando i suoi discepoli sono stati perseguitati.
Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo.
Questo stupore, ed insieme persuasione e certezza, che nella sua profonda radice è la certezza della fede, ma che in modo nascosto e misterioso vivifica ogni aspetto dell’umanesimo autentico, è strettamente collegato a Cristo. Esso determina anche il suo posto, il suo particolare diritto di cittadinanza nella storia dell’uomo e dell’umanità. La Chiesa, che non cessa di contemplare l’insieme del mistero di Cristo, sa con tutta la certezza della fede, che la Redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato. E perciò la Redenzione si è compiuta nel mistero pasquale, che attraverso la croce e la morte conduce alla risurrezione.
Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. E se tale missione sembra incontrare nella nostra epoca opposizioni più grandi che in qualunque altro tempo, tale circostanza dimostra pure che essa è nella nostra epoca ancor più necessaria e – nonostante le opposizioni – è più attesa che mai.