"I" come Inferno

Impressionante è la visione avuta da grandi santi come san Giovanni Bosco, di cui quest’anno celebriamo il 200° della nascita

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L’inferno esiste. E’ una realtà di cui ci parla il Vangelo, e di cui la Chiesa continua a parlare, anche se nel corso degli anni si è aperto qualche dibattito teologico che ha messo in dubbio l’esistenza di questa realtà. Qualche pensatore ha anche avanzato l’ipotesi che sì, esiste, ma magari è vuoto. Una speranza suggestiva che la misericordia divina non voglia che alcuno si perda, e che pertanto lasci assolutamente vuoto questo luogo metafisico. il termine “Inferno” deriva dal latino “infernus”, cioè “posto in basso”, “inferiore”, ed è quindi sinonimo di “inferus”; tuttavia, la parola “inferno” è da riferirsi solo al concetto delle tre grandi religioni monoteistiche, mentre la parola “inferi” si può, più ampiamente, riferire a tutte le culture pagane antiche e moderne. secondo quasi tutte le culture, l’Inferno è caratterizzato da estremo dolore, enorme disperazione e tormento eterno. Può essere visto come un luogometafisico o spirituale che ospita leanime incorporee dei morti, oppure come luogo fisico sede di tormenti altrettanto fisici. Questa visione è più frequente andando a ritroso nelle epoche, mentre ai giorni nostri il concetto di Inferno si spiritualizza e riguarda prevalentemente il tormento dell’anima. L’Inferno costituisce una condizione didannazione eterna e questa condizione è solitamente assegnata in base alla condotta morale e spirituale che la persona ha tenuto in vita.Gesù ha descritto molto chiaramente il concetto di “Inferno” in varie parabole e discorsi, tra cui ricordiamo, dal Vangelo di Matteo e di Marco: “Il Figlio dell’uomo manderà i Suoi angeli, i quali raccoglieranno dal Suo Regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità, e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti”. (Mt, 8,11-12)

Ci sono molti altri riferimenti, anche in Luca e in Giovanni, alla Geenna, che era una valle dove venivano costantemente e definitivamente bruciati rifiuti ed immondizia, e dunque Gesù la usa come metafora per spiegare l’atrocità del dolore infernale, quale dolore di fiamma. Inoltre, Egli ripete spesso la formula “dove sarà pianto e stridore di denti”, che dà una tremenda idea della sofferenza e della disperazione dell’Inferno.

Fondamentali sono le riflessioni di Sant’Agostino per il quale il castigo è eterno, ma può variare in intensità in virtù della gravità della colpa, ma anche delle preghiere dei vivi, naturalmente solo nella fase che precedeva il Giudizio Finale. Presto si afferma l’idea del trasferimento nel luogo oltremondano di purificazione o beatitudine. Nel corso del Medio Evo nelle visioni dell’al di là un altro dato costante è la credenza in un certo grado di corporeità dell’anima per cui il patimento dei dannati assume tratti di maggiore realismo. Tale idea convive con quella della fede nella resurrezione dei corpi alla fine dei tempi.

Impressionante, in tempi più recenti, è la visione dell’inferno avuta da un grande santo come San Giovanni Bosco, il quale raccontò di essersi ritrovato con la sua guida, l’Angelo Custode, in fondo ad un precipizio che finiva in una valle oscura. Don Bosco raccontò di aver visto un edificio immenso, avente una porta altissima, serrata. “Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva, un fumo grasso, quasi verde, s’innalzava sui muraglioni dell’edificio e guizze di fiamme sanguigne. Domandai: “Dove ci troviamo”? “Leggi – mi rispose la guida – l’iscrizione che è sulla porta”! C’era scritto: “Ubi non est redemptio”!, cioè: “Dove non c’è redenzione”. Intanto vidi precipitare dentro quel baratro […] prima un giovane, poi un altro, ed in seguito altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. Esclamò la guida: “Ecco la causa precipua di queste dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini”. Gli infelici erano giovani da me conosciuti. Domandai: “Ma dunque è inutile che si lavori tra i giovani, se tanti fanno questa fine? Come impedire tanta rovina”? “Coloro che hai visto, sono ancora in vita; questo però è il loro stato attuale e se morissero, verrebbero senz’altro qui”! Dopo entrammo nell’edificio; si correva con la rapidità del baleno. Lessi questa iscrizione: “Ibunt impii in ignem æternum”!, vale a dire “Gli empi andranno nel fuoco eterno”! “Vieni con me”!, soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti ad uno sportello, che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie d’immensa caverna, piena di fuoco. Certamente quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore. Io questa spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà. Intanto, all’improvviso, vedevo cadere dei giovani nella caverna ardente. La guida disse: “La trasgressione del sesto comandamento è la causa della rovina eterna di tanti giovani”. “Ma se hanno peccato, si sono però confessati”. “Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o taciute affatto”. Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne disse solo due o tre. Vi sono di quelli, che ne hanno commesso uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l’hanno confessato male e non hanno detto tutto. Altri non ebbero il dolore e il proponimento; anzi, taluni, invece di fare l’esame di coscienza, studiavano il modo di ingannare il confessore. E chi muore con tale risoluzione, risolve di essere nel numero dei reprobi e così sarà per tutta l’eternità […]. “E ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio qui ti ha condotto”? La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo Oratorio, che io tutti conoscevo, condannati per questa colpa. Fra essi vi erano di quelli che in apparenza tengono buona condotta. Continuò la guida: “Predica dappertutto contro l’immodestia”! Poi parlammo per circa mezz’ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: “Mutare vita! […] Mutare vita”! “Ora – soggiunse l’amico – che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che provi anche tu un poco di inferno”! Usciti dall’orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l’ultimo muro esterno; io emisi un grido […]. Cessatala visione, osservai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura”.

La visione di Don Bosco testimonia quello che la Chiesa ha sempre insegnato e tuttora ha confermato nel suo Magistero: l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Il Catechismo ricorda che le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, “il fuoco eterno”. La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira. Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno, e costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione.

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Paolo Giulisano

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