Fratel Luigi Bordino, l'alpino della carità

Beatificato ieri al Parco Dora di Torino il “gigante buono” del Cottolengo

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Terzogenito di una famiglia di viticoltori. Alpino nella disastrosa campagna di Russia. Consacrato con la sorella Clelia alla Piccola Casa. Dedicò tutta la vita a curare, accudire, consolare, poveri, malati, senza tetto.

Al Cottolengo tutti lo ricordano come “il gigante buono” e suor Maddalena Berruto lo ricorda con particolare affetto perché grazie alla sua intercessione è guarita miracolosamente da un tumore.

Stamane nei saluti del dopo Angelus Papa Francesco ha detto di lui “Ieri a Torino è stato proclamato Beato Luigi Bordino, laico consacrato della Congregazione dei Fratelli di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Egli ha dedicato la sua vita alle persone malate e sofferenti, e si è speso senza sosta in favore dei più poveri, medicando e lavando le loro piaghe. Ringraziamo il Signore per questo suo umile e generoso discepolo”.

Il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, ha affermato: “il Venerabile Servo di Dio Luigi di Maria Consolata, che si dedicò totalmente al servizio dei poveri, sia d’ora in poi chiamato beato e che si possa celebrare la sua festa ogni anno il 25 di agosto”.

Quando di ritorno dalla sconvolgente campagna di Russia chiese di entrare nel noviziato del Cottolengo, il Prefetto gli disse che avrebbe dovuto condividere la vita con quella dei sofferenti e con i poveri, “nostri padroni, che intendiamo servire per onorare la Divina Provvidenza”.

E Bordino rispose “Non chiedo di meglio. Mi sento un povero; anzi, se i poveri sono i miei padroni mi stimo fortunato di essere loro garzone”.

Prima che il futuro beato uscisse dall’ufficio, il prefetto aggiunse: “Se vuoi la grazia della perseveranza, chiedila al Signore tutti i giorni della tua vita” e lui “Spero di riuscire a compiere in tutto la volontà di Dio”.

Il 13 luglio 1947 Andrea (questo il nome di battesimo) indossò l’abito dei Fratelli Cottolenghini e gli fu imposto il nome di fratel Luigi della Consolata. Per i suoi confratelli e per i tanti malati che assisterà sarà semplicemente “fratel Luigi”.

Abituato ai lavori nei campi, nella Piccola Casa fartel Luigi puliva i malati, li medicava, con le sue robuste braccia alzava quelli immobilizzati e gli handicappati gravi. Lo faceva con serenità e pazienza, dalle cinque del mattino fino a tarda sera.

Il servizio quotidiano verso i poveri e i malati si alternava a momenti di preghiera, di adorazione, la Santa Messa, le meditazioni.

In primavera e in autunno gli assistiti aumentavano: dalla varie contrade del Piemonte molti barboni scendevano a Torino e andavano all’Ospedale Cottolengo per essere rimessi in sesto. Fatel Luigi li accoglieva, tagliava loro i capelli, li disinfestava, li lavava, li rivestiva con abiti puliti e dignitosi. Con loro stabiliva rapporti di amicizia.

Il suo bagaglio personale stava tutto in una valigia; riposava nel dormitorio comune; mangiava ciò che gli veniva portato e non chiedeva altro. Non aveva molta cura dei propri vestiti, che indossava anche quando erano un po’ logori; se aveva qualche spicciolo in tasca, lo donava al primo povero che incontrava.

Nelle richieste dei superiori  fratel Luigi vedeva la volontà di Dio. Imparò a ignorare la propria volontà e a mettere al servizio di Dio e dei poveri la ricchezza dei propri doni personali.

Il dottor Chiaffredo Bussi, per molti anni otorinolaringoiatra all’Ospedale Cottolengo, ha raccontato che “Fratel Luigi era l’infermiere al quale si poteva chiedere tutto (…). Ricordo che prestavo servizio in ambulatorio, verso sera e dopo facevo gli interventi di tonsillectomia. Si dava mezza anestesia, per cui i piccoli pazienti erano fermati in braccio. Li teneva quasi sempre fratel Luigi, perché era forte e molto sveglio, intelligente e ricco di nozioni sanitarie.

E il prof. Giovanni Villata, che lavorò a fianco di fratel Luigi per quasi trent’anni, ha ricordato: “di statura superiore alla media, di costituzione robusta, da vero alpino, solido come una quercia, con viso tondo sorridente e aspetto bonario, aveva un tono di voce e una conversazione pacata, e ispirava subito massima confidenza e fiducia a chi gli si rivolgeva per qualche consiglio”.

Suor Letizia Mandelli, arrivata alla Piccola Casa pochi mesi prima di fratel Luigi, lavorò al suo fianco prima come studentessa allieva e poi come caposala ha raccontato: “era un vero uomo, generoso e sempre disponibile: non pensava mai che gli si facesse un torto. Non perdeva la calma e taceva. Era l’uomo che seppelliva tutto! A volte tra noi caposala o con i medici primari nascevano divergenze; quelli erano i momenti di fratel Luigi: la sua presenza appianava ogni cosa e nessuno rimaneva scontento”.

E suor Piera Fogliato ha raccontato “Mi sembra di vederlo ancora quando la mattina, dopo la Messa di comunità, prendeva servizio: entrava in reparto quasi sempre in compagnia di un ‘buon figlio’ (insufficiente mentale grave) o altro ricoverato a cui prestava le sue cure. Indossato il camice bianco, incominciava il lavoro e sia per me sia per i degenti la sua presenza era un grosso sollievo. Mai uno sgarbo o un atto di impazienza: qualunque lavoro facesse, rivelava serenità e amore. Le sue mani medicavano ferite, curavano piaghe, pulivano i malati con delicatezza e competenza straordinarie. In corsia, in sala operatoria, come in chiesa al servizio dell’altare, in qualunque posto si trovasse, fratel Luigi aveva sempre lo stesso contegno”.

Fratel Luigi si ammalò di leucemia nel 1975, morì nel 1989.

Nel corso della celebrazione sono stati portati sull’altare una sua reliquia, la sua croce, un cappello di alpino e un camice di infermiere.

In conclusione della celebrazione monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha detto: “è stato un esempio di ciò che la Chiesa ha bisogno: poche parole e fatti concreti a favore delle tante persone che si trovano in difficoltà, morale, economica, familiare e di salute”.

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ZENIT Staff

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