Una decisione per la vita: rimanere in Cristo, la Vite vera

Lectio Divina sulle letture per la V Domenica di Pasqua (Anno B) – 3 maggio 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la V Domenica di Pasqua (Anno B).

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Rito Romano

At 9,26-31; Sal 21; 1 Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Rito Ambrosiano

At 7, 2-8. 11-12a. 17. 20-22. 30-34. 36-42a. 44-48a. 51-54; Sal 117; 1Cor 2,6-12; Gv 17,1b-11

1) Rimanere in ….

Nel Vangelo di oggi Cristo dice di se stesso che è la Vite e invita i discepoli – di allora e di oggi – a rimanere in Lui come Lui rimane in noi. La prima risposta a questo invito  è di chiederGli di darci la grazia di essere degni del fatto che Lui abiti in noi. L’audacia di questa domanda ha il suo fondamento in ciò che è stato detto da Dio stesso: Lui ha promesso di abitare, di rimanere nel cuore di chi è retto e sincero. “Un cuore che nessuna intenzione equivoca può sviare; un cuore fermo che resiste ad ogni avversità; un cuore libero che nessuna passione violenta può soggiogare” (cfr San Tommaso d’Aquino).

Il verbo “rimanere”[1] è un verbo chiave del quarto vangelo e significa prendere dimora, fondare un legame stabile, abitare.

Questo è il disegno di Dio: noi creature piccole, incoerenti e peccatrici, siamo chiamate ad essere la dimora di Dio.

Viene alla mente la meraviglia di re Salomone quando consacrò il tempio di Gerusalemme ed esclamò: “Ma è proprio vero che Dio abita in una casa sulla terra?” (1 Re 8, 27).

La meraviglia di Salomone non è niente di fronte allo stupore del cristiano per il fatto che Dio sceglie come sua dimora, come sua casa il nostro cuore, la nostra vita.

Questa decisione di Dio di farci sua dimora è stupenda, ma l’immensità dell’amore di Dio non può entrare nel nostro cuore, se Lui stesso non ci desse la grazia di accoglierlo. Quindi, non ci resta che domandare un cuore come quello di Maria, la Vergine Madre, l’umile Serva di Dio, la quale più di tutti ha fatto spazio nella sua vita al Signore, diventando anche fisicamente la Sua dimora di Dio.

L’importante è avere un cuore retto e sincero, come quello della Madonna, cioè un cuore che non ha altro desiderio, se non quello di essere una cosa sola con il Figlio di Dio venuto tra noi.

Per essere cristiani bisogna avere un grande e santo desiderio. È necessario desiderare con tutte le nostre forze di essere niente meno che il luogo in cui Dio abita, per poter noi stessi abitare in lui e, rimanendo in lui, avere i la sicurezza, la gioia, la misericordia e la pace.

Per dare un’immagine del rimanere, Gesù usa la metafora della vite e dei tralci: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla […]. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (Gv 15,4-8). Il rimanere non è sterile, si riconosce dal fatto che porta frutto e questo frutto è l’amore e l’amore produce gioia.  Quindi credo sia giusto affermare che il vero frutto, segno della presenza di Dio, è la gioia. Appunto, la vite che produce il vino è il segno della gioia, dell’amore, del frutto che tutti dobbiamo produrre.

2) La vera Vite: Cristo, e noi in Lui.

L’affermazione di Gesù: “Io sono la vite” introduce una novità rispetto all’Antico Testamento, dove si afferma che Dio ha una vigna[2]  e si lamenta con la sua vite, cioè con il suo popolo: “Ma cosa ho fatto? Forse ho sbagliato qualcosa? Forse non ho avuto abbastanza cura di te? Perché mi fai questo e non produci i frutti?”.

Nell’Antico Testamento si parla di una vigna e di una vite che non sono all’altezza delle attese di Dio. Nel Nuovo Testamento si dice che Dio stesso è la vite. Nel Vangelo è insegnato che la vite è finalmente all’altezza delle attese di Dio, perché Gesù è la vite.

La vera vite è quella che produce frutto. Questa vite si contrappone alla vigna “falsa”, sterile, che non produce frutto.

E’ il dramma di Dio, non ha trovato un uomo che rispondesse al suo amore. Il primo uomo che risponde all’amore è il Figlio, il Figlio suo che diventa Figlio dell’uomo e lui è la vite, è il primo uomo che produce il frutto desiderato da Dio, che produce l’uva vera: il frutto dolce che è l’amore. Cristo è la vite che produce il frutto dell’amore del Padre e dei fratelli. Per questo è la vite vera.

E’ un dramma per Dio che questa vite non risponda alle sue cure, e si chiede: “Cosa dovevo fare che non abbia fatto?? E’ un vero dramma per Dio ed è questo dramma che verrà fuori anche nella parabola dei vignaioli come ci è raccontata da Marco al capitolo 12 e paralleli.

Questo dramma in Gesù si risolve, perché Lui è la vite, come Lui è la vita così Lui è la vite e produce frutto.

“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla […]. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. (Gv 15,4-8).

Il rimanere non è sterile, si riconosce dal fatto che porta frutti. I frutti principali sono il cambiamento e la gioia che lo stesso rimanere gratuitamente provoca.

Il rimanere con Gesù implica – come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere – vivere come Gesù: “Chi dice di dimorare in Lui, deve comportarsi come Lui si è comportato” (1 Gv 2,6).  A questo punto, sorge una domanda ovvia: “Come è possibile comportarsi come Cristo, vero uomo ma anche vero Dio, l’Innocente che muore per i colpevoli?”. Restando attaccati a Lui, come tralci alla vite. In effetti, Gesù dice anche a noi: “Io-Sono la vite, voi i tralci”. Quindi se restiamo attaccati a Lui, allora portiamo molto frutto, cioè il suo stesso frutto, abbiamo la sua a stessa vita di Figlio, il suo stesso amore per il Padre, il suo stesso amore per i fratelli. Se restiamo uniti a Lui continuiamo la sua opera e la sua opera è dare vita e dare amore; se ci separiamo da Lui distruggo la sua opera e diamo frutti di morte.

Ma allora, come rimanere in lui? Come perseverare in questa adesione a Lui, vincendo la fragilità della nostra povera natura umana ferita ed infedele?.

Prima di tutto, chiedendo questo dono di “rimanere il lui”, Amore che diventa la nostra casa. Se non chiediamo, se non siamo mendicanti dell’Amore, non possiamo riceverlo in dono.

In secondo luogo, se cresciamo nella consapevolezza che per vivere in questa casa, dobbiamo abitarvi con il cuore pieno di riconoscenza. Dunque il sentimento da coltivare è la gratitudine, perché un cuore grato è un cuore fedele, lieto di essere amato da Dio e di amare i fratelli, lieto di essere amico di Cristo, che non vuole servi ma amici.  Ed essere amici di Gesù vuol dire accettare la sua Persona, vuol dire accettare il suo amore per noi, vuol dire amarLo e amare il nostro prossimo.

Un esempio speciale di questa accettazione di Cristo, di questa adesione a Lui è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne sono chiamate ad essere nel mondo testimoni della fedeltà di Dio che è il custode della loro.

Fedeli alla Parola rivolta a loro da Dio fin dal giorno del battesimo e che nel tempo ha preso la forma di una chiamata a vivere la vocazione cristiana nella forma particolare della consacrazione verginale.

Fedeli come spose al loro Sposo, perché la caratteristica delle dell’Ordo Virginum che è quella di vivere il loro essere spose di Cristo nella vigilante custodia della promessa di Gesù: “Sì, vengo presto!” (Ap 22,20) e nell’essere voce che, nell
a gratuità, responsabilità e libertà pura delle relazioni, grida alla Chiesa e al mondo: “Ecco lo Sposo! Andategli incontro!” (Mt 25,6).

Fedeli a Cristo, le donne dell’Ordo Virginum sono portatrici della Parola dell’Amato. E’ dall’amore sempre fedele di Dio che esse attingono forza nel perseverare nell’abbraccio la verginità per il Regno dei cieli (Mt 19,12) e si impegnano a vivere ogni giorno con autenticità e concretezza quell’Amore che manifesta il volto di Dio.

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NOTE

[1] Il verbo rimanere (μένειν, menein,) s’incontra 118 volte nel Nuovo Testamento, di cui soltanto 12 nei Vangeli sinottici, 17 in Paolo e ben 67 nel Vangelo e nelle Lettere di Giovanni. Il termine appare il più delle volte (43 dei 67 casi) nell’espressione composta rimanere in. Direi che si possono distinguere tre modalità dell’uso del verbo rimanere e delle espressioni ad esso collegate: innanzitutto l’uso semplicemente biografico-spaziale, connesso alla descrizione degli spostamenti di Gesù nella sua missione pubblica. In secondo luogo le espressioni che ricorrono nei racconti degli incontri evangelici, come quelli con Giovanni e Andrea (Gv 1,38-39) e con i samaritani (Gv 4,40-42). E infine le formule contenute nei discorsi di Gesù o nelle Lettere: si tratta di inviti rivolti ai discepoli a rimanere in Lui, rimanendo nella sua parola e nel suo amore. Ci sono affermazioni in cui è indicato insieme il rapporto di Gesù con i discepoli e il rapporto di Gesù con il Padre e la comunione con il Padre e con il Figlio che è sperimentata dai discepoli.

[2] Si vedano, per esempio, Isaia 5, 1-7, il Salmo 80 e Osea 10.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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