Si racconta d’un giudice d’una città… nella quale tutti i giovani sono stati accusati di orrendi crimini e nefandezze. Questo giudice – che aveva un figlio giovane – era noto per la sua onestà di giudizio e imparzialità nel condannare i vari responsabili.
Però non se la sentiva di coinvolgere tutti i giovani della città… anche se in diverso modo erano tutti responsabili di quanto è accaduto.
Venne ad uno stratagemma dettato dal suo amore per i giovani. “Addosserò ad uno solo le colpe di tutti… Condannerò solo lui – il mio giovane e unico figlio – come unico colpevole di tutti i misfatti… Gli altri si ritengano abbondantemente assolti”. Ci fu una grande festa.
Il figlio del giudice conosceva molto bene la bontà, la magnanimità del papà… Ebbe un fremito di spavento… quasi di ribellione. Lui non aveva commesso nessuno dei reati che condannavano tutti i giovani… Ma… era anche lui uno dei giovani… Il processo, ormai, non si poteva svolgere che…accusando uno solo, addossando solo su di lui tutto il peso universale.
Il figlio non capì più nulla… Più ragionava meno comprendeva… Più calcolava meno risultava…
A casa col papà c’erano solo sguardi che richiedevano la totale, “assurda” fiducia reciproca… Sguardi serenamente impegnativi e fiduciosi del figlio; sguardi severamente esigenti e serenamente coinvolgenti e rassicuranti del Padre.
Finché nella straziante, ma passeggera esitazione del figlio vinse il totale abbandono nel volere del Papà. “Eccomi! Padre alle tue mani mi affido”.
Ho bisogno, figlio mio, della tua innocenza, della tua totale estraneità ai fatti per infierire, col mio infinito Amore, in modo radicale ed esemplare.
Radicale perché la tua infinita innocenza redima l’infinita colpevolezza degli altri.
Esemplare perché tutti sapranno quanto è grande il mio amore e radicale il mio perdono per ciascuno. Nessuno più potrà dubitarne.
Ciao da p. Andrea
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