Con Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sale a 80 il numero di papi canonizzati. Se si osservano i numeri (fonte: www.santiebeati.org) riguardanti tutti i 266 romani pontefici, da San Pietro Apostolo a papa Francesco, tale percentuale si attesta intorno al 30%.
Il dato più significativo, tuttavia, è un altro: ben 72 papi canonizzati su 80 sono vissuti e hanno regnato prima dell’Anno Mille. Dei restanti otto, quattro sono vissuti nel Basso Medioevo (tra l’XI e il XIII secolo), gli altri quattro nell’epoca moderna: questi ultimi sono San Pio V (1566-1572), che definì l’assetto della Chiesa controriformista all’indomani del Concilio di Trento; San Pio X (1903-1914), che condannò gli errori del modernismo e salvò la Chiesa da una deriva neoariana; San Giovanni XXIII (1958-1963), che indicendo il Concilio Vaticano II, aprì alla Chiesa uno sguardo sulla modernità, senza però rinnegarne alcun principio dottrinale o dogmatico; infine San Giovanni Paolo II (1978-2005), dei quattro il meno legato ad epocali cambiamenti ecclesiali o dottrinali, la cui santità è un genuino frutto del carisma personale e del peculiare inquadramento storico-culturale di questo pontefice.
C’è tuttavia un altro particolare da non trascurare: tutti i papi dell’era pre-costantiniana (quasi tutti canonizzati) hanno subito il martirio in odium fidei, elemento, quest’ultimo, che da sempre rappresenta un’autentica “corsia preferenziale” per la canonizzazione.
Tornando all’epoca moderna, segnatamente agli ultimi due secoli, vanno segnalati, oltre ai tre citati papi santi, 1 beato (Pio IX), 2 venerabili (Pio XII e Paolo VI) e 2 servi di Dio (Pio VII e Giovanni Paolo I).
È proprio nell’epoca di maggiore secolarizzazione, nonché di conclamata crisi di identità dell’istituzione ecclesiale, che si concentra dunque la maggior percentuale di pontefici non martirizzati elevati agli altari o destinati ad esserlo.
L’ultimo secolo, quindi, ed in particolare gli ultimi decenni, vedono la riaffermazione della potenza carismatica del successore di Pietro. È proprio nei momenti in cui la barca di Pietro inizia a beccheggiare, finendo esposta alle tempeste, che emergono capitani coraggiosi e determinati a riportarla nella bonaccia.
In un’ottica laica si può pensare ad una Chiesa che, per risollevare le proprie sorti, si affida ai suoi uomini migliori e, beatificandoli o canonizzandoli, indica al suo popolo l’esempio da seguire: una singolare piramide, la cui forza è tutta nel vertice che dà sostegno alla base.
Volendo invece osservare il fenomeno da una prospettiva sovrannaturale e provvidenziale, il cattolico medio intuisce che è Dio dona al suo popolo, le migliori guide per ogni epoca che la Chiesa attraversa; uomini anche molto diversi tra loro ma tutti ugualmente funzionali ad un piano di salvezza.
Al di là delle poco interessanti diatribe attuali sulla “papolatria”, sulla natura mediatica del papato o sul primato di Pietro più o meno contrapposto alla “collegialità” della Chiesa, il Papa si conferma la figura di maggiore interesse per l’uomo di oggi che, pur invischiato nelle contraddizioni e nelle brutture della sua epoca, rimane affascinato (o, al contrario, spaventato) dall’idea di un monarca, tanto regale quanto buono, magnanimo e paterno, con lo sguardo rivolto verso la terra e gli uomini e il cuore sospeso in Cielo.
Venendo alla straordinarietà dell’evento celebratosi ieri in piazza San Pietro – due pontefici canonizzati da altrettanti successori, un regnante ed un emerito – assistiamo alla stridente dicotomia di un popolo cattolico eterogeneo quanto compatto nell’amore verso il Papa, chiunque esso sia, contrapposto al broncio degli intellettuali, sempre intenti a vivisezionare ogni singolo gesto o affermazione di ogni pontefice, pur di riscontrare presunte discontinuità insanabili, sempre assai capziose ed artificiose.
Tacendo delle contrapposizioni tra i papi viventi, c’è chi ha voluto mettere il “progressista” Roncalli contro il “conservatore” Wojtyla, asserendo (chissà con quanta convinzione) l’inopportunità della canonizzazione dell’uno o dell’altro.
Al tempo stesso c’è chi ignora (o fa finta di ignorare), tra le altre cose, la comune enfasi dei due nuovi santi sulla misericordia, indicata da Giovanni XXIII come la “medicina” che avrebbe guarito l’uomo moderno dalle tristezze di una vita senza Dio o di una fede smarrita nei meandri di una ritualità convenzionale e un po’ bigotta.
Dal canto suo, Giovanni Paolo II, in perfetta continuità con il suo predecessore, è stato l’istitutore della festa liturgica della Divina Misericordia, ricorrenza ispirata alle visioni della sua santa connazionale Faustina Kowalska, alla vigilia della quale, il 2 aprile 2005, il papa polacco nacque in Cielo, mentre ieri, in occasione della medesima festa, è stato canonizzato.
Quella misericordia che non ha nulla a che vedere con il pietismo o la commiserazione ma è solamente un frutto dell’amore cristiano, dello sguardo di Gesù cui basta fissare nei volti per amare, come fa con il giovane ricco, (cfr. Mt 19,16-22). Quella misericordia che, prima ancora delle pur preziose doti intellettive e sapienziali dei grandi dottori della Chiesa, rappresenta la condizione imprescindibile per varcare l’ingresso della salvezza.
È la medesima misericordia che accumuna i due nuovi santi al loro successore che li ha canonizzati; e quando papa Francesco afferma: “non abbiate paura della tenerezza”, non possiamo non cogliere un segno di continuità con chi lo ha preceduto.