La messa celebrata nel lager di Dachau

Padre Giuseppe Girotti, martire beatificato oggi ad Alba, testimonia il potere della liturgia che anche nei lager operava prodigi e miracoli ed univa i credenti

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La santità del Padre Giuseppe Girotti, domenicano, morto martire il 1 aprile del 1945 nel campo di concentramento di Dachau, offre diversi spunti di riflessione ed occasioni per illuminare la nostra fede. La vita terrena di Padre Girotti, termina con il martirio a Dachau, in quel campo di prigionia che era chiamato anche “il campo dei preti” dall’enorme numero di sacerdoti che erano lì radunati.

La vita del prete in quel luogo era come quella di tutti gli altri. Nessun trattamento di favore, nessun riguardo. Tra le drammatiche ed estenuanti fatiche ed atrocità, però rimaneva intatta in loro la testimonianza di una vita donata a Dio nel servizio dei fratelli.

Molte testimonianze infatti ci raccontano, tra cui quelle raccolte per la beatificazione del Padre Girotti, come fosse intesa e consolante in questi santi sacerdoti la preghiera, personale o comunitaria, e l’esercizio del loro sacerdozio, che svolgevano con la celebrazione dei sacramenti e con il ministero della predicazione e dell’evangelizzazione.

Per noi ci sembra veramente impossibile. Eppure era tanto grande la fede di questi sacerdoti, che anche a Dachau, specialmente la domenica, pare per una speciale concessione, e proprio forse per il numero elevato di sacerdoti, veniva celebrata la Santa Messa, in modo che i loro compagni di prigionia, potessero parteciparvi.

E si celebrava quando si poteva, anche la sera, come narra un detenuto sopravvissuto al campo di prigionia che ha assistito ad una Santa Messa domenicale pochi giorni dopo la morte del Padre Giuseppe Girotti (cf. Diario del capitano Tommaso A. Melisurgo, Jubal, 1995, p. 25). Questo prigioniero scrive nel suo Diario: “ho assistito alla celebrazione della Santa Messa: quale sollievo per il mio animo afflitto!”. 

Queste celebrazioni avevano una caratteristica che le rendevano ancor più significative: erano celebrazioni “senza confine”, nel senso che radunavano fedeli di tante nazioni, culture, tradizioni. La dimensione di una preghiera “senza confini” era una potenzialità della liturgia già ampiamente studiata ed approfondita, negli anni precedenti, da parte di sacerdoti, monaci, vescovi, sommi pontefici e laici.

Questo ripensamento e questa riflessione sulla liturgia, proprio di quegli anni, si racchiude sotto il nome “movimento liturgico”. Con tale espressione ci si riferiva a quel movimento, nato agli inizi del 1900, finalizzato, essenzialmente, ad una riscoperta della vitalità propria della liturgia della Chiesa per una più intesa e viva partecipazione di tutti i fedeli. In una parola, una liturgia dove fosse possibile una “attiva e consapevole partecipazione” dei fedeli (come dirà poi la Sacrosanctum Concilium, n°. 14). 

Il movimento liturgico, come notano gli studiosi di liturgia, si è diffuso e sviluppato attraverso diverse vie. Accanto agli studiosi più o meno conosciuti, di diverse nazionalità e culture, come per esempio R. Guardini, R. Otto, e molti altri tra cui anche diversi italiani, ci furono anche dei luoghi di “irraggiamento” della liturgia come alcune diocesi, studi teologici e soprattutto monasteri.

Ma, come notano gli studiosi della liturgia, nel periodo che va tra l’inizio della seconda guerra mondiale sino al Concilio Vaticano II, il movimento liturgico ha avuto un rapido e più intenso sviluppo, anche  attraverso alcune vie che non sono state meno provvidenziali delle altre. Infatti,

“anche per altre vie che non quelle del supremo magistero papale – e di queste non meno provvidenziali – il movimento liturgico mostrava la sua capacità di penetrazione. Già infatti le difficoltà e le necessità della seconda guerra mondiale, con i suoi campi di concentramento e di lavoro e con la stessa persecuzione religiosa nazista, avevano rivelato la vitalità insita in una liturgia vissuta; ma si era scoperto anche quale potere di superamento dei confini nazionali le fosse proprio” (B. Neunheuser, Movimento liturgico, “Nuovo Dizionario di Liturgia”, 1290).

I campi di concentramento erano proprio tra queste “vie provvidenziali” nelle quali si è manifestato questo “potere” della liturgia di unità nella distinzione, di comunione nella diversità. Lingue e culture diverse, ma una stessa preghiera, uno stesso “sacrificio di lode” che si innalza al Dio altissimo.

Questo “potere” di superamento dei confini era il potere stesso della grazia divina che, addirittura nei campi di prigionia della guerra mondiale, operava prodigi e miracoli di santificazione e redenzione, ed univa i credenti nell’unità della Chiesa. 

La massa anonima dei prigionieri di Dachau era radunata attorno all’eucaristia, e facevano la Chiesa, non una massa anonima, ma una comunità di fratelli in Cristo.Ci appaiono perciò profetiche quelle parole di Romano Guardini, fautore del movimento liturgico in Germania e uno dei padri del Concilio Vaticano II. Il Guardini infatti, già nel 1919, parlava in questi termini:

“Lo scopo prossimo e specifico della liturgia non è quello di dar espressione al culto individuale di Dio: essa non deve edificare il singolo come tale, suscitare ed educare la sua vita religiosa. Nella liturgia non è il singolo che agisce e che prega: E neppure il complesso di una molteplicità di persone, come potrebbe essere al riunione in una chiesa, di una “comunità”, quale mera unità nel tempo, nello spazio, nei sentimenti. Il soggetto, Nella liturgia non è il singolo che agisce e che prega. E neppure il complesso di una molteplicità di persone, come potrebbe essere la riunione in una chiesa, di una «comunità», quale mera unità nel tempo, nello spazio, nei sentimenti. Il soggetto, l’io, della liturgia è piuttosto l’unione della comunità credente come tale, è qualcosa che trascende la semplice somma dei singoli credenti, è, insomma, la Chiesa”, (R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia 19614, p. 46).

L’Eucaristia celebrata a Dachau dal Padre Giuseppe Girotti, e da tanti altri sacerdoti, nell’unione di un’unica espressione di fede, faceva si che i fedeli che vi assistevano non erano più una massa anonima, ma erano membra vive della Chiesa uniti al Cristo. La Chiesa così, anche in quel luogo, risplendeva come segno di unità e vincolo di carità: signum unitatis!, vinculum caritatis! (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 26, n°. 13).

Facciamo così nostra, illuminati dalla testimonianza e dall’intercessione dei santi e specialmente dei martiri della fede e della carità, come lo è stato Padre Giuseppe Girotti, la preghiera che rivolgiamo al Padre in questa Colletta nel Primo formulario diMessa per l’unità dei cristiani:

“Dio creatore e Padre, che riunisci i dispersi e li custodisci nell’unità, guarda con bontà il gregge del tuo Figlio, perché quanto sono consacrati da un solo Battesimo formino una sola famiglia nel vincolo dell’amore e della vera fede” (Messale Romano, Messa per l’unità dei cristiani,1., p. 796).

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Paolo Maria Calaon

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