“Disteso sul tavolo della sala operatoria, la testa alta, le braccia allargate, gocce di sangue che scendevano da un dito della mano sinistra, quello che fu sfiorato da una pallottola… Giovanni Paolo II mi sembrava un’immagine di Cristo Crocifisso… “ Il cardinale Elio Sgreccia, quando ricorda quel 13 maggio del 1981, ne parla come se fosse ieri, con intensa partecipazione emotiva. L’ottantacinquenne porporato è venuto giovedì in tarda mattinata alla Stampa Estera di Roma per un incontro con i giornalisti in vista della canonizzazione di un Papa che – soprattutto da deus ex machina della Pontificia Accademia per la Vita – ha frequentato spesso, così come è accaduto con il suo successore cardinale Joseph Ratzinger, “un grande maestro in bioetica”.
Il porporato marchigiano lascia libero corso ai ricordi. Karol Wojtyla, – già da arcivescovo di Cracovia – accompagnava il cardinale Stefan Wyszynski al Policlinico Gemelli per “raccogliere le offerte per la Chiesa polacca”: servivano soprattutto per le necessità liturgiche e di formazione. Lì, dove dal 1974 don Sgreccia era assistente spirituale, era infatti molto attivo un istituto di laici consacrati (intitolato alla Regalità di Cristo), fondato da padre Agostino Gemelli e presieduto in quegli anni da Giancarlo Brasca. Che non a caso, Karol Wojtyla volle incontrare, visitando due giorni dopo essere stato eletto Papa il suo grande amico monsignor Andrzej Deskur ricoverato proprio nel Policlinico.
Verso le 17.30 di quel 13 maggio 1981 monsignor Sgreccia ricevette nel suo ‘studiolo’ una telefonata che gli annunciava l’attentato e il ricovero del Papa ferito nell’ospedale. “Mi affrettai verso l’ “appartamento papale” di 4 stanze previsto in caso di necessità, ma fui dirottato verso l’ottavo piano dove c’erano le sale operatorie… Il Papa era già dentro, disteso sul tavolo… Don Stanislao Dziwisz mi disse che gli aveva già dato l’olio degli infermi e che aveva perso molto sangue… Mi pregò di restare al suo posto, dato che pensava di non riuscire a dominare l’ansia, l’angoscia… Allora chiesi al primario professor Francesco Crucitti il permesso di rimanere… acconsentì e indossai subito il camice, i guanti, la mascherina, mettendomi in un angolo”. L’intervento, evidenzia l’odierno porporato, era delicatissimo, fatto senza nessuna preparazione sul paziente come in chirurgia di guerra. Due erano state le pallottole che avevano colpito il Papa: quella già ricordata che gli aveva sfiorato il dito (e ferito due turiste) e l’altra che era entrata nell’addome… “una pallottola ‘intelligente’ che, pur passando vicinissima a organi vitali, non aveva provocato danni irreparabili….. Giovanni Paolo II ebbe poi la percezione di un intervento particolare e protettore di Maria, era il giorno della Madonna di Fatima… ne derivò il dono del bossolo al santuario portoghese, dove fu incastonato nella statua”.
Un primo segnale incoraggiante sull’intervento monsignor Sgreccia lo ebbe dopo circa un’ora dall’inizio: “Il professor Crucitti alzò la testa per farsi asciugare il sudore… io gli feci un cenno con gli occhi… ne ricevetti uno suo che mi fece capire che le cose procedevano positivamente… ne avvertii don Stanislao per tranquillizzare anche lui…”. Il Papa polacco fu dimesso dal Gemelli il 3 giugno, vi rientrò il 20 per una grave infezione, ne riuscì il 14 agosto….e poi… e poi… in totale Giovanni Paolo II trascorse presso il Policlinico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore 153 giorni e 152 notti. Fin quasi al termine di una vita intensissima, posta sotto il segno del Totus tuus, figlio devoto di una Madre che non tradisce.
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fonte: Rossoporpora.org