Giovanni Paolo II ha insegnato al mondo come vivere la modernità

La riflessione del vescovo Leuzzi durante l’incontro su Wojtyla con gli universitari di Roma, svoltosi ieri presso la cappella San Tommaso d’Aquino dell’Università Tor Vergata

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È possibile individuare un punto nevralgico, prospettico e insieme euristico, che in qualche modo sintetizza il pontificato di Giovanni Paolo II? Non è certo impresa facile, vista l’attività apostolica instancabile, l’ampia e multiforme articolazione degli interventi magisteriali, il senso profetico e critico sulla scena internazionale, la forte e incisiva testimonianza personale…

Impresa ardua. Un tentativo, tuttavia, non azzardato pone in attenzione una sporgenza saliente, che riassumerei cosi: Giovanni Paolo II, attingendo alla vena profonda del Concilio Vaticano II, ha indicato alla Chiesa la via del confronto e del servizio, per così dire, alla modernità.

Nell’avvicinarsi dell’evento della sua canonizzazione è possibile comprendere lo stupore degli uomini  e delle donne che ascoltarono l’invito di Giovanni Paolo II: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”. In fondo si trattava e si tratta di un annuncio ovvio da parte di Chi presiede la comunità ecclesiale. In realtà nell’invito di Giovanni Paolo II c’era qualcosa di nuovo. Aprite le porte a Cristo è oggi un invito che coglie lo snodo drammatico per la scena del nostro tempo. La società degli uomini, con il suo sviluppo accelerato, a volte frenetico, con la complessità articolata e spesso contraddittoria, con il suo sviluppo stupefacente e le sue miserie aberranti, sembra estranea alla parola della fede. E la Chiesa, a sua volta, sembra lontana, estraniata, ancorata a tempi e ritmi  che appaiono lenti, quasi statici.

Ma Giovanni Paolo II  proclama l’uomo «via principale della Chiesa», ribadisce, con Paolo VI, che la Chiesa è «esperta della condizione umana», pone senza tentennamenti il paradosso per cui la tensione escatologica non evade dal mondo, ma stabilisce la sorgente autentica dell’impegno sociale (RH 15).

La rivoluzione industriale, la società della comunicazione e della globalizzazione non sono pregiudizialmente viste come nemiche; al contrario, si tratta per il Papa di processi dinamici in cui è possibile tracciare la via per accogliere la novità del Vangelo.

L’uomo è creato per coltivare la terra, cioè per esprimere nella sua attività quotidiana la capacità originaria di collaborare con Dio nel mondo creato. Questa propensione è turbata e mistificata dal peccato, che la deforma, rendendola luogo di sfruttamento, appropriazione, discriminazione e oppressione. Il desiderio di uscire da sé e arricchirsi – questo desiderio esistenziale e “ontologico” (essere di più) – trova riscatto e verità solo in Gesù: solo Cristo può arricchire l’uomo nel profondo, ontologicamente. La vita nuova il Lui è una nuova esistenza da scrivere giorno per giorno.

Questo tesoro, che la Chiesa custodisce da sempre (e che alcune epoche hanno velato), diventa una scoperta nuova nel tempo in cui la società assume il dinamismo nuovo della “modernità”. È giunto il tempo di “rivelare” la modernità, che si realizzi quell’arricchimento ontologico dell’uomo che la società non è in grado di comprendere e servire pienamente.

 Non si tratta di un aspetto settoriale: la storia contemporanea è drammaticamente posta dinanzi al bivio della morte storica dell’uomo. Non la morte spirituale, che l’uomo da sempre ha sperimentato nella sua esistenza, ma del suo annichilimento nel farsi nella storia.

A nulla servirebbe una proposta religiosa che incontri l’uomo fuori dalla storia! È necessario proclamare e offrire la salvezza integrale dell’uomo, che lo rende capace di camminare nella storia con Dio per “essere in vita” per sempre.

Come non ricordare la sorprendente affermazione di Giovanni Paolo II nella prima Enciclica Redemptor Hominis: «l’uomo è la via della Chiesa»? La Chiesa non vive per se stessa, ma deve offrire all’uomo la via per vivere il proprio tempo, perché nel tesoro del Vangelo può e deve tirar fuori il “vino” necessario per il cammino storico dell’umanità.

La modernità, dunque, non si pone in alternativa o in contrapposizione con il cristianesimo, anzi “il Verbo si è fatto carne” perché gli uomini possano vivere in pienezza ogni epoca della storia. Con Giovanni Paolo II, allora, la Chiesa ha iniziato una nuova era: quella del servizio alla modernità.

Gli universitari e gli uomini di cultura sono sollecitati a compiere una grande opera di carità intellettuale, rivedere il rapporto tra Vangelo e storia nel tempo della società industriale avanzata senza pregiudizi, ma con il desiderio di assumere le sfide che Giovanni Paolo II, con voce profetica, ha indicato nel suo ministero petrino. Scrivere una pagina nuova, in cui, nelle forme di una modernità rinnovata, l’uomo si scopre come colui che Dio ama per se stesso. È questo l’annuncio che ogni uomo e donna desiderano ascoltare e sperimentare, il solo capace di condurre la modernità a essere veramente se stessa.

È grande la gioia di celebrare la sua canonizzazione, e non retorica: è immenso il servizio che Egli ha reso alla Chiesa e all’umanità.

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Lorenzo Leuzzi

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