Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la Domenica di Risurrezione (Anno A).
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
La tomba non ha potuto contenerlo, Cristo è risorto: cerchiamolo tra i vivi
Rito Romano
At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9
Rito Ambrosiano
At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Una breve premessa:
La Pasqua che oggi con gioia celebriamo non è una semplice commemorazione di un fatto passato, ma partecipazione al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. Ora non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per rialzarsi dalla tomba; è il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da ciascuno di noi. La Pasqua ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il Cristo per resuscitare con lui. E non solo lo insegna, essa lo mette in pratica. La Pasqua è il Cristo che un tempo è morto e risuscitato, facendoci morire della sua morte e resuscitandoci alla sua vita.
1) Gesù è risorto davvero ed è apparso in primo luogo ad una donna.
Con la celebrazione della Pasqua non solo ricordiamo la Risurrezione, ma la rendiamo presente nella gioia, che nasce dall’incontro con il Signore risorto.
Il racconto evangelico proposto dalla Liturgia di oggi ci è di aiuto per capire e vivere tutto ciò. Si tratta di un racconto è molto lineare: c’è Maria che aspetta la prima luce per correre al sepolcro, lo trova vuoto, pensa che Gesù sia rubato; e ci sono gli Apostoli Pietro e Giovanni che corrono al sepocro per vedere se è vero quello che Maria e le altre donne dicono. L’amore a Cristo, anche se morto, permaneva in loro e, per amore, loro si erano recate alla tomba quando spuntava l’aurora del giorno nuovo, del primo giorno dopo il sabato, dell’inizio della nuova creazione.
Di per sé il racconto su Maria continua poi dal v. 11 e seguenti, che non sono nel brano scelto oggi ma che varrà la pena di andare a rileggere perché la liturgia oggi si ferma al v. 10. Ma credo utile commentare prima i versetti che vengono dopo, e che mi permettono una riflessione pertinente a oggi.
Dunque, avendo visto la Tomba vuota, questa donna è smarrita, sconvolta. Ai suoi occhi il corpo morto del Crocifisso era l’unica cosa che era rimasta del Signore tanto amato, a cui da vivo lei aveva lavato i piedi con le proprie lacrime e con un profumo preziossimo.
A un tratto Lui è lì accanto a lei con il Suo corpo risorto, ma Maria Maddalena non lo riconosce. Persa nei suoi pensieri e nel suo progetto di ritrovare il corpo sfigurato dalla passione, avrà cercato di guardare bene quell’estraneo che inaspettatamente si era messo accanto a lei? Sarà stata capace di suppore che questo supposto “ortolano” potesse essere Colui che le aveva perdonato tutti i peccati di una vita destinata alla morte, facendola “risorgere” alla vita vera? Sì! Per colei che aveva fatto esperienza che l’amore di Gesà è più grande del peccato, è bastata una parola: “Maria”. All’udire il suo nome pronunciato nel primo chiarore dell’alba da una voce ben conosciuta, riconobbe il Maestro risorto. Allora nel suo cuore si sprigionò la luce e in lei fiorì la fede che è riconoscere la presenza del Cristo risorto davanti a sè, accanto a sé, dentro di sè. E da quel momento nulla potrà strappare dal cuore di questa donna la certezza che si era impossessata del suo cuore e della sua mente.
L’Evangelista Giovanni, nel descrivere l’incontro di Maria di Magdala con Gesù, evidenzia tre aspetti fondamentali della fede cristiana: l’iniziativa, il riconoscimento e la missione. A colei che cerca una persona morta Cristo si mostra vivente (l’iniziativa): una conoscenza del Risorto che non avviene, però, con un incontro percettivo, e per questo Egli rimane ancora uno sconosciuto. Tutto cambia quando la Sua presenza diventa un appello personale (il riconoscimento): Gesù la chiama per nome, e Maria risponde come aveva sempre fatto durante la sua vita terrena: “Rabbunì” (titolo famigliare di Rabbì che significa mio maestro). Alla rivelazione segue l’investitura (la missione) dell’annuncio: mentre Maria vuole toccarLo, il Messia le affida il grande messaggio, espresso nel tipico linguaggio giovanneo, da portare ai fratelli: “Va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Cristo la face così diventare “apostola degli apostoli” (San Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di Giovanni, XX, 2519.10). Questo invito oggi è affidato in modo particolare alle Vergini consacrate che mostrano con la loro esistenza sia presa dall’iniziativa di Dio, sia vissuta nel riconoscimento di Cristo, che le manda in missione nel mondo. Loro esplicitano questgo compito seguendo l’invit della Chiesa, come lo raccomandano i Prenotanda al n. 2°: “Lro si dedicano in effetti alla pregiera, alla penitenza, al servzio del prossimo ed al laoro apostolico, seguendo il loro stato di vita…”. Ciò mostra che la preghiera è l’anima di ogni apostolate. Questo invito è pure confermato nell’ “Invio” (n.° 36, quando il Vescovo invoca lo Spirito Santo sulla consacrata:” Lo Spirito Santo che fu dontato alla VergineMaria e chi consacra oggi il tuo cuore, ti animi della sua forza per il servizio di Dio e della Chiesa”.
Qui il Vangelo di oggi ci rivela il segreto che permette alla fede di nascere in ciascuno di noi. La fede ci è data da Gesà stesso che viene accanto a noi quasi di nascosto, senza farsi riconoscere immediatamente da noi. Gesù viene a tenerci compagnia, ad accendere un fuoco in noi, sino all’istante in cui scopriamo che è proprio Lui, che è qui, ci chiama per nome e gli diciamo di sì con la mente e con il cuore.
Alla nostro umile, confidente atto di fede Lui risponde risorgendo anche nel nostro cuore.
Come la pianta esposta ed orientata alla luce vive, così orientiamoci alla luce di Cristo, con la preghiera e la carità. Allora Cristo entrerà nella nostra casa donando gioia e pace, vita e speranza, doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e spirituale.
2) Pietro e Giovanni: testimoni di un fatto, non di una teoria.
Ora ritorniamo all’inizio del brano evangelico di oggi, che interromope la narrazione su Maria Maddalene e, prima di narrare l’incontro di Cristo con lei, ci parla del correre di di Pietro e di Giovanni per verificare quanto le pie donne hanno riferito a loro ed agli altri Apostoli.
Nel racconto di oggi Pietro fa “soltanto” una cosa: constata che il sepolcro è vuoto. Non è cosa di poco conto, perché in tal modo il Primo degli Apostoli attesta il dato oggettivo della fede, constatando che la Tomba di Cristo è vuota in modo inspiegabile. In effetti se il corpo di Gesù fosse stato rubato i lini sarebbero in disordine e non stesi, e il sudario non sarebbe avvolto e messo su un luogo determinato. Pietro constata dunque il dato oggettivo: il sepolcro è vuoto e non si tratta di un furto. L’altro discepolo invece, amico di Gesù, quello che Gesù amava, vedendo le stesse cose, crede che Gesù è risorto. Quindi è sottolineato il fatto che non basta l’elemento oggettivo, che il sepolcro sia vuoto, che si sia sicuri che non è stato
rubato. Ci vuole una spiegazione e ci vuole l’amore e l’intelligenza del cuore oltre a quella della testa, per credere alla risurrezione. Se ami una persona, la capisci, sperimenti chi è lei, le credi e conosci la verità di lei. Sant’Agostino scrive: “Non si entra nella verità se non per la carità”.
Siccome la risurrezione non è una teoria, ma un incontro con il Cristo risorto, allora puoi dare anche mille prove che Cristo è risorto, ma non basterà, perché il problema è un altro. Non sono le prove o i segni che mancano; la spiegazione unica più ragionevole è che sia risorto, ma non è questa; il problema è incontrare Lui e chi ama lo incontra sempre. Gli basta poco, gli basta un segno per capire.
La notte della morte è passata, il “Sole” è risorto per non più tramontare, il Bene ha vinto il male. Dove aveva abbondato il crimine, sovrabbonda la grazia, la gioia di Cristo lenisce ogni dolore e possiamo dire con serena sicurezza il Salmo 56 (57): “Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, a te voglio inneggiare: svègliati, mio cuore, svègliati arpa, cetra, voglio svegliare l’aurora” (vv 8-9).
L’iniziale mancanza di fede e l’incomprensione che hanno coinvolto Pietro e Giovanni, c’è stata anche in Maria di Magdala. Per riconoscere il Risorto, infatti, non basta la pura e semplice conoscenza fisica e razionale, ma è necessario quel percorso nella fede che in Maria avviene solo quando è chiamata per nome in un dialogo di profonda intimità, riportato da Giovanni in modo veramente toccante. L’apparizione è preceduta da una visione di angeli, quasi increduli della tristezza della donna (perché piangi?), ai quali Maria piangente spiega che hanno preso il suo Signore. È indicativo come Giovanni “dipinga” la posizione dei due angeli “seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù”: un’immagine che ricorda l’Arca dell’Alleanza, quasi a voler affermare che ogni profezia dell’Antico Testamento si è ora realizzata in quella tomba vuota, testimonianza del Cristo risorto.
La Resurrezione di Gesù è il sì di Dio a Cristo e a noi, poiché risuscitando l’uomo Gesù, Dio ha resuscitato tutta l’umanità e ha ricreato cieli nuovi e terra nuova. Torna a vivere non un’idea di Cristo, ma il Cristo in carne ed ossa, corpo immortale e trasfigurato.
Pur lodando la fede di Giovanni illuminata dall’amore, alla quale seguì sicuramente anche quella di Pietro, l’Evangelista sembra tuttavia rimproverare quel “ritardo” nel capire la grande verità (Non avevano infatti ancora (fino a quel momento) compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti). La vera fede, infatti, è quella che si affida totalmente alla parola di Dio e non cerca qualche testimonianza, o qualche indizio di attendibilità come il sepolcro vuoto; tutto questo è dovuto all’impreparazione perenne dell’uomo carnale di fronte al mistero di Dio. Alla luce di tutto questo, il “vedere” di Giovanni diventa testimonianza e impegno di fede e di vita per ogni vero cristiano che vuole intraprendere il difficile cammino verso la salvezza eterna perché, come affermava il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, la Pasqua è un intervento di Dio dall’eternità, è il preludio delle cose ultime, quelle che si verificheranno quando sarà la volontà del compimento finale, e di cui è possibile parlare soltanto in immagini o con parabole. La Pasqua rivela tutta la gloria e la potenza di Dio. Egli è il padrone della morte, non solo quella del Figlio, ma anche quella di ogni essere umano, e come ha risuscitato Gesù così porterà il Suo popolo santo dalla morte alla vita.
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LETTURA PATRISTICA
Lettura Patristica
San Gregorio di Nazianzo
Meditiamo queste parole di San Gregorio di Nazianzo:
“Noi vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, e a quanti della gloria e della speranzadel nome cristiano sono rivestiti nel mondo, che Cristo ancor oggi, è nella storia del mondo, ancor oggi più che mai, Cristo è vivo, Cristo è reale. Vivo e reale, non nella penombra del dubbio e dell’incertezza…Cristo è presente. Il tempo non lo contiene e non lo consuma. La storia si evolve e può assai modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza la illumina .. Egli è il gaudio della terra; Egli è il medico d’ogni umana infermità. Egli si personifica in ogni uomo che soffre; finché sarà il dolore sulla terra, Egli se ne farà propria immagine per suscitare l’energia della compassione e del generoso amore. Gesù perciò è sempre e dappertutto presente…Egli è il Maestro, il Fratello, il Pastore, l’Amico d’ognuno dei suoi, il Salvatore d’ogni singola creatura umana che abbia la fortuna di essere da Lui associato come cellula del corpo mistico, di cui Egli è il capo.Ciascuno è autorizzato a chiamarlo per nome, non come personaggio estraneo, lontano inaccessibile, ma come il “TU” del supremo ed unico amore, come lo Sposo della propria felicità che misteriosamente è più vicino di quanto ciascuno che lo cerchi può immaginare, come è stato detto: “consolati, tu non mi cercheresti, se già non mi avessi trovato”.
Queste parole sono preghiera commossa che possiamo oggi fare nostra, nella gioia.