Papa Francesco ha stabilito la scorsa settimana che l’Istituto per le opere religiose (Ior) non sarà soppresso. Il Pontefice ha infatti riaffermato “l’importanza della sua missione per il bene della Chiesa cattolica a cui continuerà a fornire servizi finanziari specializzati in tutto il mondo. Una decisione in realtà per nulla scontata, se si considera che lo stesso Bergoglio non escludeva mesi fa, tra le varie ipotesi, la netta soppressione dell’istituto. Lo Ior sarà, pertanto, investito da una radicale e necessaria riforma fondata sulla trasparenza e l’onestà. “Dev’essere così!” ha concluso con risolutezza il Papa.
Ho sempre trovato estremamente logico quel primo moto di sdegno e delusione che si avverte alla notizia dei tanti scandali che accadono, specie se all’interno di una realtà umana e imperfetta come la Chiesa che porta con sé, allo stesso tempo, la pretesa dolcissima di comunicare il divino. Spero però, dal canto mio, che una simile decisione da parte del Papa non mi colga come quasi tradito da quest’uomo che - a quanto risulta dalle più aggiornate statistiche – sembra ricordare molto un bonario Robin Hood, pronto a rinfrancare i più deboli con parole affettuose e a colpire i tanti ladri che insorgono da ogni dove con frecciate argute e insieme indulgenti. Dico ciò perché mi pare che questo di Francesco sia davvero un gesto originale, nel senso più vero del termine; un gesto, cioè, totalmente pervaso dell’unica origine dell'esperienza in seno alla quale si attesta. Al fondo di esso riposa dunque nientemeno che il segreto dell’immortalità della comunità cristiana e, con essa, della salvezza del mondo. No, non si tratta qui di facile e ardimentosa apologia condita di toni apocalittici; quanto invece di fare esperienza diretta di quel che la liturgia detta nella forma della preghiera: “la tua misericordia o Padre ci dia vita”. Alla base v’è - in altre parole - la pura e semplice promessa della nostra quotidiana resurrezione dalla misericordia di Dio che, con il suo sangue, riacquista l'uomo dalla morte del peccato per consegnarlo alla conoscenza viva di sè. Questo è e rimane il vero scandalo della storia umana.
Per questa ragione l'unica condizione che è richiesta a noi è la serietà con la miseria di cui siamo fatti e di cui siamo ogni giorno spettatori perchè in essa dimora il nostro solo merito e la causa della nostra felicità. “Felix culpa” si recita nell’ Exultet ; bisogna che questa nostra povertà sia difesa a rischio della vita come la ricchezza più grande che abbiamo poiché solo ai miseri Dio dona il Suo cuore.
Sembra allora davvero riecheggiare in questa scelta di Bergoglio quella medesima coscienza ed obbedienza che, un anno fa, in occasione della sua rinuncia al magistero petrino, avevano fatto dire a Benedetto XVI “Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua!” Il riconoscimento di una tale verità ha segnato, proprio da un punto di vista dogmatico, uno dei punti più vivi della storia del cristianesimo, quando nel concilio di Cartagine del 411, l’allora vescovo d’Ippona Agostino si scontrò con i donatisti. Essi presumevano che la Chiesa si costituisse come una comunità di perfetti e, legando il valore dei sacramenti alla purezza della vita del ministero, esponevano i sacramenti al tribunale di un dubbio senza fine.
La risposta di Agostino è ancor oggi per noi invito forte e maturo a prender consapevolezza della grazia di cui l’uomo è costantemente fatto oggetto: “Non ti è detto: sforzati di cercare la via per giungere alla verità e alla vita; non ti è stato detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha scosso dal sonno; e se è riuscita a scuoterti, alzati e cammina!”