A queste ed altre domande ha risposto padre Raniero Cantalamessa, nel corso della predica del Venerdì Santo che ha pronunciato oggi pomeriggio nella basilica di San Pietro a Roma.
Il predicatore della casa Pontificia ha ricordato che Giuda Iscariota, uno dei dodici apostoli, “divenne il traditore” (Lc 6,16).
Non lo era in origine ma lo divenne perché fu corrotto dall’idolatria del denaro.
Il Vangelo racconta che Giuda “era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro” (Gv 12,6).
Padre Cantalamessa ha aggiunto che “il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia; letteralmente, “l’idolo di metallo fuso” (cfr. Es 34, 17).
“L’attaccamento al denaro – dice la Scrittura – è la radice di tutti i mali” (1Tm 6,10).
Secondo il predicatore della casa pontificia, “dietro ogni male della nostra società c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro. Esso è il Moloch di biblica memoria, a cui venivano immolati giovani e fanciulle (cfr. Ger 32,35).
A questo proposito padre Cantalamessa ha ricordato che dietro ad atti disumani come il commercio della droga, lo sfruttamento della prostituzione, il fenomeno delle varie mafie, la corruzione politica, la fabbricazione e il commercio delle armi, la vendita di organi umani tolti a dei bambini… c’è un “grande Vecchio” che esiste davvero, non è un mito: “si chiama Denaro!”.
“Come tutti gli idoli, – ha precisato – il denaro è ‘falso e bugiardo’: promette la sicurezza e invece la toglie; promette libertà e invece la distrugge”.
Riferendosi alle tante vittime di questa idolatria ed alla morte di Giuda che si impiccò, padre Cantalamessa ha ripetuto: “Per chi l’hanno fatto? Ne valeva la pena? Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri? Il dio denaro si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori”.
“Ma Gesú – ha sottolineato il predicatore – non ha mai abbandonato Giuda e nessuno sa dove egli è caduto nel momento in cui si è lanciato dall’albero con la corda al collo: se nelle mani di Satana o in quelle di Dio”.
Nella Divina Commedia, Dante Alighieri racconta di Manfredi, figlio di Federico II e re di Sicilia, che tutti a suo tempo ritenevano dannato perché morto scomunicato.
Nella Divina Commedia, Manfredi confida al poeta che, morente, “si arrese piangendo a colui ‘che volentier perdona’ e dal Purgatorio scrive: “Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei”.
Per padre Cantalemessa la storia di Giuda dovrebbe spingerci a “gettarci anche noi tra le braccia aperte del crocifisso” perché la questione più importante “non è il suo tradimento, ma la risposta che Gesú da ad esso”.
A differenza di Pietro che ebbe fiducia nella misericordia di Dio, ha continuato il predicatore, “il più grande peccato di Giuda non fu aver tradito Gesù, ma aver dubitato della sua misericordia”.
Gesù è misericordioso perché “cercò il volto di Pietro dopo il rinnegamento per dargli il suo perdono” e pregò in Croce “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Per fare esperienza sicura della Misericordia – ha sottolineato padre Cantalamessa – esiste il sacramento della riconciliazione.
La confessione – ha aggiunto – ci permette di sperimentare su di noi la misericordia e la tenerezza di Dio.
Per spiegare cosa può fare la Pasqua in ognuno di noi il Predicatore della Casa Pontificia ha concluso ripetendo le parole del poeta Paul Claudel:
“Mio Dio, sono risuscitato e sono ancora con Te!
Dormivo ed ero steso come un morto nella notte.
Hai detto: “Sia la luce! E io mi sono svegliato come si getta un grido! […]
Padre mio che mi hai generato prima dell’Aurora, sono alla tua presenza.
Il mio cuore è libero e la bocca mondata, corpo e spirito sono a digiuno.
Sono assolto di tutti i peccati, che ho confessati uno ad uno.
L’anello nuziale è al mio dito e il mio volto è pulito.
Sono come un essere innocente nella grazia che mi hai concessa”.