Riportiamo di seguito la meditazione di monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, in occasione dell’odierna “naca”, la tradizionale processione del Venerdì Santo nel capoluogo calabrese.
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Sorelle e fratelli carissimi,
La Croce ci ha raccolti tutti, con la via crucis abbiamo rivissuto la giornata più drammatica, più silenziosa, più austera della storia umana. È il giorno del silenzio e del dolore, del dolore della madre, delle donne, dei discepoli, di quanti lo hanno amato e di quanti lo amano; è il giorno delle lacrime e del pianto.Sui nostri passi di viandanti lungo il cammino della Croce, abbiamo portato con noi, nei nostri cuori, tutti gli abitanti dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.Sono con noi i nostri vecchi, soprattutto gli ammalati ed allettati, che attendono da noi il conforto e il sollievo di una presenza, di una parola, di una stretta di mano, un’opera di misericordia per il corpo e per lo spirito: una visita, un suggerimento, una parola di speranza e di conforto. Sono con noi i nostri carcerati, quelli condannati per riparare al male commesso e quelli ancora in attesa di giudizio. L’abbiamo sentito lungo la via dolorosa: il tradimento, la violenza, l’infamia possono covare anche nel cuore di gente molto vicina a Gesù, come abbiamo visto per Giuda, l’apostolo che ha tradito e guidato il drappello che ha catturato Gesù il Nazareno. Satana, carissimi amici, nei momenti in cui meno ce l’aspettiamo, è all’opera, insinua il dubbio nei nostri cuori, ci fa assaporare la bellezza della malvagità gratuita, ci acceca le menti e indurisce i cuori. Eppure, anche nel buio dell’abiezione e dell’abbrutimento, anche nel peccato più incallito, esiste la luce dell’anima, la voce della coscienza che prende atto delle proprie malvagità, chiede perdono, espìa e spera in una parola di fiducia: oggi sarai con me in paradiso. Il Crocifisso illumina tutti i luoghi di esclusione e di emarginazione che le nostre città creano, a volte non soltanto nelle carceri, ma perfino nei ghetti sociali, nelle periferie abbandonate, nelle case in cui si erigono muri di litigio e di silenzio imbarazzato. Perdono, Gesù Crocifisso!Sono con noi i nostri concepiti, i nostri feti che, a volte, dei gravissimi motivi spingono – ahimé – le mamme ad abortire. Quanta vita spenta sul nascere, quanto amore umano sprecato e reso infecondo! Sono con noi i nostri neonati, i nostri bambini, i nostri ragazzi: volti che l’amore di un popolo credente ha voluto rigenerare alla vita nuova battesimale; volti di piccoli, che attendono di essere formati e modellati da adulti, i quali non possono abdicare al proprio dovere di paternità e di maternità, di genitorialità e di educazione. L’abbandono progressivo che il Crocifisso ha subito dall’orto degli Ulivi al Gòlgota, da parte di tutti, nemici ed amici, è per noi una sorta di avvertimento: non bisogna abbandonare gli inermi, gli indifesi, i piccoli, che attendono da noi gesti di vero amore e non soltanto di semplice soddisfazione dei loro bisogni fisici ed economici. Perdonaci, Gesù Crocifisso, quando perdiamo di vista le vite deboli, indifese, non ancora nate, inermi!Sono con noi le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro, che il lavoro non l’hanno ancora trovato, che disperano di trovarlo, che si vendono al miglior offerente pur di guadagnare qualcosa, che cedono alle pressioni delle forze illegali le quali fanno luccicare il colore del denaro a fronte di ingiustizie, illegalità, immoralità gravi. Senza lavoro, il domani è buio, tetro, senza luce. Senza lavoro, non c’è dignità. Questa via Crucis è anche un appello a coloro che possono creare lavoro, che sono in grado di mettere in circolo il danaro, che possono trasformare la città, il territorio, il turismo, la cultura. Oltre alla diffusa povertà economica – quanti poveri attendono ogni giorno da noi un boccone! -, esiste tanta, tantissima, povertà morale, spirituale, colturale, sociale. Quanta fame e sete di rapporti genuini, sinceri, generosi! Quanta fame e sete di relazioni viso-a-viso, relazioni belle, sincere, oltre le reti informatiche e sociali che a volte disperdono nella solitudine e nell’anonimato, invece di avvicinarci! Sorelle e fratelli, davanti alla croce non si può fingere. Nessuno si può nascondere. Siamo messi a nudo in tutte le nostre miserie, reticenze, finzioni, tradimenti, abbandoni. I silenzi di Gesù, le sue sofferenze indicibili, sono anche per noi ed i nostri peccati. Vogliono illuminare gli angoli bui della nostra coscienza morale, ma attendono un nostro cenno di adesione, un nostro siconvinto. Donne e uomini di questa città, ecco la Croce: non è uno spettacolo che passa; è il segno indelebile della salvezza, che chiede, a costo del sangue e della sofferenza, di attraversare le nostre anime, di bruciare le nostre ferite, di purificare le nostre cattive intenzioni, di assecondare i nostri propositi di cambiamento. Solo se lo vogliamo. Solo se, detestando i nostri errori e la nostra vita vuota, chiediamo al sacerdote di riconciliarci con Dio e con i fratelli.Carissimi amici, l’ora della croce arriva per tutti e quando arriva… ricordiamoci di guardare il crocifisso per eccellenza: Cristo è la croce, l’abito che “fa” il cristiano, la croce è la sua divisa, il suo segno distintivo. La croce è fatta di incomprensioni, di abbandono, di ingratitudine, di rifiuti, di umiliazioni, La croce è l’altra faccia dell’amore. La croce di Cristo è un giudizio sulle nostre ingratitudini, sui nostri compromessi, sui nostri tradimenti, sui nostri egoismi, sulle nostre superbie, sulle nostre trasgressioni, sui nostri peccati.
Vorrei che dinanzi alla crocifisso, stasera a conclusione della via crucis, chiedessimo un dono: il dono delle lacrime e della commozione sincera perché eliminino dai nostri cuori durezze ed incoscienze. Senza lacrime non c’è santità. Come ci sente buoni quando le lacrime sono vere, abbandonate, asciugate. Asciughiamo qualche lacrima, consoliamo chi soffre, facciamo del bene, sempre, a tutti.