Aveva dodici anni quando la barbarie nazista gli portò via i genitori. Fu protetto e salvato in un convento di suore. Nonostante le difficoltà era coraggioso e fiero. Mise su famiglia e si batté per trovare e aiutare tutti gli ebrei che come lui erano stati nascosti e salvati nei conventi.
Il 9 ottobre del 1982, fu colpito in pieno dall’esplosione di una bomba posta di fronte alla Sinagoga di Roma. Ma anche in quella occasione sopravvisse. Per tutta la vita testimoniò come il bene vince sul male, anche nei momenti più bui della storia. Ora lo si può immaginare felice con i suoi due genitori che aveva perso troppo presto.
Personalmente l’ho conosciuto, intervistato e frequentato per anni. Abitava nella mia stessa via. È grazie a Emanuele che è stato possibile poter ricostruire storie di ebrei salvati da cristiani. In più occasioni, grazie al suo contributo, si è riusciti a dare la Medaglia dei Giusti ad eroi sconosciuti.
Pacifici non ha avuto una vita facile. Da bambino ha provato l’orrore dell’olocausto direttamente nel suo cuore. Suo padre Riccardo, Rabbino di Genova, e sua madre Wanda Abenaim sono stati uccisi ad Auschwitz. Emanuele fu salvato insieme a suo fratello Raffaele dalle suore dell’istituto di Santa Marta di Settignano vicino Firenze.
Malato di tubercolosi trascorse alcuni anni in Sanatorio. Dopo la guarigione trovò lavoro e si fece una famiglia. Ma il 9 ottobre del 1982 rischiò ancora una volta di morire, colpito in pieno dalla bomba che esplose di fronte alla Sinagoga di Roma. Sopravvisse anche in quell’occasione, ed ha proseguito la sua vita fino all’alba di ieri.
Mi diceva che i ricordi più lieti erano quelli legati alle figure di Suor Cornelia Cordini, Suor Ester Busnelli e don Gaetano Tantalo. Tutti annoverati tra i “Giusti tra le nazioni”. Una volta mi raccontò: “Nel 1943 avevo 12 anni, mio padre fu catturato dai nazisti. Allora insieme a mia madre e mio fratello Raffaele di 6 anni cercammo rifugio a Firenze. Fummo aiutati dal cardinale di Genova, Pietro Boetto, e dal cardinale di Firenze, Elia della Costa, che ci fornirono un elenco di conventi nei quali avremmo potuto nasconderci”. La ricerca non fu facile, i conventi contattati erano tutti pieni. “Dopo tanto peregrinare, ormai disperati fummo accolti da Suor Ester Busnelli che ci aprì il portone del convento delle francescane missionarie di piazza del Carmine a Firenze. Ma nel convento potevano ospitare solo le donne così io e mio fratello fummo trasferiti al monastero di Santa Marta a Settignano”.
“Di lì a poco – ricordava Emanuele – i nazisti fecero irruzione nel convento di suor Ester e portarono via mia madre insieme ad altre 80 donne ebree. Deportate ad Auschwitz nessuna di loro fece ritorno. Come fuscelli nella tempesta, e già orfani senza saperlo, trovammo ospitalità, comprensione e affetto nel Convento di Santa Marta”.
Emanuele ricordava anche ogni sera quando si doveva andare a letto era consuetudine che ogni bambino dovesse baciare la croce che le suore portano sul pettorale. Ma quando toccava a Emanuele, Suor Cornelia, facendo bene attenzione che nessuno se ne accorgesse, metteva due dita sul crocefisso in modo che lui potesse baciare le sue dita e non la croce. Poi gli sussurrava all’orecchio: “Adesso vai a letto e sotto le coperte recita le tue preghierine mi raccomando!”. E questo sempre, per quasi un anno.
Emanuele era così riconoscente a suor Cornelia da averla sempre chiamata “mamma Cornelia”. Nel 1939, durante le vacanze – mi narrò ancora Pacifici – insieme agli zii fecero amicizia con don Gaetano Tantalo, parroco di Tagliacozzo. Il sacerdote sapeva leggere e scrivere benissimo l’ebraico. Nel 1943, gli zii braccati dai nazisti chiesero ospitalità a don Gaetano, il quale con l’aiuto della sorella trovò un sicuro rifugio alla numerosa famiglia dei Pacifici e a quella degli Orvieto.
Rimasero chiusi per nove mesi senza mai uscire. Don Gaetano provvedeva a tutte le necessità. Con l’approssimarsi della Pesach (la festa ebraica della Pasqua) lo zio Enrico scoprì di non saperne la data esatta. Don Gaetano fece i calcoli e indicò il 14 di Nissan (marzo-aprile nel calendario ebraico) che cadeva l’8 aprile 1944. Inoltre procurò la farina per fare il pane azzimo e qualche tegame nuovo per poter cucinare. Così, con i nazisti a due passi, lo zio Enrico e la sua famiglia poterono dare inizio al Seder, la cerimonia della pasqua ebraica. Alla cerimonia partecipò anche don Gaetano. “Pensa – mi disse Emanuele – che dopo la morte di don Gaetano, i familiari hanno trovato tra le sue cose, una scatoletta che conteneva un pezzo del pane azzimo con cui aveva celebrato la pasqua ebraica con i miei zii”.