Una riorganizzazione ecclesiale che tenga conto della realtà culturale e politica attuale. È ciò che chiedono i vescovi dei Paesi della ex Jugoslavia, che si sono riuniti dal 7 al 9 aprile nell’Assemblea plenaria della Conferenza internazionale episcopale Ss. Cirillo e Metodio che comprende Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo.
Alla riunione hanno partecipato il nunzio apostolico a Belgrado mons. Orlando Antonini, il presidente della Conferenza, mons. Zef Gashi, vescovo di Antivari (Montenegro), mons. Stanislav Hocevar, arcivescovo di Belgrado, l’esarca per i cattolici di rito orientale per la Serbia e Montenegro, mons. Djura Dzudzar, e gli altri sei membri della Conferenza.
La proposta che hanno elaborato è di dividere la Conferenza internazionale in quattro Conferenze nazionali corrispondenti ai quattro Paesi in questione. “Siamo nazioni con realtà e problemi diversi – spiega all’agenzia Sir il segretario generale della Conferenza mons. Ladislav Nemet, vescovo di Zrenjanin (Serbia) – e l’internazionalità della Conferenza la rende poco flessibile, anche le autorità non la riconoscono come un partner valido nel contesto del loro Paese”. E aggiunge: “Poi ciascuno dei nostri Paesi ha un nunzio diverso e questo rende più complicata la comunicazione con la Santa Sede”.
Se Roma approverà la proposta, la Macedonia e il Kosovo rimarranno con un solo vescovo e il Montenegro con due, mentre la Serbia avrà sei presuli. Secondo mons. Nemet, “questo non rappresenterebbe un problema. La tradizione della Chiesa conosce simili casi, anche in Moldavia la Conferenza è composta da un vescovo”. Nel frattempo sarà spostata anche la sede della Conferenza episcopale internazionale: da Belgrado alla vicina città di Pancevo, nella regione Vojvodina, dove vive la maggior parte dei cattolici in Serbia.
Nel corso dell’Assemblea è stato anche approvato il documento con le Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di membri del clero. Mons. Nemet, il quale riconosce che “su questo punto siamo un po’ in ritardo”, precisa che si tratta di “processi ecclesiali e che le legislazioni nazionali non prevedono l’obbligo di denuncia”.
Attenzione però alle diffamazioni. Nella diocesi di Zrenjamín ci sono stati tre processi di presunti casi di abusi su minori. “Purtroppo si è dimostrato che si trattava di casi falsi”, confessa il presule rammaricato dal fatto “che questo ha influito in modo molto negativo sui sacerdoti accusati, diventati oggetto di cattiva fama”.