“La morte della donna di 37 anni avvenuta dopo l’assunzione della pillola Ru486 all’Ospedale Martini di Torino, addolora e allo stesso tempo riempie di rabbia”. Parole di Olimpia Tarzia, consigliere regionale del Lazio e Vice Presidente della V Commissione Cultura.
Ciò che inoltre “alimenta l’indignazione nei confronti di chi ha contribuito a diffondere una cultura laicista e abortista che studia la logica della vita per trasformarla in logica di morte” è, secondo l’onorevole, “la consapevolezza che ben due vite (quella della ragazza e quella del bambino) potevano essere salvate”.
La Tarzia, che è inoltre presidente del Movimento PER Politica Etica Responsabilità, ha ricordato che nel 2005, “dopo il benestare del Consiglio Superiore della Sanità, presero il via le sperimentazioni della Ru486 presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino”. In quel momento “nacque un intenso dibattito tra la giunta regionale e il ministero della Salute presieduto da Francesco Storace, che inviò un’ispezione, considerando illegale l’inizio della sperimentazione senza l’autorizzazione del ministero. Intanto si intrapresero sperimentazioni anche in Liguria, Toscana, Emilia-Romagna e in Puglia: la via per l’impiego della pillola Ru486 ormai era segnata”.
“Eppure – continua Tarzia – che la RU486 in alcuni casi uccida due volte (figlio e madre), è cosa nota: il rischio di mortalità in caso di assunzione della pillola è dieci volte maggiore rispetto al ricorso all’aborto chirurgico. Le morti sono causate dall’infezione da Clostridium Sordelli, un batterio che agisce senza dare particolari sintomi premonitori”.
È per questo che la morte della donna di Torino non è “affatto” da ascrivere a una fatalità. “Negli Stati Uniti – ricorda la Tarzia – sono stati già otto i casi accertati di decessi legati all’assunzione della sostanza”.
Ma il dramma avvenuto all’ospedale Martini è anche “un campanello d’allarme che dovrebbe risuonare fin qui nel Lazio, dove una recente delibera del presidente Zingaretti ha sdoganato l’utilizzo in day-hospital della Ru486, anziché utilizzare i tre giorni di ricovero previsti, lasciando la donna nella solitudine più nera ad abortire nel bagno di casa ed esponendola a rischi gravissimi per la sua salute e per la sua vita”, la riflessione della Tarzia.
“A tal proposito – conclude Tarzia – ho presentato un’interrogazione affinché il governatore del Lazio riferisca in Aula circa le motivazioni della delibera e quali provvedimenti intende mettere in campo nel campo della prevenzione, dell’assistenza, del diritto alla vita e alla salute, rispetto alla tutela sociale della maternità e se intende procedere verso una seria riforma e riqualificazione dei consultori familiari per rilanciarne il costitutivo ruolo di servizio alla famiglia, alla maternità e paternità e di prevenzione all’aborto”.