Un’ulteriore picconata alla legge 40. La sentenza di stamattina della Corte Costituzionale dà di fatto il via libera alla fecondazione eterologa in Italia, avendo dichiarato illegittimi gli articoli 4 – comma 3, 9 – commi 1/3 e 12 – comma 1.
Nel concreto viene a cadere il divieto di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistite di tipo eterologo, ovvero l’utilizzazione a fini procreativi di gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, per la quale la legge 40, prevedeva sanzioni pecuniarie dai 300mila ai 600mila euro.
Come prima del 2004, in caso di infertilità assoluta di uno dei due coniugi, torneranno lecite, quindi, l’ovodonazione o la donazione del seme da parte dell’uomo.
I giudici costituzionali si sono pronunciati a seguito dei ricorsi presentati dai tribunali di Milano, Firenze e Catania che avevano sollevato rilievi di incostituzionalità in merito a tre casi distinti.
I prossimi divieti che potrebbero essere abrogati in merito alla Legge 40 sono l’accesso alla fecondazione assistita da parte di single e coppie dello stesso sesso e la ricerca sugli embrioni in sovrannumero, non idonei all’impianto in utero.
A tal proposito, una sentenza della Corte Costituzionale potrebbe arrivare dopo il prossimo 18 giugno, quando la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo sarà chiamata pronunciarsi in proposito.
Mentre il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha sollecitato una “condivisione più ampia, di tipo parlamentare” per gestire una questione che “non si può pensare di regolare con un atto di tipo amministrativo” ed ha annunciato una “road map per l’attuazione della sentenza”, fioccano i commenti critici sulla sentenza.
L’onorevole Eugenia Roccella ha annunciato lo studio di una “proposta di legge per fare fronte alle molte questioni che questa sentenza della Consulta lascia aperte, come il diritto del bambino a conoscere le proprie origini, o come il rischio che, anche in Italia, si crei un mercato del corpo umano (dalla compravendita degli ovociti all’utero in affitto) analogo a quello che già esiste a livello internazionale, con gravi forme di sfruttamento delle donne giovani e povere”.
“Sconcerto” e “gravi perplessità” sono stati espressi dal Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Renzo Pegoraro. La normativa abrogata, infatti, “determinava una serie di garanzie soprattutto per il nascituro, a tutela della chiara identità dei genitori, con le relative responsabilità”, ha dichiarato Pegoraro.
“La possibilità che ci sia una terza figura, spesso maschile – ha aggiunto il Cancelliere – quindi una distinzione tra paternità biologica e una affettiva e sociale nella stessa coppia, crea dei problemi”.
La sentenza comporterà “conseguenze difficili da gestire” sia sul piano giuridico che umano e familiare, a partire dalla “tutela del nascituro” e dell’“equilibrio della coppia”, ha quindi concluso monsignor Pegoraro.
Secondo l’associazione Scienza e Vita, la sentenza della Corte Costituzionale “travalica la funzione politica del Parlamento su temi complessi che riguardano la società civile e i propri modelli di riferimento culturali”.
Il presidente di Scienza e Vita, Paola Ricci Sindoni, e il copresidente, Domenico Coviello, denunciano l’apertura di “un inesorabile vuoto normativo che prelude al ritorno a quel far west procreatico che in questi ultimi dieci anni era stato possibile contenere”.
La sentenza, aggiungono Ricci Sindoni e Coviello, legittima “ogni pratica di riproduzione umana, con il solo pretesto che tutti, comunque, hanno diritto a veder garantiti i propri desideri” e imprime il rischio del “mercato dei gameti”, con il conseguente “sfruttamento di chi si trova in difficoltà economiche”.
In sintesi, si tratta di una sentenza che, “nel solco di quella pronunciata ieri in materia di utero in affitto e che, anche in questo caso, rimette in questione i capisaldi della civiltà occidentale al cui interno l’esperienza della trasmissione della vita viene segnata dall’accoglimento del dono senza la pretesa di determinarlo in modo spersonalizzante”, concludono i massimi dirigenti di Scienza e vita.
Secondo l’onorevole Olimpia Tarzia, presidente del movimento Politica Etica e Responsabilità (PER), la decisione della Corte Costituzionale è “gravissima”, in quanto ignora la volontà del parlamento e del 75% di italiani che, astenendosi al referendum del 2005, si espressero in modo contrario all’abolizione di alcuni principi nevralgici della Legge 40, tra cui, per l’appunto, il divieto della fecondazione eterologa.
“Sarebbe bene – prosegue Tarzia – che chi oggi esulta per tale decisione, compia almeno un atto di responsabilità e dica alle donne che la fecondazione artificiale comporta, oltre l’uccisione di migliaia di embrioni umani, anche seri rischi per la donna e che il tasso di successo si attesta intorno al 5%”.
Ricordando che “molte tipologie di infertilità si possono prevenire e curare”, evitando così il ricorso alla fecondazione artificiale, la presidente di PER ha infine dichiarato: “Non possiamo, inoltre, accettare che l’Europa interferisca pesantemente sulla nostra legislazione, esercitando pressioni di natura etica sul nostro Paese”, come effettivamente è avvenuto con la legge 40.
La sentenza della Corte Costituzionale è una “decisione grave e impegnativa che avrà ripercussioni sulla concezione della famiglia e sulla percezione degli interessi dei soggetti più deboli, che in questa vicenda sono i bambini che nasceranno, ai quali viene privata ogni certezza sulle loro origini”, ha dichiarato Alberto Gambino, professore ordinario di diritto privato e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.
Inoltre, aggiunge il professor Gambino, la decisione incide anche “in generale sul rapporto e i legami tra figli, genitori che hanno avuto accesso all’eterologa e i donatori esterni, soggetti questi ultimi che nessuna legge potrà mai cancellare, non essendo certo negoziabile il diritto di ciascun essere umano a conoscere le sue origini biologiche”.