Roma ed Helsinki: così lontane, così vicine

Il professor Juha Pentikäinen sottolinea l’importanza del dialogo tra culture e della tutela delle tradizioni dei popoli

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Villa Lante è un raffinato edificio rinascimentale che, affacciandosi dal Gianicolo, offre una suggestiva panoramica sulla città di Roma. Mi lascio catturare da questo scenario, con le tante cupole e i tetti cinquecenteschi baciati da un caldo sole primaverile, e penso a quanto siamo distanti, non solo geograficamente, da Helsinki.

Il pensiero non è casuale. Villa Lante è dal 1950 la sede dell’ambasciata finlandese presso la Santa Sede e dell’Institutum Romanum Finlandiae. Mi trovo qui in compagnia del professor Juha Pentikäinen, professore di Scienze delle Religioni all’Università di Helsinki e proficuo scrittore che ha dedicato la sua vita all’approfondimento delle tradizioni e della religiosità dei popoli.

È convinto, il professor Pentikäinen, che sia un fondamentale strumento di pace impedire che queste radici che affondano nell’animo siano recise. Mi introduce al suo pensiero parlandomi del Kalevala, un poema epico dell’Ottocento basato su antichi poemi e canti popolari della Finlandia.

Il professor Pentikäinen ha approfondito il tema nel suo libro La mitologia del Kalevala (tradotto per la seconda volta in lingua italiana), ove spiega come questo poema abbia contribuito a formare “l’identità del popolo finlandese”.

Il suo saggio dimostra come la mentalità nordica sia collegata “con lo sciamanesimo e la natura”, in una sorta di panteismo culturale. È a questo punto che la distanza tra Roma e Helsinki mi sembra ancor più abissale. Ma scopro gradatamente che non è così.

Mi parla dell’evangelizzazione della sua patria. La Finlandia è stata dapprima influenzata dalla Chiesa orientale e poi dal Cristianesimo luterano. “Questo percorso storico – spiega Pentikäinen – ha contribuito alla formazione di una cultura che integra queste due diverse forme di religiosità e la tradizione panteistica del popolo autoctono”.

Significativo che fu Mikael Agricola, primo vescovo luterano in Finlandia, ad incentivare la trascrizione e lo sviluppo della lingua finlandese traducendo la Bibbia nel 1548. Prima di lui, nel XI secolo, fu Sant’Enrico di Uppsala a portare il Cristianesimo ai popoli finnici, il quale fu trucidato sul ghiaccio da un uomo che aveva cercato di redimere. “La sua figura – è il parere del professore – è collegata a quella dell’orso”, animale che assume un profondo significato simbolico nella tradizione finnica. “Durante i suoi funerali – prosegue – Sant’Enrico fu coperto da un telo ricavato dalla pelle di orso. Testimonianza del collegamento tra le due culture”.

Un collegamento che il Kalevala precorre. Nella conclusione della seconda parte di questo poema, infatti, vi è la nascita di un bambino che il professore non esita a definire un “annuncio della nascita di Cristo”. Ascolto con interesse e percepisco che quella distanza tra le due città si assottiglia.

Ma c’è bisogno anche di grandi figure umane per rendere efficaci questi ponti tra culture. “Quando ero più giovane, accompagnando una delegazione di vescovi finlandesi in visita in Vaticano, ho avuto il piacere di stringere la mano a Giovanni Paolo II e ho capito subito che si trattava di un sant’uomo”, spiega. E lo capì, da buon osservatore dei dettagli e studioso di religione, per un aspetto simbolico. “In quella stessa occasione – prosegue Pentikäinen – il Papa incontrò anche la Chiesa ucraina. Il fatto che nello stesso giorno accolse con tanta gioia sia una delegazione nordica sia una orientale assunse per me un grande significato”.

Oggi, denuncia il professor Pentikäinen, c’è bisogno di riscoprire e attuare su vasta scala quello spirito al dialogo che fu proprio di Giovanni Paolo II. L’insegnamento della religione, spiega, è un buon veicolo in questo senso. Mi racconta che in Finlandia è obbligatorio sin dall’asilo, e crede che questo modello dovrebbe essere imitato ovunque. “Vietare l’insegnamento della religione per – dice con un pizzico d’ironia – tutelare la libertà religiosa, produce incapacità d’aprirsi all’altro”.

Conoscere le tradizioni dei popoli salverà l’umanità. Rammenta che “quattro persone su cinque parlano le lingue più diffuse al mondo, mentre l’artico conserva circa 200 lingue” all’interno del suo caleidoscopio di antiche minoranze etniche, che il professore definisce “patrimonio di una grande tradizione”. Il professor Pentikäinen intravede tuttavia una minaccia nei loro confronti. Si tratta di quella sfrenata corsa al progresso che ha tra le sue conseguenze lo scioglimento dei ghiacci, “una vera e propria catastrofe per questi popoli e, in futuro, per il mondo intero”.

Il professore auspica quindi un modello di sviluppo che sia più responsabile verso l’ambiente. Per questo, aggiunge, “sono positivamente impressionato da papa Francesco, il quale, oltre che dare un certo tipo di messaggio, sa anche ascoltare”. E rispettare quel “poliedro” che forma l’umanità.

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Federico Cenci

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