Geova a Messa

Confronto tra cattolicesimo e geovismo sulle Letture della Liturgia di domenica 13 aprile 2014 – Domenica delle Palme (ciclo A)

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Con questa Domenica si entra in quella che le Chiese d’Oriente chiamano la “Grande Settimana” e noi la “Settimana Santa”. E’ stato scritto che i Vangeli possono essere letti come una ampia introduzione al racconto della passione del Signore, fine specifico della incarnazione e redenzione attuata dal Figlio di Dio che ha assunto natura umana in Gesù di Nazaret.

La ricchezza debordante delle Letture contenute nei racconti della Passione e nel Triduo Pasquale con  i numerosissimi punti su cui si dovrebbe evidenziare la diversità della esegesi geovista – non disgiunta alla manipolazione che la traduzione del Nuovo Mondo vi opera – ci impedisce di farne il commento che meritano per vari motivi: il primo e più evidente è quello dello spazio tipografico che questa rubrica deve rispettare in questa sede; poi c’è la convinzione che durante questa settimana è bene lasciare che i testi biblici siano meditati con il cuore, e quindi a livello ascetico-mistico per non disturbare il clima spirituale che ciascuno vuole e deve vivere in questo tempo di più intensa comunione con il Salvatore; infine vi sono ragioni editoriali tese a tutelare la futura utilizzazione di questi appunti che da molte parti ci sono stati richiesti e che, riveduti e perfezionati in volume, conterranno anche ciò che dovrà colmare questo… vuoto.

Pertanto in questa puntata toccheremo solo tre punti di estremo interesse, riprendendo poi con la Messa del Giorno di Pasqua. 

Vangelo alla benedizione delle palme: Mt 21,1-11 (…) La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». (…)

“La folla che lo precedeva… Osanna nel più alto dei cieli!” La NM rende “In quanto alle folle, quelli che gli andavano davanti e quelli che seguivano gridavano: ‘Salva, preghiamo, il Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome di Geova! Salvalo, preghiamo, nei luoghi altissimi!”

Il punto importante sta tutto nell’interpretare il senso delle parole che venivano gridate (se acclamazione di lode e gloria o preghiera) e a chi venivano rivolte (se a Dio o al Messia). Come si vede la scelta del geovismo, dal momento che secondo la sua dottrina si deve pregare solo Dio (=il Padre), sta per intenderle come una preghiera rivolta a Dio a favore del Messia. Quel “salva” equivarrebbe cioè a “salvalo”.

Ma più avanti, sempre in Matteo ai vv. 15-16, ci sono dei particolari che ci fanno propendere per l’altra interpretazione (che è poi quella che la Chiesa ha fatto propria usando la parola “Osanna” come lode e gloria a Dio nel “Santo” della liturgia) e cioè di una lode (e forse anche preghiera) rivolta a Gesù. Lì infatti vediamo che i fanciulli, quando Gesù entrò nel tempio, ripetevano “Osanna al figlio di Davide” (CEI) e che i capi dei sacerdoti e gli scribi “si indignarono” (NM da qui in poi) e chiesero a Gesù: “Odi ciò che dicono costoro?” Quindi volevano che Gesù li facesse tacere; cosa ben strana sia l’indignazione sia la richiesta del tacitarli se si fosse trattato di una preghiera a Geova! E abbiamo che Gesù rispose “Sì. Non avete mai letto questo: ‘Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto lode’?” Quindi è Gesù stesso che ci dà la retta interpretazione di quegli “osanna!” come acclamazioni di lode e di lode rivolte a Gesù stesso.

Ma facciamo parlare su questo gli… addetti ai lavori:

1)- “Osanna è la trascrizione dell’ebraico hoshi’ana’, “salva!”. L’invocazione si trova nel Sal 118,25. Sembra che già nel giudaismo il termine avesse perso il suo significato originario di preghiera e di invocazione per diventare un’esclamazione di lode e di giubilo.” (nota esegetica al 21,9 in La Bibbia Via verità e Vita, San Paolo 2009);

2)- osannà – secondo il Zorell (che verto personalmente dal latino) è parola di derivazione ebraica e si trova per la prima volta nel NT in questo episodio dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Fa riferimento alla festa ebraica della Capanne dove era usanza agitare rami di salici e altri alberi esclamando “osanna” nel senso di preghiera “salva, quaesumus” (salva ti preghiamo). Ma oltre questo si dice che significava anche “secundum veteres interpretes etiam laus, gloria” (secondo antichi interpreti anche lode, gloria ). E ancora “osannà esse nomen, quod valeat laus ets., antiquitus quidam tenuerunt” (sin dall’antichità alcuni ritennero che osanna fosse parola che significasse lode e simili) e qui seguono riferimenti alle grandi raccolte dei documenti antichi realizzati dal Migne Greco (MG) e Migne Latino (ML) come anche alle versioni aramaiche e georgiana. L’Autore termina notando che questo significato si adatta alla perfezione al testo in esame. (cf alla voce osannà nell’autorevolissimo LEXICON GRAECUM NOVI TESTAMENTI  di Francesco Zorell). Io direi che comunque il primitivo significato di invocazione per la salvezza, poteva benissimo coesistere con l’acclamazione di lode. Il “salva” come preghiera, rivolta a Gesù riconosciuto come Messia Salvatore, significherebbe in sostanza “salvaci”, come era nelle attese ataviche del popolo di Israele e come ci conferma il successivo Autore…;

3)- Ci riferiamo al commento dell’esegeta Angelico Poppi che, sul versetto 9, dice: “ ‘Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’ Sono acclamazioni messianiche, tratte sempre dal Salmo 118,25-26. Osanna (= hoshiàh-nna = deh! salvaci!) da invocazione diventa (congiunto a ‘Figlio di Davide’, proprio di Mt) un’acclamazione messianica.”

E quanto ai vv 15-16 dice: “Solo MT ricorda l’indignazione dei gran sacerdoti e degli scribi per l’acclamazione messianica dei fanciulli che gridavano nel tempio: ‘Osanna al Figlio d Davide!’, forse riecheggiando per divertimento il grido che avevano sentito dagli accompagnatori di Gesù. Mentre gli esponenti dei giudei rifiutano l’omaggio al Messia, insospettiti persino per i miracoli che compiva, Gesù viene riconosciuto dai ‘piccoli’ che insieme con i ciechi e gli zoppi costituiscono i destinatari dei misteri di Dio, operante nel Cristo (11,25). Il Maestro ne prende le difese, rifacendosi al Salmo 8, che celebra la grandezza dell’uomo sullo sfondo del creato, di cui Gesù costituisce il prototipo, essendo l’immagine perfetta di Dio. La lode nel Salmo è rivolta a Dio, nella rilettura evangelica a Gesù stesso.” (Angelico Poppi, Sinossi dei quattro Vangeli; commento, Ed. Messaggero, Padova 1988) 

Seconda Lettura Fil 2,6-11 (ciclo A-B-C)

Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre. 

“pur essendo nella condizione di Dio… l’essere come Dio…” ecc… La NM rende “benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio.” La manipolazione del senso a nostro avviso è pale
se. La WT ha appena ammesso che il Figlio esisteva (essendo è participio presente e indica situazione esistenziale continuativa) nella condizione di Dio (gr en morphé theou ypàrkon) e immediatamente dopo “spiega” con tanto di “cioè” – e quindi infilando espressamente nel testo sacro la propria interpretazione che, secondo le regole geoviste non andrebbe fatta! – che non vi esisteva affatto in quella forma ma che era una prospettiva che al Figlio si presentò come tentazione e che lui rifiutò di tentare di afferrare perché la vide come una rapina.

E’ ben evidente che il retroterra di questa interpretazione è la convinzione che la Persona del Figlio non sia stata “generata” da Dio Padre all’interno della propria natura divina, e quindi partecipi sin dalla sua generazione eterna e per natura alla stessa gloria del Padre, ma sia stata “creata”. In tal caso sì che la condizione del Figlio=Michele arcangelo, non essendo quella di Dio Padre ma di inferiorità creaturale, poteva far nascere in Michele (come del resto nacque in Satana & Co.) l’ambizione di volersi equiparare a Dio. Siamo a un dipresso nella stessa situazione di Colossesi ove il Figlio “generato prima di ogni creatura” (CEI) viene travisato in creatura areata prima di tutte le altre cose. Ma così si rifiuta ciò che la Bibbia dice. E qui si mette perfino in contraddizione San Paolo con se stesso, e per giunta di quel tipo di contraddizione che suona “qui lo dico e qui lo nego”, inammissibile nella Parola rivelata.

La conseguenza – molto riduttiva della kènosi-abbassamento realizzata davvero dal Figlio incarnandosi – sarà che quello apparire come figura di uomo e quel prendere la forma di schiavo e farsi ubbidiente fino alla morte di croce (qui tralasciamo il solito “palo di tortura!), avrà un valore abbastanza relativo se paragonata alla dignità angelica – grande ma sempre creaturale! – o alla dignità divina del Figlio. Dio, nella sua gloria assoluta, è l’infinito, e ogni creatura, angeli compresi, se hanno una loro gloria ce l’hanno come partecipazione del di Lui Essere e pertanto obbligatoriamente inferiore dell’infinito stesso come (passi il paragone) il numero uno è inferiore al numero infinito che neanche è scrivibile.

La nostra comprensione di questo antichissimo inno viene confermata dal fatto che il Padre, capovolgendo l’abbassamento realizzato dalla passione del Figlio in esaltazione gloriosa, abbia donato al Figlio – e in tal caso si intende al Figlio umanato Gesù di Nazaret giacché la gloria divina la aveva sin dalla sua generazione nel seno del Padre – “il nome che è al di sopra di ogni nome”; nome che biblicamente indica la persona nella sua costituzione e funzione specifica, davanti alla quale “si pieghi ogni ginocchio di quelli che sono in cielo e di quelli che sono sulla terra e di quelli che sono sotto il suolo” (NM); cioè Gesù risorto ha ricevuto, anche come uomo, lo stesso “nome” che la LXX attribuiva a Yahweh: Kyrios. Il parallelo con Isaia 45,23 è d’obbligo “a me si piegherà ogni ginocchio, giurerà ogni lingua”: il Figlio viene equiparato in dignità divina al Padre.

A questo punto ci corre solo l’obbligo di spiegare che l’espressione “essendo nella condizione di Dio” (CEI 2008) non è diversa come senso da quella precedente “essendo di natura divina” (CEI 1974) perché come ci spiega la Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra: “La ‘forma’ è l’aspetto che una cosa presenta esternamente e che ne manifesta l’intima natura. Trattandosi di Dio, che è invisibile, non può riferirsi ad apparenze sensibili; la ‘forma di Dio’ è un modo per designare appunto la natura divina.” (cf in La Bibbia di Navarra, Nuovo Testamento (2), Ed. ARES)

E anche a questo proposito abbiamo l’autorevole conferma dello Zorell, alla voce morphè del citato LEXICON, della quale cito e traduco qualche parte: “2) Aristoteli morphè est principium formale rerum et universim philosophis posterioribus erat rerum character specificus, ut nunc dicimus” (Per Aristotele morphé è il principio formale delle cose [S. Tommaso dirà la forma sostanziale – Ndr] e generalmente per tutti i filosofi posteriori era il carattere specifico delle cose, come usiamo dire ora.) “3) fere i.q. natura: est illa personae vel rei qua tali propria nec mutari potest (cum schèma sit transitorium et mutabile): unde en morphé theoù ypàrchon ‘in forma Dei existens’ indicat naturam divinam realiter atque inseparabiliter in Cristo existentem Ph 2,6; morphèn doùlou labòn ‘suscepitque formam (naturam) servi’ ib. 2,7 [Justin. Apol. I 9, MG 6,340 a dicit numina paganorum theoù morphé me èchonta, Deus contra dicitur àrreton dòxan kai morphè èchon. Apud Patres aut ousìa et morphè identificantur, aut ousìa in conceptu morphés inclusa supponitur. » ”

Se il TG « bereano » (desideroso di accertarsi) consulterà il Dizionario greco-italiano di Liddell-Scott che Walter Farneti, già presidente dei TG nella « Betel » di Roma, assicurò che era presente in tutte le bibliotechine delle Sale del Regno, alla voce ousìa , l’equivalente nel greco classico del morphé usato da S. Paolo, troverà che significa “… ciò che è proprio, proprietà, sostanzal’essere, esistenzal’essenza, la natura di una cosa…”. 

Vangelo Mt 26,14-27,66

Del Vangelo focalizziamo solo il punto della istituzione della Eucaristia, ovvero il memoriale di presenza reale e perenne di Gesù in anima e corpo sotto le apparenze del pane e del vino consacrati.

Il “fate questo in memoria di me” è sufficiente per dire che Gesù, dopo aver cambiato la sostanza del pane e del vino nel proprio corpo e sangue, ha anche istantaneamente consacrato vescovi, tutti gli apostoli presenti donando loro la compartecipazione vicaria al proprio Sacerdozio.

Il dichiarare, avendo tra le mani il pane e il vino, “questo è il mio corpo dato… questo è il mio sangue sparso” sono la base per dire che Gesù si è reso presente di persona (questo è il senso nella mentalità ebraica di corpo e sangue) sotto ciò che continuava ad apparire pane e vino (il latino dice species = apparenza, da cui le “sacre specie”). Questo è il dato originario che poi, la riflessione teologica, guidata dallo Spirito Santo che avrebbe fatto capire agli apostoli “ogni cosa” ha spiegato secondo vari livelli per evitare l’idea del cannibalismo, della contraddizione derivante da una concezione spaziale e fisica della presenza (che l’avrebbe resa contraddittoria) eccetera…

Non è proprio il caso qui di fare un trattato sul grande mistero eucaristico. Ci basti sottolineare la volontà chiaramente manipolatoria del geovismo che nella sua NM rende il “questo è” (gr. outos estìn) dell’originale con “questo significa” sposando cioè l’interpretazione eretica del protestantesimo che fu quella di Lutero dopo la ribellione.

Contro di essa – lo diciamo in estrema sintesi per indicare il collegamento logico dei passi biblici relativi a questa verità rivelata della presenza reale e continuativa di Gesù nell’Eucaristia – si devono opporre i seguenti avvenimenti e parole:

–          la manna nel deserto che Gesù ha paragonato al cibo dal cielo che Dio avrebbe donato. E la manna fu cibo reale che realmente nutriva;

–          il presentare l’istituzione eucaristica come “nuova alleanza” (Matteo 26,28; marco 14,24; Luca 22,20) nel contesto della celebrazione pasquale, in cui quindi Gesù stesso sostituisce l’agnello sacrificale (cf il senso sotteso al corpo “dato” e “spezzato” in tutti i sinottici e 1 Corinti e al sangue “sparso”
, solo nei sinottici). Abbiamo ancora la realtà fisica della vittima;

–          la promessa del dono futuro di se stesso come carne e sangue, fatta a Cafarnao con la concomitante (da sottolineare!) interpretazione realistico-cannibalesca dei giudei e di molti discepoli che, non immaginando il modo mistico con cui Gesù avrebbe realizzato la sua presenza come cibo e bevanda, si allontanarono scandalizzati. E Gesù (altro tratto essenziale!) che non ha smentito la loro comprensione realistica correggendola con il simbolismo ma anzi, ai soli apostoli rimasti, non miscredenti ma di sicuro perplessi, ha fatto capire che dovevano crederci o andarsene anche loro (cf Giovanni 6,30-67);

–          l’istituzione durante la Cena, sacrificio pasquale indicato dal corpo “spezzato e dato” e dal sangue “sparso”. Tutti i problemi “logici” suscitati dal mistero, ad una fede che non vuole essere fideismo irrazionale, sono approfonditi dalla teologia sacramentaria cattolica (per es. con la dottrina della transustanziazione) senza che mai, per nessun aspetto, si pretenda che si creda a ciò che sarebbe logicamente assurdo, cioè autocontraddittorio. Si crede cioè al “mistero”, verità superiore alla ragione che, in quanto verità non deve mai includere l’assurdo che è il pacchianamente falso e impossibile;*

–          la narrazione, confermativa della comprensione realistica, dataci da S. Paolo nella 1 Corinti 11,23-27 “…chi mangia o beve indegnamente sarà reo del corpo e del sangue del Signore… mangia e beve la propria condanna”. E si ricordi che quest’ultimo testimonio biblico ha doppio valore rivelato: sia come Bibbia perché sta nella Scrittura; sia come testimonianza della primitiva Tradizione Apostolica della Chiesa (tràdere significa consegnare in latino. S. Paolo dice di ricordare “quod et tràdidi vobis” ciò che vi ho consegnato). Tradizione Apostolica (non tradizioni folkloristiche umane!) che è del pari che la Scrittura fonte infallibile di verità rivelata giacché da essa è scaturito il Canone biblico e sulla base della comprensione dei testi che la Chiesa ne aveva da secoli e da cui traeva la dottrina; Canone contraddittoriamente accolto da chi ritiene, come lo ritiene la WT, che la Chiesa quando lo ha stabilito – escludendo infallibilmente tantissimi scritti apocrifi aspiranti a passare per Parola di Dio! – fosse sotto il dominio di Satana, eccetera… Torneremo su queste cose perché sono molto illuminanti di dove sia la ragione e dove vi siano invece enormi contraddizioni che costringono i capi geovisti a ricorrere ad espedienti indifendibili per negare la verità delle cose. 

L’Eucaristia, che è Gesù realmente presente in corpo sangue anima e divinità, insieme al battesimo sacramento che ci rende figli adottivi di Dio ed eredi del “Regno”, che è la gloria trinitaria, sono i massimi tesori della nostra fede e il TG che vorrebbe farceli barattare per un piatto di lenticchie dovrà sobbarcarsi una fatica di sette camicie per farcene rinunciare. Ma la difesa non basta, occorrerà, anche per coltivare una fede adulta nei nostri fratelli, che se ne approfondiscano tutti gli aspetti e problematiche che una “fides” unita alla “ratio” deve affrontare. Non è nostro compito ma ne elenchiamo alcuni affinché i nostri fedeli ne chiedano la trattazione nelle loro catechesi per adulti perché sono difficoltà che chi nega il valore reale della presenza eucaristica può presentare:

a) la ripetizione liturgica come “ripresentazione” e non doppione dell’unico sacrificio avvenuto sul Calvario; b) il livello sacramentale in cui si attua il mistero, cioè incruento, e come segno efficace sensibile di realtà sovrannaturale; c) la sua valenza di alleanza nuova e definitiva, perché non si può ipotizzare un di più di Gesù Verbo incarnato come perfetto rivelatore e vittima il cui sangue basta anche con una sola goccia a redimere ogni scelleratezza di tutta la storia umana; d) la necessaria coimmolazione delle membra con il Capo del Corpo di Cristo totale (cf le gocce d’acqua aggiunte al vino); e) la presenza di Cristo “ad modum substantiae” così che si supera il problema derivante dalla quantità e dallo spezzamento del pane che lascia il Cristo presente totalmente anche nel frammento, ed è assodata anche la permanenza di Gesù oltre l’atto della celebrazione fin quando sussistono le specie del pane, il che permette e giustifica l’adorazione eucaristica e la processione con il SS.mo; f) la conseguente illegittima riduzione del miracolo a un fenomeno di transignificazione o transfinalizzazione, a meno che tali aspetti non si affermino come derivanti dalla transustanziazione (cf la puntualizzazione fornita da paolo VI nella Mysterium Fidei); g) la valenza extratemporale del gesto divino, così che il sacrificio storico sul Calvario ha proiettato la sua valenza salvifica e di grazia dal presente al futuro e nel passato santificando i giusti dell’A.T.; h) la compresenza reale del corpo nel sangue e del sangue nel corpo, così che si assume Cristo anche utilizzando una sola delle due specie; i) l’essenzializzazione del concetto di pane in impasto cotto di acqua e farina così che va considerato pane anche se il pane si presenta sotto forma di ostia; l) la necessità della comunione-manducazione della vittima almeno da parte del solo celebrante perché il sacrificio sia completo; eccetera… 

Chiudiamo dunque questi appunti invitando accoratamente tutti i fratelli che credono in questo grande mistero d’amore a pregare affinché i Testimoni di Geova, con quel “significa” che nella loro Bibbia riduce l’Eucaristia a un mero simbolo, giungano a capire che la fede geovista li defrauda di una delle più dolci e consolanti verità e realtà di cui nostro Signore ha voluto farci dono: la sua reale, concreta, perenne presenza di Emanuele non solo tra le nostre case ma perfino in noi con la santa Comunione e l’Adorazione eucaristica. Non a caso l’Eucaristia (da pensare non cose “cosa” ma Gesù in persona!) è ritenuta “culmine e fonte” di tutta l’efficacia della Chiesa che da essa trae il suo nutrimento, come dice e il Concilio e la splendida enciclica di Giovanni Paolo II “Ecclesia de Eucharistia vivit”.

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Sandro Leoni

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