Il mondo postmoderno sembra governato culturalmente dal nichilismo. In realtà il nichilismo è un movimento teorico e pratico millenario, di cui l’umanità prende coscienza solo a partire dal 1862 quando il grande letterato russo Ivan Sergeevič Turgenev pubblicò il romanzo Padri e figli, costruendo intorno al personaggio del giovane rivoluzionario Bazarov un “nichilista”, un uomo “che non s’inchina dinanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato”.
Con Nietzsche la riflessione tematica prende forma filosofica definendolo così: “Nichilismo: manca lo scopo, manca il perché, tutti i valori si svalutano. Il pazzo che entra al mercato annunciando la morte di Dio esordisce affermando ‘Cerco Dio!'”.
Attenzione però, il nichilismo ha a che fare con l’intera storia dell’occidente, solo che con Nietzsche assume connotati certi e determinati: “Con Zarathustra e con me adesso si manifesta la menzogna di tutto ciò che la civiltà cristiana occidentale e in realtà tutte le civiltà della terra hanno ritenuto fino ad oggi vero e morale”. Questa è la svolta antropologica. Questo è “Ecce homo” nichilista.
Il nichilismo è un ospite inquietante che bussa alla porta dell’umanità, insidiando la natura stessa della persona e del creato, a favore della volontà del più forte, scindendone i legami con la ragione e la giustizia e perdendo l’uomo. In particolare annulla valore e valori all’esperienza che noi facciamo con-gli-altri attraverso quello che Levinas chiamava il volto dell’altro e Ricoeur, si appellava alla benevolenza originaria, cioè alla attitudine dell’essere umano a intendersi, a trovare riconoscimento nell’altro e a prendersi carico reciprocamente delle proprie necessità.
Questo è stato anche al centro del dialogo di Monaco (2004) tra l’allora cardinale Joseph Ratzinger e il filosofo Jurgen Habermas. Il futuro Papa ha sottolineato il rischio del trionfo della cultura tecno nichilista e come invece il cristianesimo possa illuminare la razionalità occidentale in una direzione che non sia tipicamente manipolatrice ma umanamente creativa.
In questa cifra culturale s’inserisce la riflessione della Dottrina Sociale della Chiesa su un tema così sensibile come la giustizia sociale in un mondo che vede crescere le diseguaglianze (OXFAM Rapporto 2014 Working for The Few).
Per il magistero sociale la giustizia sociale, soprattutto in un momento storico di crisi etica e di valori che sempre meno guidano l’agire politico e sociale, si realizza solo attraverso una corretta declinazione del concetto di “bene comune”, che va coniugato con la questione etica.
Fatta questa premessa la DSC dà una definizione di giustizia sociale che è il telos della giustizia generale. Come scrive il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (nn. 446-448), la giustizia sociale è l’elemento fondante della questione sociale e nell’epoca della globalizzazione questa va declinata a mondiale e riguarda la dimensione sociale, politica, economica e ambientale.
Sempre il Compendio (n. 202), sul nostro tema afferma: “La giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d’intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità e dell’avere.
Anche la giustizia, sulla base di tali criteri, viene considerata in modo riduttivo, mentre acquista un più pieno e autentico significato nell’antropologia cristiana. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, perché ciò che è “giusto” non è originariamente determinato dalla legge, ma dall’identità profonda dell’essere umano”. (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, n. 40: AAS n.80 (1988); Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1929).
In questa luce si comprende l’insegnamento di Paolo VI sullo sviluppo integrale e solidale: “Uno dei compiti fondamentali degli attori dell’economia internazionale è il raggiungimento di uno sviluppo integrale e solidale per l’umanità, vale a dire, «la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo». (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, n.14: AAS 59 (1967) 264).
“Tale compito richiede una concezione dell’economia che garantisca, a livello internazionale, l’equa distribuzione delle risorse e risponda alla coscienza dell’interdipendenza — economica, politica e culturale — che unisce ormai definitivamente i popoli tra loro e li fa sentire legati a un unico destino” (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2437-2438). In altre parola per la DSC i problemi sociali devono essere letti e affrontati a livello glocale: nella nostra epoca, nessuno Stato nazionale ha le capacità di affrontarli e risolverli da solo.
Nonostante le conseguenze del nichilismo (esaltazione dell’egolatria anonima), la buona notizia è l’emergere di una nuova apertura verso la fraternità e il bene comune, tale: “di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all’appello di Dio, in essa contenuto” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, n. 29: AAS n. 83 (1991) nn. 828-829); (cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, nn. 40-42: AAS n. 59 (1967) nn. 277-278).
Ma come ha detto Papa Francesco (Video messaggio di Papa Francesco per il Terzo Festival della Dottrina Sociale della Chiesa – Verona, 21-24 novembre 2013): “Si potrebbe affermare che l’applicazione della Dottrina Sociale contiene in sé una mistica. Ripeto la parola: una mistica.
Sembra toglierti immediatamente qualcosa; sembra che applicarla ti porti fuori dal mercato, dalle regole correnti. Guardando ai risultati complessivi, questa mistica porta invece un grande guadagno, perché è in grado di creare sviluppo proprio in quanto – nella sua visione complessiva – richiede di farsi carico dei disoccupati, delle fragilità, delle ingiustizie sociali e non sottostà alle distorsioni di una visione economicistica lasciata allo Stato o alle azioni di assistenza e di volontariato.”
Ecco perché la solidarietà è una parola chiave della Dottrina Sociale. Ma noi, in questo tempo, abbiamo il rischio di toglierla dal dizionario, perché è una parola scomoda, ma anche – permettetemi – è quasi una “parolaccia”. Per l’economia e il mercato, solidarietà è quasi una parolaccia”. Ma senza questa “parolaccia” non potrà esserci la vera giustizia sociale.