La visita in Vaticano di Barack Obama del 27 marzo scorso e quella di Vladimir Putin il 25 novembre 2013 costituiscono un termometro importante dei rapporti odierni tra il Vaticano, la Russia e gli Stati Uniti. Sul piano simbolico e della cortesia diplomatica, questi due colloqui hanno mostrato una sorta di nemesi storica che rovescia l’usuale percezione delle due grandi potenze relativamente alla cultura religiosa. Diversi vaticanisti hanno rilevato l’inconsueta timidezza del Presidente degli Stati Uniti, apparso molto riverente e quasi in soggezione davanti a un Bergoglio austero, diplomaticamente cordiale ma tutt’altro che espansivo nei confronti dell’interlocutore (1). Obama ha scelto di regalare al Romano Pontefice una decisamente laica e prosaica scatola di semi di frutta e verdura, forse su suggerimento della consorte Michelle, che coltiva personalmente l’orto della Casa Bianca, e non certo per richiamare le parabole evangeliche della semina. Un dono che contrasta con il sacrale omaggio del Presidente russo: un’icona della Madonna di Vladimir, nota ai bizantinisti come «Vergine della tenerezza», che Putin aveva consegnato al Papa con un inchino devozionale che ha sorpreso più d’un osservatore. Non è esagerato affermare che la semantica di questi gesti sia un riflesso del diverso sentire che ha caratterizzato i due colloqui.
Nella sua visita Obama ha cercato di presentarsi in sintonia con la Santa Sede in materia di lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali, un tema su cui Papa Francesco, com’è noto, insiste con frequenza e vigore, ma che non rappresenta una novità. Oltre un secolo fa S. Pio X aveva già sancito che l’oppressione dei poveri e la frode della giusta mercede agli operai «gridano vendetta al cospetto di Dio». Per il Papa la Dottrina sociale della Chiesa, che si fonda su una lunga serie di pronunciamenti dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI, non può però essere disgiunta dagli altri insegnamenti della Tradizione e del Magistero. Per fare un esempio, la riforma sanitaria di Obama, presentata come una svolta storica a favore dei poveri e che quindi – apparentemente – sembrerebbe vicina allo spirito di Papa Francesco, in realtà rende obbligatoria un’assicurazione sanitaria che comprende i costi di farmaci abortivi e per la sterilizzazione di giovani minorenni anche senza il consenso dei genitori. Il sostegno pubblico offerto da Papa Francesco alla Marcia per la Vita contro l’aborto, tenutasi proprio a Washington nel gennaio 2014, dimostra quanto il Papato e la Casa Bianca restino distanti su temi di assoluto rilievo per la Chiesa.
Viceversa, il colloquio con Putin era stato dedicato non solo alla difficile situazione in Siria, ma anche al ruolo della comunità cattolica di Russia e «al contributo fondamentale del cristianesimo nella società», alla «situazione critica dei cristiani in alcune regioni del mondo, nonché alla difesa e alla promozione dei valori riguardanti la dignità della persona, la tutela della vita umana e della famiglia» (2). Il fatto che proprio con il Presidente russo siano state affrontate queste tematiche non è una totale sorpresa. Quando il conclave del marzo 2013 ha eletto il cardinale Bergoglio al soglio petrino, Vladimir Putin è stato infatti l’unico uomo di governo a inviare un telegramma di auguri facendo esplicito riferimento «ai valori cristiani che ci uniscono» (3).
Dalla Siria all’Ucraina passando per il G-20 di San Pietroburgo
Mentre Papa Francesco aveva addirittura proclamato una giornata di preghiera e digiuno per scongiurare la minaccia franco-statunitense di un attacco alla Siria, è molto significativo che il Vaticano abbia tenuto invece un profilo molto basso in occasione della recente crisi ucraina. La Santa Sede si è limitata a richiamare le parti al dialogo e al negoziato, senza tuttavia schierarsi da una parte o dall’altra, sia in occasione del cambio di governo a Kiev sia quando il referendumin Crimea ha sancito il ritorno della penisola alla Russia. Un atteggiamento che appare tanto più importante se letto alla luce della geografia confessionale dell’Ucraina. La parte centro-occidentale del Paese, quella più permeata di sentimenti anti-russi, è infatti anche la regione con la più consistente presenza di cattolici, in particolare di uniati, cioè di ortodossi convertiti al cattolicesimo che però hanno mantenuto la liturgia bizantina. Per ragioni storiche il contrasto tra Ucraina e Russia – nonché quello interno tra Ucraina occidentale e Ucraina orientale – avrebbe dunque potuto facilmente essere strumentalizzato e trasformarsi in una sorta di scontro tra ortodossi e cattolici, magari con il sostegno del Vaticano a questi ultimi. La condotta della Santa Sede ha così implicitamente mostrato di distinguere quei conflitti in cui sussiste una componente di odio religioso (come nel caso dei ribelli islamisti in Siria, che continuano a perseguitare la popolazione cristiana), da situazioni come quella ucraina ove invece le differenze confessionali non hanno nulla a che vedere con la crisi. A ciò si aggiunga la lettera che Papa Francesco ha indirizzato proprio a Putin il 4 settembre 2013 in occasione della presidenza russa del G-20 di San Pietroburgo (4). L’auspicio del Pontefice di evitare un’invasione militare e scegliere la via della mediazione diplomatica internazionale è stato sostanzialmente esaudito anche grazie all’impegno di Mosca. In questi giorni sembrano profilarsi i primi segni di distensione fra USA e Russia sulla questione ucraina, con l’inizio del ritiro delle truppe di Mosca dal confine. Una ripresa di dialogo che potrebbe anche favorire l’indispensabile collaborazione fra le due potenze per lo smantellamento dell’arsenale di Damasco e per la pacificazione della Siria, un obiettivo che appare ancora lontano da raggiungere.
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