Il "diritto" all'aborto e le sue conseguenze

Lo scenario dalla legalizzazione, ad opera della Corte Suprema nel 1973, ad oggi

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Le battaglie politiche e giudiziarie sul tema dell’aborto, scaturite dalla sentenza della Corte Suprema del 1973, continuano senza sosta.

Un libro di recente pubblicazione, Abuse of Discretion: The Inside Story of Roe v. Wade (Encounter Books), di Clarke Forsythe, esamina i verbali di otto dei nove giudici responsabili della sentenza Roe v. Wade, così come della Doe v. Bolton.

Forsythe, senior counsel presso l’American United for Life, analizza in varie centinaia di pagine, il ragionamento che porta all’approvazione di massa dell’aborto.

Anche quanti simpatizzano per la Roe v. Wade, definiscono la sentenza come un “motore di controversia”, afferma Forsythe nell’introduzione. Altri descrivono il provvedimento come “il simbolo preminente dell’eccesso giudiziario”.

Gli effetti delle sentenze del 1973 furono quelle di rendere nulle le leggi sull’aborto in tutti i 50 stati, permettendo ovunque l’apertura di cliniche abortive. Secondo Forsythe, la Corte Suprema sorprese persino gli attivisti pro-aborto, che non si aspettavano una decisione così favorevole.

Nel giudizio, i giudici decisero che il diritto alla libertà, includeva il diritto alla privacy e che l’aborto fa parte di quest’ultimo diritto. Inoltre, affermavano che l’embrione non era una persona, come invece stabiliva la Costituzione.

Anche nella sentenza Doe, i giudici definivano la salute, includendovi il benessere emotivo della gestante, senza però spiegarne il significato e lasciandolo alla discrezione di chi praticava gli aborti.

Come osservarono i commentatori delle sentenze della Corte Suprema, la natura radicale dei provvedimenti, poneva l’America tra i paesi del mondo con la più vasta libertà di abortire l’embrione.

Un’altra rilevante critica fatta da Forsythe è che l’intervento della Corte Suprema pone il tema dell’aborto fuori dal controllo delle legislazioni statali, dove era stato posto fino a quel momento, ignorando così i normali processi politici di dibattito e il processo democratico.

“La giustizia aveva centralizzato ciò che prima era decentrato”, ha commentato l’autore.

Ciò significa, prosegue Forsythe, che gli americani non erano più liberi di dibattere e di decidere su questo argomento. Sebbene alcuni stati avevano già depenalizzato l’aborto prima del 1973, il risultato della sentenza della Corte Suprema significava che il numero degli aborti sarebbe significativamente cresciuto dai 550mila del 1972 al milione e 600mila del 1992.

In conclusione, Forsythe osserva che i giudici “sottostimarono gravemente la bufera in cui si stavano cacciando e le condizioni che l’avevano causata”.

Roe, afferma, “fu pesantemente influenzato da calcoli politici, giuridici e sociali di breve termine, tra cui le predizioni di una crisi di sovrappopolazione che, in seguito, si rivelarono false”.

“Numerose affermazioni – in merito ai rischi di aborto e futura pratica dell’aborto – erano basate su poco più di un sospetto”, aggiunge lo studioso.

Forsythe osserva poi che, nonostante i giudici ritenessero di aver agito in modo conforme all’opinione pubblica, di fatto erano andati ben al di là di quello che la gente sosteneva.

Ci sono soltanto quattro paesi in tutto il mondo, osserva l’autore, che permettono l’aborto dopo che il feto è divenuto vitale: Stati Uniti, Corea del Nord, Cina e Canada.

Agendo in maniera così unilaterale, spiega Forsythe, hanno reso l’argomento dell’aborto “più divisivo ed irrisolvibile, estraniandolo dal processo democratico, dove anche le più controverse tematiche politiche sono temperate dal dibattito politico e parlamentare”.

Forsythe prende anche argomentazioni usate dai sostenitori dell’aborto, secondo i quali la sua legalizzazione avrebbe risultati positivi per le donne in termini di riduzione della mortalità da parto. “Non ci sono dati scientificamente testati che mostrino una riduzione della mortalità tra le partorienti”, come conseguenza della legalizzazione dell’aborto, afferma lo studioso.

Infatti, i dati di paesi che non prevedono l’aborto, come il Cile o l’Irlanda, mostrano che la salute materna è migliore rispetto a paesi confinanti che l’aborto l’hanno legalizzato.

“L’affermazione che Roe abbia ridotto la mortalità da parto è un castello di sabbia”, afferma.

Inoltre Forsythe documenta ampiamente gli abusi che hanno avuto luogo in cliniche abortive, con pratiche mediche rischiose ed effetti medici e psicologici che hanno coinvolto molte donne.

“È sempre più evidente che la politica nazionale sull’aborto per varie ragioni, in ogni momento della gravidanza – mai approvata dal popolo tramite referendum popolare – porta con sé un carico di problemi fisici, emotivi e sociali che sono una ferita per le donne e precludono loro la felicità”.

Al tempo stesso Forsyth mette in guardia il movimento pro-life da qualunque speranza in una sentenza di segno opposto che ribalti il verdetto del 1973. Nella maggior parte degli stati, osserva, non vi sono proibizioni riguardo all’aborto.

Il dibattito legislativo a livello statale sta ora proseguendo, osserva lo studioso. Negli ultimi anni alcuni stati hanno emesso restrizioni all’aborto dopo 20 settimane di gestazione.

L’aborto continuerà senza dubbio ad essere un argomento scottante e assai dibattuto. Un altro tema, quello del “matrimonio” omosessuale, è anch’esso al centro di numerose battaglie giudiziarie, non ultima quella in California dove la Corte Suprema statale ha rovesciato il voto popolare. Rimane da vedere se sarà l’intervento giudiziario o, piuttosto, la democrazia a prevalere.

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Fr. John Flynn

Australia Bachelor of Arts from the University of New South Wales. Licence in Philosophy from the Pontifical Gregorian University. Bachelor of Arts in Theology from the Queen of the Apostles.

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