Padre McNamara risponde oggi ad una domanda di un nostro lettore negli Stati Uniti.
Durante una riunione decanale un sacerdote ha rivelato di recente che dà la comunione a cattolici divorziati e risposati fuori della Chiesa e senza un decreto di nullità, questo sotto l’autorità del cosiddetto “foro interno”, noncurante della loro convivenza coniugale. Alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica n° 1650, di che cosa si tratta? Mi sfugge qualcosa? – G.S., Florida (USA)
Il n° 1650 del CCC dice:
“1650. Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (« Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza”.
Il n° successivo completa il testo:
“1651. Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati:
«Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il Sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio”.
Il Catechismo riassume la dottrina della Chiesa di lunga data, ma tiene anche conto dei vari dibattiti avviati nel corso degli ultimi decenni.
Praticamente ogni parroco ha a che fare con persone buone che vivono in una nuova relazione stabile mentre sussiste ancora un valido matrimonio ecclesiastico precedente. Accade spesso che la seconda relazione resiste più a lungo della prima ed è stata benedetta anche con una prole. Non poter ricevere la Comunione è per molti fedeli un fatto doloroso.
Queste difficili situazioni pastorali hanno portato alcuni vescovi e teologi a proporre il cosiddetto “foro interno” o “buona coscienza” come soluzione per alcuni casi specifici di coppie divorziate e risposate.
Anche se gli autori di questa teoria divergono tra di loro sia per quanto riguarda la definizione che l’applicazione di questa “soluzione”, in sintesi si può dire che si tratta di una risposta pastorale data da una persona, con l’ausilio di un sacerdote, nella quale questa persona si convince in coscienza della nullità del suo matrimonio precedente, anche se poi in foro esterno la nullità (oggettiva) del vincolo non può essere stabilita. A consentire il ritorno ai sacramenti sarebbe dunque questa convinzione (soggettiva).
Tuttavia, le opinioni divergono molto su come applicare questa soluzione. Alcuni autori sostengono che non può essere concessa da un sacerdote ma solo agendo sotto la sua guida. Altri dicono esplicitamente che si tratta di una decisione presa da un sacerdotequalificatosenza ricorrere ad un tribunale ecclesiastico.
Allo stesso modo, altri sostengono che prima di convocare il foro interno è necessario che la persona abbia almeno provato di ricorrere al foro esterno (tribunale matrimoniale), la cui causa è però bloccata per difficoltà procedurali o altro. Altri sostengono che ci possano essere anche casi in cui la persona può decidere di ricorrere al foro interno senza mai aver contattato un tribunale, essendoci buone ragioni per non farlo.
Gli autori che sostengono questa “soluzione del foro interno” riconoscono allo stesso tempo che andrebbe limitata ad una certa categoria di coppie divorziate e risposate, e che non costituisce un assegno in bianco per essere riammessi ai sacramenti.
Tra le varie condizioni menzionate da questi autori: che possano ricevere i sacramenti senza provocare scandalo nella comunità; che promettano di regolarizzare il loro secondo matrimonio al decesso del primo coniuge; che abbiano dimostrato stabilità nella seconda unione, e che comprendano che il loro essere riammessi ai sacramenti non implica alcun cambiamento nella dottrina cattolica sull’indissolubilità del matrimonio, né costituisce una decisione ufficiale in merito alla nullità del precedente matrimonio.
Abbiamo semplificato le argomentazioni di questi autori, sperando di non averle travisate.
Allo stesso tempo, dobbiamo insistere sul fatto che queste sono opinioni e non rappresentano la dottrina cattolica ufficiale rispetto al foro interno.
L’insegnamento ufficiale della Chiesa su questo argomento è contenuto in una serie di documenti. Noi tratteremo quelli più rilevanti per il nostro argomento.
L’11 aprile del 1973 l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (d’ora in poi abbreviato CDF), il cardinale Franjo Seper, scrisse al presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattolici negli Stati Uniti, parlando delle “nuove opinioni che o negano o tentano di mettere in dubbio l’insegnamento del Magistero della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”. Il porporato concluse il suo intervento con il seguente criterio pratico:
“Per quanto riguarda l’ammissione ai sacramenti, viene chiesto agli Ordinari da un lato di sottolineare l’osservanza della disciplina attuale e, dall’altro, di badare affinché i pastori delle anime prestino particolare attenzione alla ricerca di coloro che vivono in una unione irregolare applicando alla soluzione di questi casi, in aggiunta ad altri mezzi appropriati, la pratica approvata dalla Chiesa in foro interno (probatam Ecclesiae praxim in foro interno).”
Alla domanda di chiarimenti da parte di alcuni vescovi sul significato di questa pratica approvata in foro interno, l’arcivescovo Jean Hamer, segretario della CDF, rispose il 21 marzo del 1975:
“Vorrei affermare ora che questa frase [probata praxis Ecclesiae] dev’essere intesa nel contesto della tradizionale teologia morale. Queste coppie [cattolici che vivono in unioni coniugali irregolari] possono essere autorizzate a ricevere i sacramenti a due condizioni: che cerchino di vivere secondo le esigenze dei principi morali cristiani e che ricevano i sacramenti in chiese in cui non sono conosciute in modo da non creare alcun scandalo”.
Questi documenti, assieme all’esortazione apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, costituiscono la base della dottrina che troviamo nel Catechismo.
Nel 1994, due anni dopo la promulgazione del Catechismo, in risposta a diverse proposte di permettere alcune eccezioni pastorali a questa dottrina e alle norme del diritto canonico in casi particolari, la CDF ha scritto una lettera ai vescovi di tutto il mondo “circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”.
Questo documento riafferma la posizione della Familiaris Consortio e del Catechismo (compresi i due motivi sopramenzionati), aggiungendo: “La struttura dell’Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in
base alle differenti situazioni”.
Questa dottrina basilare è stata confermata nuovamente nel 2007 nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis: “Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia”.
Quindi è chiaro che la Santa Sede ha escluso la possibilità della “soluzione in foro interno” come una strada valida per risolvere questioni di validità coniugale. L’atto di contrarre matrimonio è un atto pubblico, davanti a Dio e la società, e perciò questioni riguardanti la sua validità possono essere risolte solo in foro esterno. L’ammissione ai sacramenti può avvenire soltanto nelle situazioni descritte nel Catechismo.
Tuttavia, tutti i Papi recenti hanno sentito fortemente la situazione dolorosa delle coppie che si trovano in questa situazione. Dai primi mesi del suo pontificato Benedetto XVI ha invitato a studiare ulteriormente questa difficoltà. Papa Francesco ha altresì affrontato questo tema e ha invitato i vescovi a proporre possibili iniziative che aiuteranno la Chiesa ad assistere meglio questi membri del corpo di Cristo.
Eppure, come ha osservato un cardinale eminente riguardo a questo argomento: “il nero non diventerà bianco”. Cioè nessuna soluzione pastorale può cambiare il Vangelo o l’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
L’azione pastorale più importante che la Chiesa può e deve fare è cercare di promuovere la formazione cristiana dei giovani cattolici in modo che si avvicinino al matrimonio con l’intenzione di cooperare con la grazia di Dio, facendone un impegno per la vita. In altre parole, la migliore soluzione a lungo termine per il divorzio e le seconde nozze è di evitare il divorzio in primo luogo.
Allo stesso tempo, sarebbe ingenuo pensare che alcuni matrimoni non falliranno o che non ci saranno celebrazioni non valide. Questa è una conseguenza inevitabile della debolezza umana e della libertà umana. Allo stesso modo, oggi c’è un gran numero di cattolici che si trovano in situazioni irregolari e che hanno concrete necessità pastorali, e la Chiesa ha l’obbligo di trovare vie per aiutarli, rispettando l’insegnamento di Cristo sulla santità del matrimonio.
Questo è probabilmente lo spirito con cui Papa Francesco e i vescovi cercheranno di capire quali soluzioni e iniziative siano disponibili per portare la luce di Cristo a tutti i membri della Chiesa.
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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.