Riportiamo di seguito il testo dell’intervento conclusivo pronunciato dal vescovo ausiliare Lorenzo Leuzzi, delegato della Pastorale sanitaria diocesana, al convegno “I trent’anni della Salvifici Doloris: attualità e prospettive di un messaggio scomodo”, che si è tenuto ieri mattina presso il Vicariato di Roma.
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La XXII Giornata Mondiale del Malato è il centro del cammino pastorale della Chiesa di Roma impegnata ad una rinnovata presenza nel vasto e articolato mondo della salute, vera periferia esistenziale della società contemporanea.
Non si tratta di promuovere un semplice cambiamento organizzativo, ma di porre mano a ripensare le radici di quella costante azione del “prendersi cura” della comunità cristiana. Dalla parabola del samaritano alle grandi opere di assistenza sanitaria, dalla semplice visita al malato alle iniziative socioculturali, la Chiesa si è fatta carico di indicare nella “malattia” l’evento caratterizzante la condizione umana a prescindere dalla quale ogni riflessione antropologica rischia di cadere nell’astrazione.
Per rispondere alle nuove attese di salute della società contemporanea la Chiesa di Roma, preparandosi a vivere l’evento della canonizzazione, ha indicato a tutti gli operatori sanitari la lettura della Lettera apostolica Salvifici doloris del Beato Giovanni Paolo II.
Nel confronto con l’attuale situazione culturale non è difficile cogliere non solo la sua attualità, ma soprattutto la sua capacità di orientare il futuro cammino della pastorale della salute che potrebbe essere così ben sintetizzato: “dall’assistenza alla partecipazione”.
È una prospettiva pastorale che da un lato invita la Chiesa a definire la sua pro-posta, ossia il contenuto del suo annuncio; dall’altro sollecita gli operatori a ripensare la propria vocazione e missione.
Infatti attuare il passaggio dall’assistenza alla promozione significa innanzitutto “pensare” il significato cristiano della malattia ripreso, in continuità con la Salvifici Doloris, nel messaggio di papa Francesco: “Il Figlio di Dio fatto uomo non ha tolto dall’esperienza umana la malattia e la sofferenza, ma, assumendole in sé, le ha trasformate e ridimensionate”.
È l’affermazione della piena soggettività della malattia collocata non fuori ma al di dentro della personale biografia di ogni uomo. Non esiste una biografia storica e una biologia, ma tutte e due devono camminare insieme perché sono le due dimensioni dell’esistenza umana, la quale si manifesta nella dualità dell’esperienza umana.
Il tentativo in atto nella società contemporanea di separare la malattia dalla e nella persona umana si manifesta principalmente nell’attività sanitaria, chiedendo agli operatori interventi che non sono a servizio della crescita personale dell’uomo; ossia interventi ideologici e non terapeutici.
Di qui l’urgenza che anche nell’azione pastorale si superi l’idea “negativa” della malattia, da gestire come corpo estraneo alla vita della comunità cristiana. Il malato deve essere al centro della comunità, perché in lui si manifesta il vero significato della salvezza cristiana e la pienezza del mistero dell’uomo (cf. GS 22).
Di qui l’urgenza di rivedere i percorsi catechistici a tutti i livelli, dalla preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, alla catechesi degli adulti: è sufficiente ricordare la scarsa attenzione che continua ad essere riservata al Sacramento dell’Unzione degli infermi e al nuovo Rito delle esequie.
Non solo. Una rinnovata azione pastorale deve promuovere la responsabilità degli operatori sanitari, che devono essere consapevoli che il “concetto di salute” non è più univoco e si nasconde nelle nuove richieste di intervento sanitario. A loro il compito di un grande e decisivo impegno di discernimento di fronte a tali richieste.
Ciò comporta un nuovo impegno formativo: non è semplice attuare il passaggio dall’assistenza alla promozione senza un bagaglio culturale e di vita spirituale. Nel rapporto con il paziente e nella partecipazione all’azione della struttura sanitaria si gioca il futuro dell’umanità: quel paziente è un oggetto biografico, o una persona della genealogia umana?
Se è un oggetto biografico, non c’è bisogno di promozione; se è invece una persona della genealogia umana non basta l’assistenza, è necessario il coinvolgimento della comunità, da quella familiare a quella ecclesiale, perché quella biografia è un dono per tutti e non può essere dimenticata nella cronologia degli interventi sanitari.
La Chiesa di Roma, leggendo la Salvifici doloris, desidera invitare tutti gli operatori sanitari ad accogliere l’invito di papa Francesco: non lasciare la periferia esistenziale dove si opera, ma viverla come compito perché da tale impegno dipende il futuro della società.
Se vogliamo costruire la società della partecipazione e non dello scarto è necessario essere nella periferia della salute. Ogni comunità cristiana è chiamata a farsi carico del sostegno e della gratitudine verso coloro che operano nel mondo della salute.
+ Lorenzo Leuzzi
Vescovo ausiliare di Roma
Delegato per la Pastorale della salute