ROMA, martedì, 31 gennaio 2012 (ZENIT.org) – La macchina danneggiata e una testa di maiale mozzata, con un bavaglio in bocca, davanti la soglia della sua abitazione. Sono le gravi intimidazioni subite, nei giorni scorsi, da don Ennio Stamìle, parroco di Cetraro, in provincia di Cosenza, da parte della ‘ndrangheta.
“Non sono né un prete-antimafia, né un eroe. Sono solo un sacerdote che fa il proprio dovere: di fronte al male non possiamo tacere”, ha commentato lo stesso parroco in un’intervista alla Radio Vaticana.
“Queste due intimidazioni o minacce sono semplicemente una reazione alla nostra azione pastorale che a volte deve assumere anche i toni della denuncia, come tra l’altro ci insegna il magistero sociale della Chiesa”, ha dichiarato don Stamìle, in riferimento alla Solicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, che suggerisce come la denuncia faccia parte dell’azione profetica di un presbitero.
“Chiaramente, la denuncia viene dopo l’annuncio, però anche essa fa parte della nostra azione profetica – spiega il prete cosentino – . E’ chiaro che quando vediamo il male, quel male che raggiunge livelli preoccupanti perché coinvolge il povero, chi è solo, come gli anziani e addirittura i disabili è ovvio che non possiamo tacere”.
Don Ennio, nell’intervista riferisce, ancora, che nel momento in cui si denuncia: “questa denuncia non viene colta come un invito alla conversione, ma in alcuni contesti, in alcuni ambienti purtroppo di sottocultura e di sottosviluppo, come una sorta di atteggiamento di sfida”.
Un atteggiamento alimentato anche da alcune etichette mediatiche come ‘Il prete contro la mafia’. “Il prete, come cristiano, non è contro nessuno; noi siamo dalla parte di ogni uomo, anche di quello che evidentemente sbaglia”, afferma convinto il giovane parroco.
“Questa è la nostra missione – prosegue – non abbiamo interessi da difendere, ma una funzione profetica da esercitare; questo purtroppo però non si comprende e mi dispiace molto perché rischia di offuscare l’immagine di una Calabria straordinaria e di persone straordinarie che fanno del bene e lo fanno silenziosamente, donandosi quotidianamente a un’azione di servizio, di volontariato, d’impegno pastorale nei confronti soprattutto dei più deboli”.
Emerge chiaramente, dalle parole di don Ennio, l’intento di non voler essere presentato come un “prete eroe”, un “prete antimafia”, anche perché, afferma lui stesso: “non abbiamo bisogno di eroi, ma di persone che semplicemente facciano il loro dovere, con i propri limiti, con le proprie debolezze”.
Persone che “si sforzino quotidianamente di impegnarsi per il bene, per la giustizia, per la legalità, per la solidarietà”, aggiunge, sottolineando che a Cetraro “di eroi non ne abbiamo bisogno, perché li abbiamo già: Giannino Losardo, ucciso dalla ‘ndrangheta, e tanti altri politici, magistrati o sacerdoti della terra di Calabria”.
Alla domanda a chi dia fastidio il suo impegno di pastore per la legalità, don Ennio Stamìle risponde che evidentemente infastidisce “coloro che pensano di utilizzare strumenti atti a delinquere, per esempio l’usura, il ‘pizzo’, ogni forma di violenza e anche di paura specie nei confronti delle persone più deboli”.
Una situazione drammatica, e purtroppo diffusa tra molti giovani, che “con la scusa che in Calabria non ci sia lavoro” si affiliano alla ‘ndrangheta, pensando che “essa provveda a dare lavoro”.
Nonostante i due episodi intimidatori, il sacerdote afferma di proseguire il suo cammino: “Noi non possiamo sicuramente fermarci e certamente non ci fermeremo né ci lasceremo intimorire” dice.
“Non siamo soli – dichiara in conclusione dell’intervista radiofonica – non tanto perché tanta gente sta accanto a noi, ma perché il Signore è con noi. Come ci insegna San Paolo: “Chi ci potrà mai separare dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, la nudità, il pericolo, la spada?”.
(Fonte: Radio Vaticana)