"La mia scelta è maturata nella fede e nella sofferenza, fidandomi del Signore"

Intervista con suor Paola Montisci, dal 2009 responsabile dell’ufficio di animazione vocazionale-giovanile nell’USMI

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di Giovanni Preziosi

ROMA, venerdì, 27 gennaio 2012 (ZENIT.org).- «Appartenere al Signore – ammoniva, qualche anno fa, il Santo Padre Benedetto XVI in un discorso ai Superiori e alle Superiori Generali – vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza: la nostra piccolezza è offerta a Lui quale sacrificio di soave odore… Essere di Cristo significa mantenere sempre ardente nel cuore una viva fiamma di amore. […] Il Signore vuole uomini e donne liberi, non vincolati, capaci di abbandonare tutto per seguirLo e trovare solo in Lui il proprio tutto». Questo severo monito, del resto, ritorna prepotentemente d’attualità proprio il 2 febbraio giorno in cui, come ogni anno si celebra la XVIa Giornata mondiale della vita consacrata. Proprio per commemorare degnamente questa importante ricorrenza ci è parso giusto raccontarvi la storia, davvero molto suggestiva, di suor Paola Montisci, una giovane e simpatica religiosadelle suore domenicane di S. Caterina da Siena, una congregazione sorta nel 1852 ad Albi in Francia grazie all’audace opera di un’umile donna di nome Gérine Fabre. Suor Paola dal 2009 ricopre l’incarico di responsabile dell’ufficio di animazione vocazionale-giovanile nell’Unione superiore maggiori italiane e collabora con il Centro Nazionale Vocazioni nonché con il Servizio di pastorale giovanile della CEI. Inoltre fa parte anche dell’equipe direttiva del Centro Nazionale Vocazioni della CEI. Ma a questo punto preferiamo lasciare la parola alla protagonista per conoscerla più da vicino.

Suor Paola ci racconta la sua storia, quali sono le sue origini, come ha maturato questa scelta e qual è stata la “scintilla” della sua vocazione?

Sono nata a Roma ma la mia famiglia per motivi di lavoro si è dovuta trasferire a Firenze, lì ho frequentato le scuole, sono cresciuta, ho cominciato a lavorare a 16 anni in fabbrica, poi verso i 20 anni sono andata a lavorare come sacrestana (in gergo lavorativo si dice: addetta al culto) nella chiesa di S. Maria Novella a Firenze dai padri domenicani. La mia scelta è maturata nel silenzio di una Chiesa… La scintilla della vocazione si è accesa quando un sacerdote mi ha fatto capire quanto Dio mi amava. Questo ha spalancato la porta del mio cuore. Per fare un parallelo con la Scrittura, la mia storia è un po’ come quella di Samuele, anch’io ero nel tempio (non vi abitavo e dormivo come lui lì) e per comprendere chi era che mi chiamava, ho avuto bisogno di una mediazione umana (come Samuele ebbe il sacerdote Eli) che mi aiutasse a capire che quella voce che sentivo, era diversa dalle altre. Poi, un bel giorno, finalmente ho capito che quella voce era quella di Dio che mi chiedeva di seguirlo in un progetto di vita sul quale non mi ero mai fermata a riflettere. La mia scelta è maturata nella fede e nella sofferenza, fidandomi del Signore. Ho lasciato anche il mio amatissimo papà che in quegli anni si era ammalato gravemente di cuore. Un giorno gli dissi: “sai papà ho deciso di entrare in convento” e lui mi rispose: “vai tranquilla figlia mia, il Signore è più importante di me!” La fede testimoniata è il “corredo” più bello che si può regalare a una figlia.

Come trascorre la sua giornata?

Vorrei dire innanzitutto che i miei giorni sono tutti diversi l’uno dall’altro. 

La mattina prego con la mia comunità e dopo aver fatto il pieno di “benzina spirituale” prendo l’autobus tra la gente, vado in ufficio e svolgo il mio lavoro con grande entusiasmo e gioia, perché mi piace molto quello che faccio. Preparo convegni per le animatrici vocazionali, tengo i contatti con le incaricate regionali. È un servizio alla Chiesa e per la Chiesa e su di me ricade come un prezioso servizio alla persona! Essendo un tipo allegro e aperto, entrare in relazione con tante persone mi arricchisce molto e mi da gioia! Lodo Dio per questo dono prezioso, che mi ha concesso. Spesso viaggio per l’Italia per tenere i contatti con le mie referenti regionali. Partecipo a seminari, incontri, convegni, tavoli di riflessione etc. Il pomeriggio torno a casa e continuo il mio lavoro con il computer, poi prego con le mie sorelle finché poi il giorno si conclude, stanca… ma contenta.

Per alcune persone, la vita monastica spesso viene considerata come una sorta di “fuga dalla realtà”, rifugiarsi in una sorta di “splendido isolamento”, una specie di prigione, insomma: com’è, invece, per chi vive questa esperienza in prima persona e cosa vuol dire per lei essere suora?

Gesù si è incarnato nella storia è questo per me è fondamentale. Lui è il primo che decide di stare in mezzo a noi condividendo tutto, la fatica, il sonno, il dolore etc. Alla scuola dell’incarnazione credo fortemente che essere suora o meglio dire, sorella, con tutte le implicazioni che questo nome evoca, significa, condividere la vita quotidiana delle persone gioie, dolori, preoccupazioni, sogni, angosce e speranze. Credo che ciò che mi sospinge nasce dal mio desiderio materno; infatti sento forte in me la chiamata a prendermi cura della vita degli altri, di sostenerli nel cammino della vita, nelle fatiche, nelle malattie, lasciandomi sostenere a mia volta. A me piace moltissimo vivere in mezzo alla gente infatti, se c’è una cosa di cui sento la mancanza è vivere inserita nella vita di una comunità parrocchiale.

Ci racconta un episodio particolare che ha segnato la sua vita religiosa?

Vorrei raccontare un episodio bello della mia vita che mi ha segnato, facendomi capire l’importanza del voto di obbedienza, di quanto sia importante fidarsi dei superiori. In preparazione ai voti perpetui la mia Madre Generale mi aveva mandato a fare la preparazione di un mese insieme ad altre giovani suore di altre congregazioni. Mi trovavo molto bene e ci divertivamo tanto, oltre a prepararci seriamente al nostro impegno definitivo con Gesù. Si respirava un clima di gioia e di allegria veramente intenso ma.. l’incantesimo stava per finire!

La mia Generale l’ultima settimana del mese di preparazione, decide di mandare una sua consigliera a prendermi, per portarmi a un convegno su S. Caterina da Siena. Per me lo strappo è stato forte e ho fatto molta fatica ad accettare, lì c’era un gran silenzio e un clima serioso. Ma la cosa bella è che lì mi aspettava il Signore per farmi un dono ancora più grande e inaspettato!!! A quel convegno c’era un giovane portoghese con il quale è iniziata un’amicizia bellissima e veramente intensa che dura ormai da 15 anni! Se non ci fossi andata… non lo avrei mai incontrato.

Secondo lei qual è oggi il ruolo delle religiose nella vita della Chiesa, soprattutto dopo l’importante nomina a sottosegretario della Congregazione per i religiosi di Suor Enrica Rosanna?

Credo che la nomina a sottosegretario di sr. Enrica Rosanna sia un passo avanti per le donne consacrate, con lei si è aperta una strada per interloquire con chi nella Chiesa ha alte responsabilità e forse si incomincia a comprendere che le suore sono capaci di pensare e possiedono un buon quoziente intellettivo. Ma il ruolo della donna nella Chiesa non è certo solo ricoprire un incarico seppur importante. La donna consacrata porta la sua femminilità in un mondo prettamente maschile e nessuno può negare che le due figure uomo donna sono complementari, per cui se riescono a collaborare insieme la ricchezza è un dono grande per la Chiesa. Le donne hanno un altro modo di vedere la vita, di vivere le relazioni, possono diventare maestre di fedeltà e di devozione. Inoltre il genio femminile di cui parlava il beato Giovanni Paolo II è una ricchezza che il mondo maschile non dovrebbe davvero lasciarsi scappare! Per non parlare
della maternità delle donne e della loro capacità di prendersi cura e di custodire la vita dell’altro!

A una giovane che sta maturando la decisione di donarsi a Dio, ma non sa ancora bene come, cosa si sente di dire?

La prima cosa che le direi è di non stancarsi mai di cercare, di ascoltare. La inviterei a pregare intensamente chiedendo a Dio di rivelargli il progetto che ha in serbo per lei. La esorterei a lasciarsi plasmare dalla Parola di Dio giorno dopo giorno. A cercarsi una sapiente guida spirituale, che la possa aiutare a discernere. Le direi di aver coraggio perché vale la pena fidarsi e abbandonarsi completamente nelle braccia di Dio. La vita con Lui anche nelle sofferenze e nelle fatiche è già da ora… un anticipo di paradiso!

Le parlerei, insomma, dell’amore che Dio ha per lei e quando l’Amore chiama non si può rispondere che “eccomi”.

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ZENIT Staff

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