ROMA, venerdì, 20 gennaio 2012 (ZENIT.org) – Le autorità della Bosnia-Erzegovina non stanno affrontando l’ascesa del radicalismo islamico. L’allarme arriva dal più importante vescovo cattolico del Paese. Lo scrivono John Newton e Eva-Maria Kolmann sul sito ACN News (19 gennaio), dell’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
Il cardinale arcivescovo di Sarajevo, Vinko Puljic, 66 anni, ha chiamato l’attenzione sulla crescita dell’estremismo nel Paese dei Balcani durante una visita al quartier generale della nota organizzazione caritatevole cattolica, con sede a Königstein, in Germania.
Secondo il porporato, la crescente islamizzazione della Bosnia-Erzegovina viene finanziata dai radicali in Medio Oriente. “Centri islamici e moschee sono state costruite in molti luoghi con i petrodollari dall’Arabia Saudita”, ha detto Puljic.
Durante l’intervista a Königstein, il porporato ha sottolineato la diffusione del wahhabismo, un movimento di riforma islamica, che è la religione ufficiale dell’Arabia Saudita. Il wahhabismo è stato collegato, da molti commentatori, a movimenti terroristici come Al Qaeda.
L’arcivescovo di Sarajevo ha dichiarato che in Bosnia-Erzegovina ci sono già da 3.000 a 5.000 wahhabiti e che il gruppo sta cercando di aumentare la sua influenza nella società. “Nessuno nel governo ha il coraggio di fare qualcosa per impedire questo sviluppo”, ha dichiarato il cardinale Puljic.
Secondo il rapporto di ACS Persecuted and Forgotten? sull’oppressione dei cristiani, più di 100mila giovani musulmani bosniaci sono venuti in contatto con l’islam wahhabita, attraverso organizzazioni come Active Islamic Youth, Furqan e il Muslim Youth Council. “Negli ultimi anni – ha proseguito Puljic – nella sola Sarajevo sono state costruite almeno 70 nuove moschee”.
Secondo i rapporti, l’Arabia Saudita ha finanziato a Sarajevo la ricostruzione della moschea Husrev Begova, eliminando anche i mosaici interni, come richiede l’estetica wahhabita.
Un’altra nuova moschea, la “Re Fahd”, che è il più grande luogo di culto islamico di tutta la Bosnia-Erzegovina, è stata descritta in un rapporto come una “calamita” per fondamentalisti musulmani.
Mentre le moschee sono state costruite o restaurate, il cardinale Puljic ha fatto notare che servono anni per ottenere un permesso per costruire chiese, aggiungendo che i beni della Chiesa confiscati durante il comunismo non sono ancora stati restituiti.
Secondo Puljic, il governo “non ha alcun interesse a restituire alla Chiesa Cattolica la sua proprietà”, mentre, nella maggior parte dei casi, la proprietà musulmana è stata restituita.
L’arcivescovo di Sarajevo ha aggiunto che “i cattolici sono sistematicamente svantaggiati” e ha chiesto parità di trattamento per i cattolici nel lavoro, nell’istruzione e negli altri settori della vita.
Nonostante questi problemi, il cardinale ha affermato che la Chiesa cattolica sta cercando maggiore cooperazione tra i diversi gruppi etnici e religiosi. “Noi siamo una minoranza, ma siamo una forza costruttiva che vuole contribuire al successo della società”, ha detto.
Suor Ivanka Mihaljevic, superiore provinciale delle Suore Francescane di Cristo Re in Bosnia, ha dichiarato che la comunità ha lanciato un programma triennale chiamato Vi porgo la mia mano per una coesistenza pacifica.
Nell’ambito del programma, cattolici, musulmani e serbo-ortodossi lavorano insieme per promuovere la tolleranza, la non violenza e il rispetto reciproco. “Questi sono piccoli passi di pace e buona volontà, ma vogliamo infondere coraggio nella gente”, ha detto la religiosa ad ACN News.
I musulmani costituiscono circa il 40% della popolazione del Paese, i serbo-ortodossi il 31% e i cattolici il 10%. Dei circa 820.000 cattolici che vivevano in Bosnia-Erzegovina prima della guerra (1992-1995), ne sono rimasti solo 460.000 e l’emigrazione continua.