Cosa insegna l'islam a noi cristiani?

Piero Gheddo lo ha chiesto a padre Davide Carraro, del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME)

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di padre Piero Gheddo

ROMA, giovedì, 19 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Padre Davide Carraro del Pime ha 31 anni ed è stato due anni in Egitto per imparare l’arabo e poi andare in Algeria. Gli faccio una domanda che mi appassiona: “Tu sei vissuto due anni fra un popolo che in grande maggioranza è musulmano. Dell’islam ormai conosciamo quelli che sono gli aspetti negativi. A te chiedo: quali sono gli aspetti positivi di questa religione? Cosa può insegnare a noi cristiani la vita di un popolo musulmano?”.

Davide risponde: “La vita sociale in Egitto è segnata dalla preghiera, dal richiamo alla preghiera, dalle molte persone che pregano in pubblico, non si vergognano di pregare in pubblico, anzi questo è un gesto ritenuto positivo, una persona che non si vergogna di professare la sua fede. Anche nel loro modo di parlare, ci sono spesso espressioni religiose: Come Dio vuole… Siamo nelle mani di Dio… Dio ci benedica tutti… Dio è sempre presente nel modo di parlare e anche di vestire. Ad esempio, una donna velata è un simbolo religioso, quella donna teme Dio. In Egitto molti uomini hanno sulla fronte un segno nero o grigio che indica la preghiera (“zabiba”), che si fa posando la fronte sulla terra. A volte fanno un piccolo tatuaggio che indica questo.

“Poi c’è il richiamo pubblico alla preghiera tre volte al giorno che è molto forte, lo sentono tutti: “Venite alla preghiera, che è molto più importante del sonno!”. E’ un richiamo che ritma la giornata. Da noi l’orologio della torre o del campanile ritma il tempo che passa, nell’islam il richiamo del muezzin ricorda che siamo sempre con Dio, alla presenza di Dio. Che poi vadano o non vadano alla preghiera è un altro problema, ma la società pubblicamente richiama alla presenza di Dio. Si sente  nell’atmosfera una certa religiosità che non sento in Italia. Che poi sia formale o autentica è un’altra cosa, ma per noi occidentali che abbiamo perso il senso di Dio nella nostra giornata, nella nostra vita, questo è un richiamo forte”.

Ricordo a padre Davide che negli anni trenta e quaranta, quand’ero ragazzo nel mio paese di Tronzano vercellese, quando le campane rintoccavano l’Angelus tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e a sera, anche chi lavorava nei campi o camminava per strada si fermava e si faceva il segno della croce dicendo una preghiera. La mia infanzia e giovinezza a Tronzano (sono nato nel 1929) era segnata da quest’atmosfera religiosa nella vita pubblica e nelle famiglie (per esempio il pregare assieme alla sera col Rosario) che oggi in Italia abbiamo perso.

“Ecco – continua Davide – in Egitto è ancora molto forte. Anche i cristiani copti egiziani si fanno tatuare sul polso, fin da bambini, una piccola croce che si vede sempre quando allunghi la mano per salutare, per prendere qualcosa. I copti, a vedere che i musulmani pregano o nel mese di Ramadan vanno in giro col Corano in mano, dicono che sono segni di ipocrisia, perché poi buttano le bombe contro di noi. Ma qui andiamo in un altro discorso. Per dialogare con questi fratelli islamici, dobbiamo vedere anche i loro aspetti positivi. Se nell’altro vediamo anche gli aspetti positivi, come si può costruire un dialogo, un’amicizia”.

“Un’altra cosa che mi ha impressionato in Egitto è il grande rispetto che loro hanno per il Corano, sempre, non solo pubblicamente, ma anche in privato. Il senso del sacro e del Libro sacro. Non si mette ad esempio, nessun libro sopra il Corano, che va tenuto in un posto onorato, elevato, isolato. Questo indica il senso della presenza continua di Dio nella nostra vita e nella vita della società.

“E’ vero che vivono una religione diversa dalla nostra, ma proprio questo fatto, incontrandoli, ci dà l’occasione di capire il valore della nostra fede e del nostro Libro.

“Ad esempio, io, come straniero, nel piccolo commercio, al ristorante, ho avuto più delusioni dai cristiani copti che dai musulmani, i musulmani sono stati più onesti dei cristiani. Forse perché  noi come cristiani insistiamo sempre, ed è giusto, su Dio che è amore, Dio ci vuole bene, Dio ci perdona, abbiamo un po’perso il timore di Dio. I musulmani no. Hanno il senso della continua presenza di Dio che vede e giudica tutto, forse hanno paura di Dio, ma non hanno perso il timore di Dio. In Egitto e in Algeria, in contatto con la gente del popolo, ho avuto impressioni positive. La violenza che ogni tanto esplode non l’ho mai vista. In Egitto, andando in giro, ho visto le chiese bruciate dai musulmani e ho conosciuto un padre Comboniano al Cairo che hanno ucciso quando hanno bruciato una chiesa. Però nella strada, nei contatti con la gente, non si respira questo clima”.

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ZENIT Staff

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