Il precedente articolo si concludeva con una riflessione del cardinal Gabriele Paleotti, che con chiarezza pone le immagini all’interno della spiritualità cattolica e ne definisce lo statuto epistemologico: «fatta la debita proporzione, che un dipinto sembra corrispondere esattamente alle cose che solitamente vediamo, così come la lettura corrisponde alle cose che udiamo raccontare, ed è per questo motivo che i greci l’hanno definita zographia, cioè “scrittura viva”, come sostengono certi autori (Beda, De templo Salomonis, 19,8)»1.
Paleotti, mediante una similitudine tra la pittura e la lettura, pone in evidenza la medesima dinamica psicologica e spirituale che si attua nella pittura e nella lettura. Il raccontare, infatti, ci presenta le cose vive negli occhi della mente, in quanto è in grado di descriverle permettendoci di riconoscerle come vere. Allo stesso modo accade alla pittura, che però rovescia la dinamica del percorso conoscitivo, giacché nella pittura riconoscendo le cose “che solitamente vediamo”, cioè che ci sono familiari, conosciamo ciò che non abbiamo, di fatto, mai potuto vedere, perché avvenuto in altro tempo e in altro luogo. La pittura, dunque, diviene zographia, cioè “scrittura viva” quindi capace di dire il vero, attraverso i mezzi che le sono propri, soprattutto mediante la verosimiglianza, che rende il racconto vivo e capace di essere in grado di «procurare diletto, insegnare e muovere gli affetti di chi la guarderà».
In questa prospettiva, nella trattatistica quattro e cinquecentesca il tema degli strumenti tecnici diviene nodale. La pittura ha bisogno di sviluppare sistemi di rappresentazione dello spazio, della luce e dei colori sempre più raffinati, affinché essa sia in grado di progredire nella verosimiglianza e quindi di poter essere realmente zographia, “scrittura viva”.
Piero della Francesca nel suo trattato De prospectiva pingendi scrive: «la pictura contiene in sé tre parti principali, quali diciamo essere disegno, commensuratio et colorare. […] de le quali tre parti intendo tractare solo de la commensuratione, quale diciamo prospettiva […] la qual parte contiene in sé cinque parti: la prima è il vedere, cioè l’occhio. […] perché è quello in cui s’appresentano tutte le cose vedute»2. Piero indaga la prospettiva su base geometrica e matematica, per offrire uno strumento valido alla rappresentazione delle realtà vedute, partendo da ciò che l’occhio vede. Lo scopo del trattato è offrire su base scientifica uno strumento adeguato per migliorare la rappresentazione degli oggetti nello spazio, e quindi progredire nella verosimiglianza.
Si tratta della continuazione del lento processo di creazione di strumenti appropriati nelle discipline pittoriche, che era già iniziato nel secolo XIII con gli affreschi del Maestro delle Storie di Isacco realizzati nella Basilica Superiore di Assisi3, e che si protrae per tutto il XV e XVI secolo, fino ai mirabili sviluppi tecnici dei secoli XVII e XVIII, in cui vengono acquisiti e consolidati i vasti territori della rappresentazione pittorica.
Gli effetti della pittura sulla spiritualità dei fedeli sono immensi, tanto che gradualmente le immagini diventano lo snodo centrale dell’intera cultura cattolica. Le testimonianze del ruolo della pittura sacra nella vita della fede sono innumerevoli. Significativo è quanto scrisse santa Veronica Giuliani: «ogniqualvolta vedevo le immagini della Madonna e di Gesù bambino, non potevo saziarmi con baci[…] La pregavo di cuore e mi pareva delle volte che quelle figure non fossero dipinte come erano»4. Dalle parole della mistica santa clarissa emerge che le immagini dipinte apparivano talmente vere che sembrava non fossero ciò che in realtà erano, cioè delle “figure” dipinte.
Le immagini, secondo il pensiero del Paleotti, condiviso peraltro dalla “iconofilia” della cultura cristiana, in modo particolare negli sviluppi teorici del tardo Cinquecento e di tutto il Seicento, sono legate, nel loro significato più intimo e nel loro saper provocare “diletto”, a tre forme di conoscenza: sensibile, razionale e spirituale. Le immagini, infatti, insegnano con «comodità, facilità, brevità, stabilità […] e quello che insegnano lo scolpiscono nelle tavole della memoria sì saldamente, che vi resta impresso per molti anni»5.
Le immagini sono analizzate, pensate e scelte come strumento cherigmatico per eccellenza, come mezzo catechetico efficace, come luogo di meditazione e di contemplazione; la fiducia riposta in esse, le conduce ad assumere un ruolo di preminenza e di modello anche nella predicazione. La muta predicazione trova radice nel concetto speculare di immagini acustiche presenti nelle Scritture. Il concetto paolino, secondo il quale la fede nasce dall’ascolto, fides ex auditu,6 si apre ad accogliere nel dinamismo il potere (ovvero il potenziale) conoscitivo del “vedere” e quindi della verosimiglianza dell’immagine, che è più diretta, più leggera, di facile memorizzazione e di più ampia divulgazione, passando dagli occhi all’intelletto fino allo spirito.
Scrive ancora Paleotti: «Quello che l’uomo per via dell’udito, mediante la fede, nella mente sua ha concepito, ora, con gli occhi mirandolo, viene mirabilmente a confermarlo e stabilirlo nel cuore suo»7. Di questo si ha ampia documentazione anche nel XIV secolo, e ne troviamo un esempio mirabile a Firenze, in Santa Maria Novella. Qui il testo “affrescato” dal pittore trova rispondenza e “specchiamento” nel testo “scritto” dal predicatore: nel rapporto tra lo scritto Lo specchio di vera penitenza redatto da Jacopo Passavanti e il dipinto Lo specchio di predicazione dei Domenicani realizzato nel Cappellone degli Spagnoli da Andrea Bonaiuti, emerge chiaro il senso ultimo dell’uno e dell’altro, dell’uno nell’altro, dell’uno per l’altro, ovvero l’insegnamento del predicatore affinché il fedele impari a ben confessarsi8.
*
NOTE
1 Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane [1582], Libreria Editrice Vaticana, Roma 2002, p. 78.
2 Piero della Francesca, De prospectiva pingendi, ed. critica a cura G. Nicco-Fasola, Ed. Le Lettere, Firenze 1984, pp. 63-65.
3 Rodolfo Papa, La prospettiva dello Spirito, «Art e Dossier» 258 (2009), pp. 68-73.
4 Santa Veronica Giuliani, Esperienze e dottrina mistica, a cura diL. Iriarte, Ed. Laurentianum, Roma 1981, p. 83.
5 Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, p. 212.
6 Rm 10,17.
7 Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, p. 222.
8 Cfr. Eugenio Marino, Santa Maria Novella e il suo spazio culturale, Pistoia 1983, pp. 11-14.