di padre Piero Gheddo
ROMA, domenica, 15 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Due anni fa, il 12 gennaio 2010, Haiti era devastata da un catastrofico terremoto. Per l’Istituto italiano di vulcanologia era stato molto più grande di quello registrato nel 2009 in Abruzzo. La capitale Port au Prince quasi rasa al suolo, un caos di detriti e fango, distrutti anche il Palazzo del governo, il Parlamento, la sede dell’Onu, l’ospedale maggiore, ecc. I morti furono circa 250.000, altri poi morirono per il colera, che ancor oggi infetta parecchie decine di haitiani per settimana. Il bilancio finale non è nemmeno stato fatto e in strade fuori città vi sono ancora le macerie del terremoto. Gli aiuti e i soccorsi furono immediati e anche copiosi, Il Corriere della Sera afferma (12 gennaio 2010): “Il mondo intero, scosso dalle tremende immagini di quei giorni, tra sms e stanziamenti aveva raccolto 13 miliardi di dollari, con una velocità tale da far dire allora a Bill Clinton che “questa immane tragedia segnerà la rinascita di Haiti”.
In realtà, la ricostruzione, per mille motivi, va a rilento. Il nunzio apostolico, mons. Bernardito Auza, che raccontò al mondo il terremoto del 2010, prima che arrivassero sul posto i giornalisti e i mezzi di comunicazione, dichiara oggi all’agenzia Fides: “Premetto che riprendersi da un disastro naturale é sempre difficile, e ancor più difficile è ricostruire dopo un enorme disastro come quello del terremoto di Haiti del 12 gennaio 2010. Aggiungerei che ad Haiti la ricostruzione è stata ed è particolarmente difficile e costosa, perché tutto è importato, perfino la sabbia”.
La “Commissione internazionale per la ricostruzione di Haiti”, presieduta dall’ex presidente americano Bill Clinton e dall’ex-premier di Haiti Jean-Max Bellerive, ha terminato il suo mandato nell’ottobre 2011. I commentatori dicono che è servita soprattutto a distribuire gli appalti per la ricostruzione fra le ditte dei paesi che mandavano gli aiuti. Comunque studiava la situazione e orientava gli sforzi distribuendo gli aiuti. Oggi non esiste più alcuna struttura del genere, per cui gli aiuti promessi e programmati rischiano di non arrivare più nel martoriato paese. Il Parlamento dovrebbe rinnovare la Commissione, ma non ha ancora deciso: i problemi di chi gestisce i fondi e di chi prende i contratti sono attualmente in discussione.
Comunque, circa 600.000 abitanti della capitale e dintorni (su circa due milioni) vivono ancora in tende. Persino i seminaristi dei due seminari maggiori dell’isola, filosofico e teologico, in attesa che i seminari siano ricostruiti, sono accampati in modo precario. I gravi problemi di Haiti, che esistevano prima del terremoto, continuano tuttora. Ad esempio l’assistenza sanitaria, che nei tempi dell’emergenza post-terremoto era gratuita per tutti, è oggi tornata a pagamento nelle strutture pubbliche; i bambini non vanno a scuola o ci vanno se la famiglia riesce a pagare le tasse scolastiche: le scuole pubbliche dell’obbligo costituiscono circa il 10% del totale, il 90% sono scuole private e occorre pagare.
Le notizie positive vengono dalle numerose Ong presenti in Haiti, molti i volontari italiani impegnati ad Haiti. Va ricordatala Fondazione Rava, che ad Haiti ha tre ospedali, due centri di riabilitazione per i bambini, 28 scuole di strada, tre orfanotrofi e altro ancora; e la rete del consorzio “Agire” che ha ricostruito 13 scuole, due orfanotrofi, tre centri di salute. Più ancora la Chiesa italiana attraverso la Caritas che due anni dopo il sisma ha documentato in un rapporto (Avvenire, 12 gennaio 2012) di aver aiutato 120.000 haitiani a sopravvivere (circa il 9% delle persone colpite dal terremoto) e soccorso in vario modo un milione e mezzo di terremotati; ha avviato 102 progetti pluriennali, annuali e microprogetti. Paolo Beccegatto, responsabile dell’organismo pastorale della Cei in campo internazionale, afferma: “La situazione è migliorata grazie all’azione del nuovo governo e allo sblocco di meccanismi inceppati per un anno e mezzo. Quasi due terzi degli senza tetto sono usciti dai campi, in parte facendo ritorno alle campagne da cui provenivano, in parte passando dalle tende ormai logore a sistemazioni più dignitose. Subito dopo il sisma, la Caritas italiana in tre mesi raccolse 24 milioni di euro da diocesi, parrocchie e offerenti italiani. Fu una straordinaria dimostrazione di generosità e noi ci siamo mossi subito per impiegarli”.
L’Arcivescovo di Port-au-Prince, Mons. Guire Poulard, ha diffuso un bel messaggio di incoraggiamento rivolto a tutti, invitando a ricordare i morti ed incoraggiando gli haitiani a prendere in mano la situazione, dicendo che “la ricostruzione sarà haitiana o non vi sarà ricostruzione”. La Chiesa locale ha decine e decine di progetti di ricostruzione, ma le fasi preparatorie tecniche sono lunghe e difficili, ci sono progetti che sono quasi pronti, ma che non sono ritenuti come priorità, mentre per quelli prioritari non sono concluse le fasi preparatorie. La Chiesa, dice l’arcivescovo, non si scoraggia, e continua a lavorare a favore dei più piccoli e dei più poveri.
Quando leggo notizie o resoconti di questo genere, mi commuovo perché sono stato ad Haiti nel 1992 (si vedano i Blog del 2010), il mio animo si rivolge a Dio in preghiera, ma poi debbo chiedermi cosa io, che vivo a 8.000 chilometri di distanza, posso fare per quei fratelli e sorelle, oltre alla preghiera. Non posso essere solo spettatore come per un film dell’orrore, ma debbo coinvolgermi spiritualmente e con l’aiuto materiale alla tragedia di quelle persone che non conosco, ma che sono miei fratelli e sorelle perché figli e figlie dello stesso Padre nostro che sta nei Cieli. Come cattolico, nulla di quanto succede nel mondo mi è estraneo. La tragedia di Haiti mi fa capire in modo provocatorio che la società in cui viviamo non funziona e siamo tutti impegnati a cambiarla. Il Regno di Dio non è di questa terra, ma è possibile, con la buona volontà di tutti, avvicinare l’umanità verso quella meta di giustizia, di pace e di autentica fratellanza.