Il fattore religioso nelle elezioni USA

Da 25 anni il voto cattolico pende sempre più verso i Repubblicani

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Rafael Navarro Valls*

ROMA, martedì, 10 gennaio 2012 (ZENIT.org) – È iniziata negli Stati Uniti, la maratona elettorale che si concluderà il 6 novembre prossimo con l’elezione del nuovo presidente. Se da un lato il Partito Democratico ha già come candidato Barack Obama, il Partito Repubblicano dovrà percorrere un lungo cammino fino ad agosto, quando la convenzione di Tampa Bay (Florida) designerà finalmente il candidato che sfiderà il presidente uscente.

L’itinerario comprende una serie di tappe intermedie, le cosiddette “primarie”, ovvero le votazioni stato per stato che puntelleranno il lungo viaggio. La prima di esse si è tenuta la scorsa settimana nello Iowa. Vincitori – praticamente a pari merito – tra i sette candidati, sono stati il 64enne mormone Mitt Romney e il 53enne cattolico Rick Santorum. Il turno seguente è previsto oggi, martedì 10 gennaio, nel New Hampshire.

I vincitori nello Iowa

Analizziamo ora l’identità dei candidati. Rick Santorum, cattolico, ex senatore della Pennsylvania, è padre di sette figli, convinto pro-life, difensore del matrimonio eterosessuale e preoccupato per l’educazione. Attorno a lui si sono radunati i protestanti evangelici e, in generale, i difensori dei valori cristiani. Il suo sfidante Romney ha dovuto superare alcune difficoltà dovute alla appartenenza alla chiesa mormona. Ciononostante, in una recente inchiesta condotta dal Pew Research Center, il 91% degli evangelici bianchi – gli elettori repubblicani più ostili alla fede religiosa del candidato – appoggerebbero Romney in una eventuale sfida contro il presidente Obama.

La religione sta giocando un ruolo determinante in queste elezioni. Persino un noto professore dell’Università Notre Dame, alcuni giorni fa, ha firmato un editoriale dal titolo È la religione, stupido, non l’economia, ponendola in testa alle motivazioni degli elettori. Non arriverei a sottoscrivere questa affermazione, nella misura in cui le problematiche economiche (recessione, disoccupazione, debito pubblico) sono centrali nell’attuale contesto elettorale. Eppure la religione ha il suo peso, come insegna la storia degli Stati Uniti.

Finanche un presidente non particolarmente fervoroso come Obama ha preso parte ad una cerimonia d’insediamento in cui due pastori protestanti hanno fatto considerazioni religiose (uno invocando Dio, l’altro impartendo la benedizione finale), una parte dei presenti ha recitato il Padre Nostro, ed il nuovo presidente ha giurato sulla Bibbia (la stessa utilizzata da Lincoln al suo insediamento) e nel suo discorso ha fatto quattro volte riferimento a Dio, senza lesinare di invocare l’aiuto divino.

Il senso della separazione Stato/Chiesa

La laicità non è estranea alle istituzioni statunitensi, poiché obbedisce ad una vecchia tradizione americana che, con sfumature diverse, si ripete dai tempi di George Washington (1789). Il tratto che esprime tale simbologia è il significato della religione nella vita pubblica americana. Va tenuto presente che il proposito di distinguere Stato e Chiesa non fu – per usare le parole di William McLoughlin – “quello di rendere gli americani liberi dalla religione, bensì quello di garantirne la libera pratica della stessa”.

Ciò significa che lo sfondo storico che caratterizzò il trattamento giuridico del fattore religioso fu diverso da quello europeo. Negli Stati Uniti il potere politico si limitò ad abolire la religione di Stato, conferendo uguale dignità a tutte le Chiese, e consentendo loro il possesso assoluto dei propri beni e la libertà di organizzarsi nelle proprie strutture interne. Si trattava di una separazione amichevole segnata da un benevola neutralità verso ogni confessione religiosa. Una profonda differenza, quindi, rispetto all’intenzionalità della Rivoluzione Francese che sancisce il principio del separatismo continentale. In questo caso il potere non perseguì una separazione benevola, ma una subordinazione della Chiesa allo Stato.

Secondo recenti statistiche più del 90% degli intervistati nordamericani afferma che voterebbe un afroamericano, un ebreo o una donna, mentre il 59% voterebbe un omosessuale. Solo il 49% sarebbe disposto a votare un candidato presidenziale ateo.

La libertà religiosa

Ciononostante, questo approccio, che permette oggi a un cattolico come Santorum o a un mormone come Romney di proporre la propria candidatura, ha avuto bisogno di un lungo cammino fino al trionfo della libertà religiosa. Un esempio: quando John Fitzgerald Kennedy fu eletto alla Casa Bianca, il 2 novembre 1960, il fatto che un cattolico si fosse candidato presidente, suscitò alcune resistenze. Le allusioni alla condizione di cattolico di Kennedy furono assai costanti, soprattutto alle primarie. Fino al giorno in cui il futuro presidente sbottò: “Nessuno mi ha chiesto se ero cattolico, quando mi arruolai nella Marina degli Stati Uniti”. Il 20 gennaio 1961, Kennedy sedette nella Sala Ovale come primo presidente americano cattolico della storia.

Oggi è assolutamente normale che i cattolici accedano alle cariche pubbliche senza particolari impedimenti. Dei 435 deputati statunitensi, ad esempio, ben 135 (31,03%) sono cattolici. L’impegno delle organizzazioni cattoliche nei temi sociali è particolarmente valorizzato. Non va dimenticato che, ogni anno, le organizzazioni cattoliche investono circa 30mila milioni di dollari in servizi sociali ed educativi.

Dalle elezioni del 2004 a quelle del 2012

Alle elezioni presidenziali del 2004 si confrontarono un cattolico (Kerry) ed un protestante (Bush), senza che emergessero le tensioni tra protestanti e cattolici che caratterizzarono la contesa Nixon/Kennedy del 1960. Si discusse di aborto, di pena di morte, di cellule staminali, di matrimonio omosessuale, di pedofilia nel clero, ma mai di “obbedienza dei cattolici romani alla loro Chiesa”. Questa volta la divisione si verificò tra votanti “devoti” (protestanti o cattolici), più o meno praticanti e i cosiddetti cristiani “fai-da-te” (cattolici o protestanti), anch’essi più o meno praticanti, che tuttavia non sono soliti seguire le indicazioni delle proprie chiese sui temi eticamente sensibili. Qualcosa di simile si manifestò anche alle elezioni del 2008: sei “precandidati” cattolici iniziarono la carriera elettorale e fu eletto vicepresidente un altro cattolico, Joe Biden, sebbene non del tutto ortodosso nelle sue opinioni sui temi etici.

Storicamente i cattolici americani votano per i Democratici. I Repubblicani rappresentavano il voto bianco e protestante. La tendenza è cambiata con Reagan. Come ha spiegato il filosofo cattolico Michael Novak, Reagan comprese che una delle chiavi del voto cattolico era la famiglia. Fu proprio l’insistenza sulle tematiche familiari che garantì a Reagan un appoggio importante del voto cattolico, che tornò ai Democratici con Clinton e ora – con riferimento ai cattolici praticanti – pende verso i candidati che appoggiano i valori cristiani. Il Religion News Service sottolinea che, durante l’ultimo quarto di secolo, i cattolici praticanti e gli evangelici bianchi, ogni volta, hanno votato in maggioranza per i Repubblicani, trasformando la propria opposizione all’aborto o al matrimonio omosessuale in temi politici fondamentali.

Talora per questi motivi, uno dei fattori giudicati più importanti nelle attuali campagne elettorali sono le ultime politiche sociali di Obama in relazione all’aborto o all’appoggio alle politiche di controllo demografico, attraverso sterilizzazioni e contraccettivi. L’amministrazione Obama, a tal proposito, ha ritirato le sovvenzioni pubbliche all’Office of Migrations and Refugee Services, l’organismo non governativo di assistenza ai migranti e ai rifugiati più importante degli Stati Uniti. Sollecitato dai vescovi statunitensi dal 2006, aiuta
il 26% del totale degli immigrati illegali negli Stati Uniti, coprendo un campo in cui lo Stato non interviene, in aspetti come la lotta alla prostituzione delle immigrate e il commercio degli organi. La vera ragione di questo provvedimento era che questo organismo non concedeva finanziamenti alle pratiche abortive. I vescovi hanno protestato energicamente dichiarando che “sembra che esiste una nuova regola non scritta del Dipartimento della Salute. È la regola dell’ABC: Anybody But Catholics (Tutto tranne che i cattolici)”. Tutto questo avrà conseguenze elettorali.

*Membro dell’Accademia Reale di Giurisprudenza e Legislazione di Spagna

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Luca Marcolivio]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione