CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 1° gennaio 2012 (ZENIT.org).- “Come nell’antichità, anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita, e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio”. Con queste parole pronunciate lo scorso 26 dicembre dal Papa in occasione della memoria liturgica del Protomartire Stefano, inizia l’elenco stilato da Fides sugli operatori pastorali morti in modo violento nell’anno appena conclusosi.
Secondo i dati raccolti dall’agenzia, negli ultimi 12 mesi sono stati uccisi in totale 26 operatori pastorali, vale a dire uno in più rispetto al 2010. Si tratta di 18 sacerdoti, 4 religiose e 4 laici. Con 15 vittime – 13 sacerdoti e 2 laici – l’America si rivela per la terza volta consecutiva il continente più pericoloso, seguita dall’Africa, con 6 operatori pastorali uccisi (2 sacerdoti, 3 religiose e 1 laico). Al terzo posto c’è l’Asia con 4 morti (2 sacerdoti, 1 religiosa, 1 laico). A chiudere il triste elenco è l’Europa, con 1 sacerdote ucciso.
Essere operatore pastorale è un mestiere “a rischio” in due Paesi latinoamericani, Colombia e Messico. Nel primo Paese sono stati uccisi in modo violento nel 2011 ben 6 sacerdoti ed un laico. Quest’ultimo, Luis Eduardo Garcia, che era membro della Pastorale Sociale e leader del gruppo di Popayan, è stato rapito ed ucciso da guerriglieri nell’ottobre scorso. In Messico le vittime sono state 5, cioè 4 sacerdoti ed una laica, María Elizabeth Macías Castro. La donna trentanovenne, la quale lavorava per un giornale ed era membro del Movimento Laico Scalabriniano (MLS) di Nuevo Laredo, è stata sequestrata da un gruppo di narcotrafficanti e brutalmente uccisa. In un conflitto a fuoco tra militari ed un gruppo armato nello stato di Tamaulipas, ha trovato la morte anche uno dei quattro sacerdoti messicani uccisi, don Marco Antonio Duran Romero, 48 anni.
Anche l’India è un Paese pericoloso. Tre operatori pastorali sono hanno perso la vita in modo violento nel colosso asiatico. Si tratta di don G. Amalan, ucciso nella sua stanza da un giovane ladro, di suor Valsha John, anche lei uccisa nella sua casa, e del catechista ed attivista dei diritti umani Rabindra Parichha, sequestrato ed ucciso nello Stato dell’Orissa, noto per i frequenti e gravissimi episodi di violenza anticristiana.
Dall’elenco di Fides emerge che molti degli operatori pastorali assassinati l’anno scorso sono stati uccisi da ladri che si erano introdotti nella loro chiesa o abitazione. Questo è stato molto probabilmente il caso dell’unica vittima registrata in Europa, il cappellano militare in pensione spagnolo, don Ricardo Muñoz Juárez, ucciso il 3 giugno 2011.
Almeno quattro dei sei operatori pastorali rimasti uccisi in Africa sono stati la vittima di un’imboscata o un tentativo di rapina. Fra di loro spicca la figura di suor Jeanne Yegmane, della congregazione delle “Augustine” (Ordine di Sant’Agostino) di Dungu (nella Repubblica Democratica del Congo). Uccisa in un’imboscata stradale il 15 gennaio scorso, la religiosa era specialista in oftalmologia e molto impegnata nella realizzazione del Centre Ophtalmologique Siloe d’Isiro. Il centro, inaugurato il 2 maggio scorso, copre un bacino di utenza di circa 2 milioni di persone nel distretto dell’Alto Huele, nel nord del Paese, vicino al Sud Sudan e alla Repubblica Centrafricana.
Due giorni dopo suor Jeanne Yegmane, il 17 gennaio 2011, è stata uccisa in Sud Sudan un’altra religiosa agostiniana. Si tratta di suor Angelina, della diocesi di Tombura-Yambio, assassinata da militanti dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA in acronimo inglese) mentre portava aiuti sanitari ai profughi del Sud Sudan.
Le vittime italiane sono state due. Si tratta di un giovane volontario, Francesco Bazzani, ucciso assieme ad una suora croata, Lukrecija Mamic, il 27 novembre scorso a Kiremba, nel nordovest del Burundi, e di padre Fausto Tentorio, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). Il missionario, che lavorava nell’apostolato fra i tribali sulla grande isola di Mindanao, nelle Filippine, è stato ucciso il 17 ottobre, mentre stava recandosi ad un incontro dei presbiteri della diocesi di Kidapawan. Aveva dedicato tutta la sua vita al servizio di alfabetizzazione e sviluppo degli indigeni.