L'astro del ciel che guidò i Magi è veramente esistito?

La prof.ssa Flavia Marcacci spiega i fenomeni astronomici del tempo

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di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 1° gennaio 2012 (ZENIT.org).- E’ vero che la nascita di Gesù coincise con il passaggio nel cielo di una Stella cometa? Oppure si trattò della coincidenza di astri luminosi? Altri parlano di una stella di spettacolare luminosità.

E’ vero che i magi seguirono la stella per arrivare alla nascita di Gesù? Che cosa dicono al riguardo le fonti storiche? e quella astronomiche? Chi suggerì a Giotto di dipingere la stella cometa?

Sono innumerevoli le domande sulla veridicità del fenomeno astronomico che si sarebbe verificato alla nascita di quel bambino che si diceva figlio di Dio e che diede vita al Cristianesimo.

Per cercare di chiarire il mistero ZENIT ha intervistato la professoressa Flavia Marcacci Docente di Storia del pensiero scientifico presso la Pontificia Università Lateranense.

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Il Protovangelo di Giacomo e Origene parlano di una stella cometa o qualcosa di simile. Alcuni parlano della cometa di Halley che sembra fu visibile nel 12 a.C., anche se la maggior parte degli storici, datano la nascita di Gesù tra il 7 e il 4 a.C. Lei che ne pensa?

Marcacci: Il Protovangelo di Giacomo parla di una “stella” al capitolo 21. Questa stella avrebbe preceduto i Magi nel loro itinerario fino a fermarsi sopra la grotta della Sacra Famiglia. Rispetto al Vangelo di Matteo (cap. 2), che è l’unico in cui si menziona la stella, il Protovangelo aggiunge un dettaglio: si trattava di una “stella grandissima”, di notevole splendore, tale da offuscare le altre stelle del cielo. Gli altri Vangeli non citano l’astro né i Magi. In compenso Luca parla di un angelo che sorprese con la sua luce i pastori (2,9) e della moltitudine dell’esercito celeste che glorificava Dio (2,13-14). Ora, la luce in generale ha un valore simbolico importantissimo – si pensi anche al prologo del Vangelo di Giovanni. Si potrebbe allora dire subito che la stella dei Magi ha sicuramente un significato simbolico anch’essa, tanto più che nella tradizione giudaica essa rappresentava un segno messianico: tale lettura è ad oggi ampiamente condivisa dagli esegeti. Origene svolge invece un ruolo particolare proprio se guardiamo alla storia dell’esegesi del brano di Matteo: prima di lui si guardava alle stelle come a vere e proprie personificazioni, per motivi che potremmo definire culturali. La fisica, la filosofia della natura antica considerava i cieli abitati da intelligenze organizzate in sfere successive, secondo un uso e una sensibilità che potremmo dire di stampo pitagorico-platonico – correndo il rischio di scivolare in semplificazioni ingenue. Anche Aristotele risente di questa impostazione, ma addebitando il ripetersi identico dei moti dei cieli non ad una intelligenza personale, bensì ad una impersonale Causa Prima (il Motore Immobile, appunto). Nell’antichità, però, era presente anche un’altra linea di pensiero, una vera e propria astrolatria. Già la sapienza del vicino Oriente associava in maniera diretta l’idea di “dio” all’immagine della stella. Così i Greci, ad esempio, mutuarono da qui l’uso di associare nella nomenclatura dei e pianeti, sebbene entro un rapporto storicamente così articolato per cui non fu per nulla immediata l’identificazione tra gli dei e gli astri; i Romani, d’altra parte, continuano ad usare queste corrispondenze, come si evince in autori come Macrobio (V secolo). Ma potremmo continuare citando la Gnosi che costruisce una sorta di geocentrismo divinizzato. In questo quadro così interessante e variegato Origene (185-254) sembra alludere all’evento celeste di Betlemme come ad un fatto naturale, ordinario. 

In questo quadro così interessante e variegato Origene (185-254) sembra alludere all’evento celeste di Betlemme come ad un fatto naturale, ordinario

Nel 1977 un gruppo di ricercatori inglesi (Clark, Parkinson e Stephenson) hanno rilevato che gli annali astronomici cinesi registrano nel marzo del 5 a.C. l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una nova, che rimase visibile per circa 70 giorni tra le costellazioni dell’Aquila e del Capricorno. E’ possibile?

Marcacci: Non è certamente la cometa di Halley, i cui passaggi sono stati puntualmente elencati dall’astronomo Paolo Maffei in un libro interamente dedicato alla questione (La cometa di Halley dal passato al presente, Milano 1987). Il passaggio della cometa più prossimo alla nascita di Cristo dovette essere del 12 a.C. Anche se teniamo conto delle correzioni da apportare alla datazione della nascita di Cristo, che erroneamente Dionigi il Piccolo posticipò di 5-7 anni, c’è comunque un certo scarto temporale. In realtà la cometa di Halley è quella che Giotto rappresentò nella Cappella degli Scrovegni rappresentando l’adorazione dei Magi: aveva assistito all’apparizione della cometa nel 1301, secondo gli studi di R.J.M. Olson, e ne dovette ricevere grande suggestione tanto da volerla rappresentare nel suo ciclo pittorico. Da lì in poi la cometa si configurò come un vero e proprio simbolo del Natale, in realtà particolarmente adatto essendo un oggetto mobile e dunque capace di “anticipare” il percorso dei Magi nell’immaginario collettivo.

Keplero ed altri sostengono che nel 7 a.C. vi fu una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C nella costellazione dei Pesci. Gli astronomi caldei, lo avevano previsto sin dall’anno precedente e la tavoletta con la previsione del fenomeno, datata 8 a. C., è stata trovata in ben quattro copie in siti diversi. Qual è il suo parere in proposito?

Marcacci: Molti dati possono giungerci anche dalle tavole dell’astronomia cinese, ricchissime e numerose. Per comprendere l’importanza di queste osservazioni basta tener conto di un dato molto semplice: mentre in Europa in duemila anni si è di fatto prodotta una sola riforma del calendario (quella gregoriana del 1582), in Cina ce ne furono una cinquantina. Non è il caso ora di soffermarsi sui motivi che determinarono tale spiccato interesse, basta un breve cenno all’importanza delle osservazioni celesti (in senso lato, dunque relative a tutti i fenomeni che comparivano in cielo) nell’amministrazione dello stato. L’interesse verso questa astronomia doveva essere notevole se già agli inizi del XVII secolo il gesuita padre Schreck, membro, come Galileo, dell’Accademia dei Lincei, interpellò il maestro e Kepler perché lo aiutassero a riformare il calendario cinese. In effetti l’organizzazione del cielo cinese risentiva di un’altra concezione astrologica ed era priva di una base teorica solida. I Gesuiti, dotati di una astronomia teorica solida, sebbene ancora divisa tra Copernico e Tolomeo, ottennero la fiducia dell’imperatore sugli astronomi arabi e cinesi per la riforma del calendario, prevedendo con maggior precisione degli altri concorrenti l’eclissi parziale del 21 giugno 1629 (Maffei, cit., pag. 105). Negli anni ’70 si accese un certo dibattito proprio in occasione della lettura delle tavole cinesi: in particolare sollevarono il problema proprio il gruppo di ricercatori inglesi – Clark, Parkinson e Stephenson – rilevando che gli annali astronomici cinesi avevano registrato nel marzo del 5 a.C. l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una nova, che rimase visibile per circa 70 giorni tra le costellazioni dell’Aquila e del Capricorno. Sempre in quegli anni ci fu Hughes con un intero volume dedicato alla questione “stella di Betlemme” (The Star of Bethlem Mistery, London 1979). Seguirono alcuni articoli di altri studiosi e le ipotesi si articolarono, fino a che oggi sono molteplici: se la stella di Betlemme fosse un oggetto (cometa, nova, supernova) o un fenomeno (congiunzione planetaria, configurazione astrologica, levata eliaca, osservazioni legate alla precessione degli equinozi). Ad oggi la bibliografia sull’argomento continua ad essere nutrita e aggiornata, tale da coinvolgere studiosi importanti.
La persistenza dell’interesse verso la questione gode di un illustre precedente risalente sempre al XVII secolo, quando proprio Keplero calcolò che nel 7 a.C. vi fu una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C nella costellazione dei Pesci (ricca di significati particolari), rievocando un’anticipazione dell’astronomia dei Caldei.

Insomma è plausibile che si sia verificato un fenomeno astronomico particolare in occasione della nascita di Gesù?

Marcacci: Occorre tener conto che in sede storica la scienza può certamente venire in aiuto, ma non dovrebbe costituire una prova in senso stretto. Un po’ come nel caso della famosa eclisse di Talete: non si può pretendere di ottenere una datazione precisa degli eventi della vita di questo Milesio partendo dalla datazione dell’eclisse, perché si rischierebbero fastidiose imprecisioni. Analogamente, non possiamo usare una data – ottenuta da pur validissime considerazioni scientifiche – come surrogato alla carenza di documenti. Né usare un dato scientifico per un qualche concordismo in sede di esegesi. Insomma, al momento non si possono trarre conclusioni definitive ed occorre cautela: resta la valida significazione simbolica della stella, che già può dire quanto serve in relazione al Vangelo di Matteo. Nonostante questo non è escluso che in futuro potremmo avere indicazioni più precise: è importante che la ricerca sulla “cometa di Betlemme” continui. Come sta in realtà sta continuando, dando spazio a molte voci alternative. E resta indubbio che la comprensione scientifica degli oggetti celesti osservabili anche al tempo di Gesù può dare maggior vigore alla percezione della bellezza infinita del creato intorno a noi: noi come i Magi siamo ancora affascinati dal cielo, e guardare in alto è fuor di metafora l’istinto più profondo di ogni cuore e di ogni intelligenza.

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ZENIT Staff

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