ROMA, lunedì, 29 agosto 2011 (ZENIT.org).- In un Paese in cui il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, più del 20% della popolazione è affetta da HIV/AIDS mentre l’aspettativa media di vita è di circa 40 anni. Ciò nonostante il vescovo Augustinius Tumaole Bane si dice speranzoso per il futuro del suo Paese.

Il Lesotho, noto anche come “Regno del cielo”, è un piccolo Paese, grosso all'incirca come il Belgio, e circondato come un’isola dal Sud Africa.

Molti dei villaggi sono fatti di capanne di paglia, da cui spuntano bandiere colorate che indicano la vendita di carne, alcol o verdure. Questi villaggi sono distribuiti in modo ampio e alcuni sono raggiungibili solo a cavallo o su aerei leggeri.

Monsignor Bane, che ha guidato la diocesi di Leribe sin dal 2009, ha parlato con ilprogramma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, sull’attuale situazione del suo Paese e di quale ritiene essere il maggio motivo di speranza per il Paese.

La sua famiglia è sempre stata di fede cattolica o si è convertita di recente?

Monsignor Bane: La fede cattolica è entrata nella mia famiglia di recente perché originariamente né mio padre, né mia madre erano cristiani. Mio padre si è convertito al Cattolicesimo mentre era in Italia, durante la Seconda Guerra mondiale, ed è stato battezzato in Italia. All'epoca non era ancora sposato.

È tornato in Lesotho dopo la guerra e si è sposato con mia madre, la quale non era cristiana, ma si è convertita nel giorno del matrimonio.

Se non vado errato  nel Lesotho vi sono le religioni tradizionali africane. È strano quindi che suo padre sia tornato dall’Italia convertito al Cattolicesimo?

Monsignor Bane: No, non è strano, perché effettivamente il Cattolicesimo era già approdato nel Lesotho nel 1862. I calvinisti erano arrivati nel 1833, i cattolici nel 1862 e gli anglicani nel 1865.

Quindi i calvinisti sono stati i primi ad evangelizzare il Lesotho?

Monsignor Bane: Sì. Hanno fatto un buon lavoro insegnando la Bibbia e costruendo scuole. Poi, nel 1862, sono arrivati numerosi cattolici e si sono diffusi facilmente dappertutto, persino nei luoghi più remoti. Hanno istituito molte scuole, che venivano usate anche come chiese per la domenica.

Quando si è effettivamente reso conto che Dio era vivo e presente per lei?

Monsignor Bane: Il giorno della nostra cresima, il prete ha cantato l'“Ite missa est” alla fine della Messa, e io ho detto: “Mi piacerebbe tanto cantarlo!”. Il giorno dopo la mia cresima ho capito che volevo diventare sacerdote. Era nel 1958.

Lei è entrato in seminario molto presto – a 22 anni – e da allora è stato subito chiaro di essere chiamato al sacerdozio?

Monsignor Bane: Sì, anche se la vocazione andava e veniva. Ricordo che per un periodo avevo deciso di smettere, ma il mio parroco mi disse che se io avevo avuto chiaro il sacerdozio, vi sarebbero stati sempre momenti di difficoltà ma che non avrei dovuto smettere perché la vita è fatta così e avrei dovuto affrontarli piuttosto che fuggire da essi.

Qual è stato il suo maggiore incoraggiamento alla vocazione sacerdotale?

Monsignor Bane: Quando ero nel seminario minore, il mio parroco che non stava bene in salute mi aveva chiesto di portare la Santa Comunione a una persona malata che si trovava a circa 50 chilometri di distanza. Ero andato lì a cavallo e quando sono arrivato l’uomo aveva un aspetto piuttosto grave. Dopo avergli dato la Comunione ho visto nel suo volto un’espressione di gioia e di pace meravigliosa. Questo mi ha impressionato al punto che dissi di voler servire le persone soprattutto i malati e le persone morenti.È stato questo a rafforzare la mia vocazione.

Quali sono stati invece i maggiori ostacoli o le maggiori difficoltà nel suo processo di discernimento.

Monsignor Bane: Effettivamente c’era un problema. Mio padre e mia madre erano i primogeniti e anche io sono il primogenito, il figlio maggiore, e secondo la tradizione e le aspettative della mia tribù avrei dovuto dare continuità alla linea familiare.

Qual è la sua tribù?

Monsignor Bane: Debele, la tribù che è fuggita dal regno di Shaka Zulu perché era un re molto crudele. Talvolta mandava i suoi soldati di notte e i soldati tornavano indietro portandosi anche le mogli e i figli.

Dunque io ero il figlio maggiore e da me ci si aspettava che continuassi la discendenza, ma poi mio padre ha detto: “No, se vuoi diventare sacerdote non sarà un problema”. Mio padre era catechista.

Quando lui è morto nel 1971, appena due mesi dopo la mia professione dei voti con gli Oblati di Maria Immacolata, sono sorti i problemi. I miei parenti si chiedevano chi si sarebbe preso cura dei miei cinque fratelli. Era un grosso problema.

Dio è intervenuto a risolvere questo problema?

Monsignor Bane: Sì. Il mio parroco, che era canadese, ha guardato la situazione e ha detto: “Augustine, se tu vuoi diventare sacerdote, io mi prenderò cura dei tuoi fratelli e sorelle, perché tuo padre collaborava con me”.

Passiamo ora alla situazione del Lesotho e delle sue sfide. Uno dei problemi è quello della povertà. Le Nazioni Unite affermano che il 40% della popolazione è “poverissima” (“ultra poor”). Cosa significa “poverissimo” e come può la Chiesa aiutare in questo ambito?

Monsignor Bane: Credo che “poverissimo” implichi la diseguale distribuzione della ricchezza. Quelli che hanno dei beni se li tengono per sé, mentre quelli che sono poveri non hanno gli strumenti per migliorare la propria situazione. Per questo io dico: i poveri diventano più poveri e i ricchi più ricchi, a causa dell’ineguaglianza e della diseguale distribuzione della ricchezza.

I problemi alimentari in Lesotho sono evidenziati in un rapporto dell’ONU, secondo cui: “Nel 1980, la produzione di cereali ha raggiunto circa l’80% del fabbisogno nazionale; negli anni Novanta contribuiva con il 50%, ma nel 2004 la produzione di cereali in Lesotho era stimata solo al 30% del fabbisogno nazionale e il dato è ancora in diminuzione”. Perché? E che implicazioni avrà sulla povertà?

Monsignor Bane: Il primo fattore che provoca questa diminuzione di produzione è il cambiamento climatico. Abbiamo avuto carestie inattese. In passato sapevamo che settembre era il periodo dell’aratura e della semina, per via delle piogge. Ora il tempo è imprevedibile e inaffidabile. Quindi la gente non sa quando seminare, soprattutto sulle montagne. Settembre è il mese della semina e quindi in montagna dicono: “I semi aspetteranno l’arrivo della pioggia”, mentre nelle pianure aspettano la pioggia per poi seminare. Talvolta arriva molto tardi. Per esempio fanno l’aratura a luglio e aspettano un po’ di pioggia per agosto.

Un pochino di grano è spuntato dal terreno, ma niente di più. La neve in montagna e le scarse piogge nelle pianure hanno provocato la morte di molti animali per la carenza di cibo. Direi che ci troviamo di fronte a una carestia. La maggior parte della gente non sa quando potrà fare il raccolto.

Il Lesotho è una monarchia. Attualmente è in carica il re Letsie III. Quanto è importante il suo ruolo nell’ambito del panorama politico del Lesotho?

Monsignor Bane: Il re svolge un ruolo unificante rispetto a tutti i diversi partiti politici e le diverse religioni. Tutti lo rispettano e lo amano.

Il re è cattolico e recentemente ha dichiarato di non voler più continuare nella tradizione della poligamia, ma di voler scegliere una sola moglie. Quanto è stato importante questo segnale per un Paese in cui la poligamia è ancora presente?
Monsignor Bane: Effettivamente, all’inizio erano i capi e alcune persone benestanti che praticavano la poligamia. Poi, a causa della carenza di animali – perché per avere una moglie bisogna pagare 25 capi di bestiame – questa pratica si è ulteriormente ridotta.

Venticinque capi per ogni moglie?

Monsignor Bane: Certo, per ciascuna moglie. Quindi la gente ora ha iniziato a non farlo più e in effetti ora sono pochi, pochissimi quelli che praticano la poligamia.

Circa il 23% dei giovani tra i 15 e i 40 anni hanno contratto il virus dell’Aids. Si tratta di una delle percentuali più alte in Africa e nel mondo. Perché è così diffuso in Lesotho?

Monsignor Bane: È così diffuso in Lesotho principalmente a causa del declino morale. La Chiesa ha continuato a insegnare e predicare l’astinenza prima del matrimonio e la fedeltà tra le persone sposate. Direi che in Africa nell’insieme vi è stato un crollo di moralità, insieme a una maggiore povertà e a una carenza di medicine. Ora le medicine antiretrovirali (ARV) si trovano negli ospedali, ma prima era molto difficile.

Ma questo non è un riflesso della carente educazione cattolica? L’educazione cattolica è molto diffusa, come abbiamo detto prima. La maggioranza della popolazione è cristiana. Dove è venuta meno questa educazione, tanto che anche la morale ne ha risentito?

Monsignor Bane: Direi che il Cattolicesimo ha sempre svolto un ruolo importante nella vita della gente, ma la maggior parte di loro è cattolica solo la domenica, quando si va a Messa. Durante la settimana rimangono orientati al loro stile di vita tradizionale. Quindi esiste una separazione tra la fede e la vita quotidiana.

Come cercate di superare questo scoglio?

Monsignor Bane: Quando ero piccolo, in ogni villaggio c’era una casa di preghiera dove tutti potevano andare a pregare insieme, e dove si insegnava ai bambini il catechismo. Ma ormai questa non è più la pratica normale e per questo, per uno come me, è diventata una sfida pastorale. Nella mia diocesi voglio reintrodurre l’insegnamento del catechismo al di fuori delle scuole, nei villaggi, e rafforzare i centri di formazione dei catechisti, per poter invitare la gente alla formazione catechetica e all’insegnamento del catechismo nei villaggi e nei centri esterni.

In Lesotho vi sono circa 180.000 orfani a causa dell’Aids e i nonni si trovano a doversi prendere cura dei nipoti, per la morte dei genitori. Questo che tipo di tensione porta alla società?

Monsignor Bane: È un grande peso per la società. Molti giovani muoiono lasciando i propri figli. Io l’ho vissuto nella mia famiglia.

Nella sua famiglia?

Monsignor Bane: Certo, nella mia famiglia. Eravamo due maschi e mio fratello era nell’esercito. La moglie è morta nel 2003 di Aids e lui è morto nel 2006, lasciando quattro orfani. Durante il funerale di mio fratello, ho chiamato i bambini a venire avanti, per far vedere alla gente che loro sarebbero rimasti da soli. Ora è mia sorella a prendersi cura di loro.

È un peso enorme per il Paese – anche economicamente – perché la morte dei genitori significa che viene a mancare chi portava a casa lo stipendio?

Monsignor Bane: Sì, è così. Per quanto riguarda la Chiesa, le Suore della Carità, di Ottawa, hanno costruito un grande orfanotrofio. Alcune ONG hanno degli orfanotrofi nel Paese. La Chiesa sta aiutando le organizzazioni religiose e anche il Governo sta cercando di dare una mano. Sono molti quelli che hanno bisogno di aiuto.

Eccellenza, qual è per lei la speranza più grande?

Monsignor Bane: C’è speranza nel futuro della Chiesa. Per esempio, i nostri seminari sono pieni. Nella diocesi ho tre seminaristi e altri 18 nel mio seminario maggiore. Chiaramente, per questa crescita spirituale, la speranza è che la Chiesa sopravvivrà nel futuro.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

Where God Weeps: www.wheregodweeps.org