Radicati in Cristo, roccia della nostra vita

ROMA, martedì, 30 agosto 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi tenuta il 18 agosto in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid dal Rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico dal Covolo.

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Che cosa vuol dire essere radicati in Cristo?

Significa che Gesù Cristo è la nostra radice: e lo è davvero, grazie al Battesimo.

Detto con un’altra immagine, Gesù Cristo è la roccia della nostra vita. Noi siamo radicati in Lui, come la casa è costruita sulle sue fondamenta.

Su questo argomento – che è il tema della catechesi di oggi – vi propongo una vera e propria lectio: insieme, saliremo i quattro gradini di quella scala antica e veneranda,  che si chiama lectio divina.

Possiamo iniziare così, invocando su di noi la grazia di Dio:

          Il Signore sia sulle nostre labbra e nel nostro cuore, perché possiamo ben meditare la sua Parola. Amen!

          1. Lettura

Ecco il primo gradino della lectio, cioè la lettura.

          «Chiunque ascolta queste mie parole», leggiamo nel Vangelo di Matteo, «chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.

Chiunque ascolta queste mie parole, e nonle mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande» (Matteo 7,24-27).

2. Meditazione

Trascorriamo subito al secondo gradino della lectio divina, cioè la meditazione. Siamo sempre all’interno del primo grande movimento, quello di «andata al testo».

Cercheremo così di condurre più a fondo, nel nostro cuore, la Parola che abbiamo letto e ascoltato. Utilizzeremo per questo tre semplici espedienti.

Osserviamo anzitutto il contesto del nostro brano (dove ci troviamo? Che cosa c’è prima, che cosa c’è dopo?); poi vedremo come è costruito il brano; infine, sottolineeremo alcune parole più importanti.

a. Dove ci troviamo?

Siamo all’estrema conclusione del «discorso della montagna».

In questo discorso programmatico è evidente l’insistenza sulla «giustizia più grande» – che è quella dell’amore –, e sull’impegno pratico (le buone opere della carità), a cui è chiamato ogni credente in Gesù Cristo.

Questa osservazione sulle buone opere, conseguente alla scelta di fede, si accentua qui, nel gran finale del discorso della montagna, dove Gesù usa tre immagini in rapida successione.

La prima è l’immagine delle due vie: «Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla rovina… Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita» (7,13-14).

Segue l’immagine dell’albero buono, che produce frutti buoni, e dell’albero cattivo, che produce frutti cattivi (7,15-20).

Finalmente, ecco l’immagine delle due case.

Dunque, due vie, due alberi, due case: proprio un bivio, un’alternativa radicale sta davanti a chi ascolta la Parola del Signore.

In effetti il brano evangelico interpella ciascuno di noi con una domanda assolutamente centrale, una domanda che in nessun modo può essere elusa: su che cosa è fondata la mia vita? Qual è la mia roccia? Da che parte sto: dalla parte dei discorsi del mondo e della loro logica, del modo comune di pensare, di parlare, di agire…, e questa è sabbia; oppure sto dalla parte di Gesù Cristo, e del suo paradossale modo di ragionare e di vivere?

Ebbene – suggerisce il nostro testo –, convertiti a lui, perché lui solo è la roccia che ti salva.

          b. Trascorriamo ora dal contesto alla struttura del nostro brano.

          Come è costruito questo brano?

Si tratta di una struttura chiaramente simmetrica, introdotta nelle sue due parti da espressioni esattamente corrispondenti, a parte il fatto che la prima volta la forma è positiva, e la seconda volta è negativa: «Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica», si dice la prima volta, «sarà simile a un uomo che costruisce sulla roccia»; «chi ascolta queste mie parole e non le mette in pratica», si dice la seconda volta, «sarà simile a un uomo che costruisce sulla sabbia».

La cosa più interessante di questa impostazione del discorso è che non si dà una terza possibilità, o una terza via: si è davanti a un aut, aut. Prendere o lasciare. O tutto o niente.

Succede così che le parole di Gesù – cioè il «discorso della montagna», ma più in generale tutto il Vangelo – vengono proposte a chi ascolta in termini di accettazio­ne o di rifiuto.

          c. Questo primo accostamento al brano va completato con la sottolineatura di alcune parole più importanti.

I due verbi maggiormente usati sono ascoltare e fare: il primo verbo si riferisce evidentemente all’area delle parole, mentre il secondo si riferisce all’area dei fatti.

La via della vita, intende dire Matteo, la percorri soltanto se le parole sono coerenti con i fatti, cioè se sai coniugare insieme le parole e le azioni. E’ da notare infatti che tra la similitudine dell’albero e quella delle due case c’è un detto durissimo: «Non chiunque mi dice “Signore, Signore”», vi si legge, «entrerà nel regno dei cieli, ma solo colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (7,21).

Giunti ormai alla conclusione della meditatio, cerchiamo di far scendere in profondità nel cuore («per me, adesso») ciò che il Signore ci dice.

Ebbene, si può osservare che tutto il brano è un invito personalissimo a prendere posizione per Gesù, senza incoerenze e compromessi. E’ in gioco la conversione a Cristo nella radicalità del Vangelo.

E certamente la conversione è una delle esperienze più ricche che l’uomo possa fare, perché essa è irriducibile a dimensioni intimistiche o intellettualistiche. Essa coinvolge per intero la vita.

Pensiamo per esempio a Paolo, a Francesco, a Ignazio di Loyola, al suo compagno e discepolo Francesco Saverio, insomma ai grandi convertiti della storia: l’esperienza della conversione fa capire loro che, in ogni caso, il resto non conta più nulla, è sabbia, è spazzatura. Non serve a leggere la vita in profondità. Questo non perché i valori del mondo siano da disprezzare. Chi crede in Gesù e nel suo vangelo si rende conto che, se questi valori non sono illuminati dalla fede, perdono le loro radici e la loro autenticità, e finiscono per rivelarsi un’insidia mortale. Chi è radicato in Cristo si interroga con passione: «A che serve guadagnare il mondo intero, se poi perdo la mia vita?». Ai suoi occhi, solo la fede in Gesù Cristo e nella sua Parola è esperienza globale di verità. Solo alla luce della fede i valori terreni trovano la loro esatta posizione.

Torno a insistere sulla globalità di questa esperienza di conversione e di fede. Essa non consente compromessi. O tutto, o niente.

Viceversa, noi sperimentiamo sempre la tendenza a riservarci qualche angolino tutto per noi. Lì abbiamo paura che entri Dio; lì non vogliamo convertirci.

Così molte volte andiamo alla ricerca di altre rocce…, che però poi si sgretolano, e franano come sabbia. Perdiamo la radice, e così perdiamo tutto.

3. Per la preghiera e per la vita

Siamo andati al testo, l’abbiamo letto e meditato.

Adesso – sono questi gli ultimi due gradini della lectio – ritorniamo al nostro oggi. E’ il secondo grande movimento della lectio, il «viaggio di ritorno» nella preghiera< /em> e nella vita.

Per la conversione della vita suggerisco alcune domande, che potremmo formulare in questi termini:

le opere della mia vita sono coerenti con le parole di Gesù, in cui credo?

Quali scelte della mia vita non sono coerenti con le parole di Gesù, e – viceversa – quali parole di Gesù restano in me inoperanti, a causa del mio scarso impegno?

Qual è l’angolo buio della mia vita, quell’elemento che frena la coerenza delle mie azioni con la Parola del Signore?

Detto in altri termini, che cosa devo ancora lasciare, per seguire veramente Gesù?

***

E’ una revisione di vita molto impegnativa, che in ogni caso va condotta in spirito di preghiera, con cuore largo di fiducia nella misericordia di Dio.

La nostra consapevolezza di fede, infatti, ci assicura che senza la grazia di Dio non siamo in grado di rispondere positivamente al Signore.

Potremmo pregare così:

«Tu solo, Signore Gesù Cristo, sei la roccia della mia vita.

Senza di te, nulla ha più senso,

tutto frana e si dissolve.

Fa’ che io mi orienti più decisamente a te.

Donami la grazia della conversione

e il coraggio della coerenza in tutte le scelte della vita.

Solo allora ritroverò pienamente me stesso,

anche nelle mie relazioni con gli altri.

Talvolta ho paura di farti entrare

negli angoli più segreti e bui del mio cuore.

Illuminami con la luce della tua grazia,

insegnami a pregare, a lodarti, a parlare con te,

perché io possa magnificare per sempre

la grandezza del tuo amore.

Amen!».

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ZENIT Staff

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