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Una fede sostenuta dai fratelli
La nostra fede è ben radicata, fondata, salda, se accolta e vissuta come relazione personale con Cristo Gesù. È lui la radice, il fondamento, la solidità della nostra vita. In questi giorni abbiamo avuto modo di riflettere sulle condizioni che ci permettono di coltivare, tenere viva, far crescere la relazione di fede e di amore con il Signore Gesù. E non c’è dubbio che soprattutto la Chiesa ci offre tutte le possibilità per incontrarlo e mantenere viva e salda la nostra fede. La Chiesa, infatti, mette a disposizione instancabilmente e senza limiti il tesoro della Parola di Dio e dei sacramenti, in primo luogo l’Eucaristia, dopo quello del Battesimo, che sta alla base dell’edificio cristiano.
Dobbiamo aggiungere che la Chiesa ci sostiene nella fede in quanto comunità di fratelli. Il nostro essere Chiesa è fatto dalla convocazione e dall’appartenenza di tanti che vivendo da fratelli si aiutano gli uni gli altri come in una famiglia, la famiglia di Dio. Il Papa Benedetto XVI cita nel suo Messaggio per questa Giornata Mondiale una felice espressione del Catechismo degli adulti: «Ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri» (n. 166).
Tra i fratelli nella fede vige uno scambio vitale che sostiene a vicenda e fa crescere. Da soli non potremmo andare avanti, non solo nelle circostanze ordinarie della vita terrena, ma anche nel cammino di una fede creduta e vissuta; la grazia di Dio passa attraverso molti segni, tra i quali si colloca anche quello che con una analogia potremmo chiamare il sacramento del fratello. E la ragione è presto detta: il fratello porta in sé quella grazia ricevuta e accolta con la fede e i sacramenti della Chiesa che rende santi, cioè partecipi della santità e della vita stessa di Dio. Allora è Dio, con la sua grazia e la sua santità, a sostenerci a vicenda nei fratelli. Bisogna, certo, fare i conti con la nostra fragilità, che tante volte ostacola e allenta la disponibilità e l’accoglienza nei confronti dei doni di Dio; in ogni caso avviene, però, un passaggio e una trasmissione di grazia attraverso la fraternità cristiana. Anche questa è comunione dei santi, dopo quella nelle “cose sante” e nei santi che sono già nella gloria di Dio.
Il sostegno fraterno così inteso appartiene alla dimensione costitutiva della fede. Questa, infatti, comporta per sua natura una uscita da se stessi per andare incontro al Signore. La fede è, in un certo senso, una consegna della propria vita al Signore, che ha donato la sua vita per noi fino a consumarla sulla croce e darle espansione definitiva e universale con la risurrezione. Il credente entra in una relazione d’amore con il Signore tale da portarlo a pensare e sentire con gli stessi pensieri e sentimenti di Cristo Gesù. San Paolo ha dato una formulazione insuperabile pienamente adeguata a tale esperienza di comunione con Gesù: «e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).
Questo medesimo sentire con Cristo si manifesta in maniera singolare nel sostegno fraterno e costituisce la condizione indispensabile di ogni coscienza e azione missionaria. Come potremo avere a cuore i lontani se trascuriamo i vicini? Come potremo contribuire a suscitare la fede in coloro che non conoscono bene Cristo, se non siamo capaci di edificarci a vicenda nella fede con coloro che già la condividono e fanno parte della nostra stessa comunità?
Gli stessi sentimenti di Cristo Gesù
Vivere per Gesù e con Gesù è il punto di convergenza e di tensione di ogni cammino di fede, fino a far desiderare di avere «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5) e a distinguersi da quelli che «cercano i propri interessi, non quelli di Cristo» (ib., 21). Gesù si è disposto a tutto pur di conquistare il maggior numero di fratelli. Egli non ha esitato ad andare incontro all’umanità e a caricarsi della umiliazione della morte in croce (cf. ib., 6-11). A imitazione e nella sequela di lui, san Paolo scrive: «pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (1Cor 9,19); e conclude: «tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (ib., 23).
Gesù, dunque, «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7) e tenne aperto il suo cuore verso tutti, mandando in missione i suoi discepoli a due a due conferendo ad essi il potere della parola e della liberazione dal male (cf. Mt 11,21-24; Lc 10,1-16), e infine pregando per coloro che ancora non credono («Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola», Gv 17,20). Da parte sua, san Paolo considera tutto spazzatura a confronto di Cristo («Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo», Fil 3,8), e vede messa in pericolo la sua partecipazione al Vangelo se non si adopera in tutti i modi per guadagnare ogni fratello che può raggiungere.
Qui cogliamo la radice e la dinamica della missione: condividere la medesima passione di Gesù, Verbo incarnato, per la salvezza del mondo, per guadagnare a lui ogni fratello che incontriamo. Non è un dovere estrinseco che si aggiunge ad una fede privata o ad una vita cristiana compiaciuta di se stessa. È una esigenza profonda che abita ogni autentica esperienza di fede in Cristo. Se sono cristiano non posso fare a meno di preoccuparmi della fede e della salvezza degli altri. Questo è il desiderio del cuore di Cristo, e con il suo cuore noi pure sentiamo la pena e la sofferenza per chi rischia di rimanere all’oscuro o di perdersi. La missione nasce dalla comunione profonda che la fede instaura con il Signore e con la sua passione per la salvezza dei nostri fratelli.
La Chiesa vive profondamente di questa condivisione missionaria. Essa si lascia continuamente coinvolgere nel movimento “missionario” che nasce dal Padre e si compie nel Figlio Gesù; in quanto corpo del Risorto, essa si rende segno e strumento dell’azione e della presenza dello stesso Gesù vivente. Resi sensibili per grazia, avvertiamo su di noi la sofferenza di chi è piagato nel corpo o nello spirito. La fede ci apre alla presenza di Dio per Cristo nello Spirito, ma ci rende nello stesso tempo solidali con l’umanità intera a partire dai fratelli vicini, dal prossimo che attende risposte e sostegno. È per questo che nelle apparizioni il Risorto unisce, all’invito all’incontro con lui e al riconoscimento di lui per una rinnovata e definitiva piena comunione, il mandato missionario: «andate» (Mc 16,7.15; Mt 28,7.10.19).
La testimonianza, via della missione
La missione si compie con la vita e trova espressione nella parola: la forma propria della missione cristiana è la testimonianza. Essa riceve forza da un mandato dall’alto, è un impegno sostanziato di grazia fin dal suo sorgere; ma non per questo si riduce a una sorta di prestazione professionale, per quanto richieda competenza e percorsi adeguati. Essa scaturisce sempre da un cuore che vibra in sintonia con il cuore di Gesù, con l’amore universale di Dio. È opera della generosità della fede, espressione della gratitudine illimitata che sgorga dalla coscienza della grandezza del dono della fede. È espressione di una fede gioiosa e così intensa da non poter essere trattenuta per se stessi soltanto, pena il suo impoverimento e la sua perdita. La generosità nel dare a cui invita san Paolo evocando Gesù negli Atti («Si è più beati nel dare che nel ricevere», At 20,35) e poi nelle sue lettere («Dio ama chi dona
con gioia», 2Cor 9,7) va riferita ai beni materiali da elargire a chi è nel bisogno, ma si applica non meno appropriatamente al bisogno di fede, di senso, di amore di chi è in difficoltà nel proprio cammino di fede o è del tutto lontano da esso. La testimonianza è l’irradiazione e l’espansione di una fede qualitativamente viva e solida.
Il punto discriminante è questa capacità di sentire con Gesù e con i fratelli, una capacità così scarsa e insidiata al giorno d’oggi. Di fatto l’individualismo esasperato che fa rinchiudere a riccio ciascuno in se stesso, nei propri interessi e piaceri, inquina anche la coscienza e la vita di tanti cristiani. Se a ciò si aggiunge la fuga da ogni sguardo sul passato e sul futuro che fa ripiegare sull’attimo presente nell’oblio di ogni difficile domanda e nella rimozione di ogni problema – che riguardi sé o altri non importa – il quadro che si delinea è desolante, poiché rivela un drammatico impoverimento del senso della fede e una conseguente perdita di ogni senso di solidarietà.
La missione ai giovani
C’è una sfida propria di questo tempo da raccogliere da parte di voi giovani. E per farlo c’è bisogno di comprensione della condizione giovanile, poiché la missione cristiana ha bisogno di rimanere fedele a se stessa e al Signore da cui origina ed è ultimamente guidata, ma richiede anche la capacità di discernere nel destinatario le dimensioni e le forme dell’attesa di Cristo e del suo Vangelo. In questo sta un presupposto fondamentale della missione e della testimonianza cristiana: noi non siamo detentori di qualcosa di esclusivo ed estraneo a chiunque altro. In un modo che non sempre ci è dato di scrutare, ogni persona che incontriamo porta in sé un proprio misterioso cammino con Dio; quanto meno in questo senso: che nel suo cuore è all’opera lo Spirito di Dio, la sua grazia trasformante, la presenza del Risorto, il richiamo del Padre. Andiamo sempre, dunque, in missione, o più semplicemente viviamo la missione là dove siamo, con la coscienza di essere strumenti e accompagnatori di un’opera che ci supera anche se si serve di noi. Anche in questo senso dobbiamo sentirci «servi inutili» (Lc 17,10): servi perché chiamati e mandati, ma inutili perché è lui, colui che ci ha chiamati e mandati, ad agire e a condurre a compimento l’opera; l’importante è compiere tutto «quanto dovevamo fare».
Con questa coscienza ci accostiamo al mondo giovanile, al vostro mondo, che costituisce una frontiera nevralgica per la missione cristiana oggi, poiché coglie la nostra società sul crinale decisivo della sua evoluzione. Nel dipingerlo è facile cadere nei luoghi comuni e nelle approssimazioni. Quando se ne parla si oscilla tra la retorica giovanilistica che sa dire solo quanto siete bravi (ma spesso si tratta solo di un espediente degli adulti per evitare che si porti l’attenzione sulle loro responsabilità) e, dall’altro lato, il pessimismo più nero circa il destino di tutta una generazione considerata condannata senza rimedio al fallimento. La realtà è molto più complessa di tali rappresentazioni semplicistiche e conosce un po’ di tutto, dal degrado all’eccellenza, con nel mezzo la mediocrità, l’ignavia e, molto di più, la fatica ordinaria e onesta di tanti tesa ad affrontare fatica e ostacoli di ogni genere. Non ultimo, le nuove generazioni subiscono il condizionamento o, semplicemente, respirano una cultura diffusa impregnata di tutto ciò che vanifica ogni forma di impegno con un gioco al ribasso che idolatra e persegue il consumo e l’evasione deresponsabilizzate, una subcultura impregnata di cinismo distruttivo e autodistruttivo. Da non pochi osservatori si rileva, soprattutto, che i giovani sono le prime vittime del nichilismo, questa malattia dello spirito del nostro tempo che – non ce lo nascondiamo – conosce cause e fattori degenerativi oggettivi che incidono sulla condizione giovanile, quali la crisi economica, la mancanza di prospettive future, il prolungato parcheggio in condizioni di non adeguata valorizzazione delle sue risorse con percorsi di studio spesso lunghi e ripetitivi, la difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, la lentezza nel ricambio di ruoli e responsabilità sia nell’ambito pubblico che privato, in un sistema sociale di gerontocrazia che spesso mortifica e non riesce ad avvalersi di energie nuove; non dobbiamo ignorare, però, le radici ideologiche del nichilismo che propugnano una visione dell’uomo e della realtà priva di orizzonti ultramondani, o anche semplicemente aperti al futuro; una visione che affida all’uomo, spesso ridotto ad un individuo isolato e abbandonato a se stesso, un potere illimitato grazie all’illusione di onnipotenza alimentato dagli sviluppi della tecnica e della scienza.
A volte ho l’impressione che molti giovani, per responsabilità degli adulti e per condizionamenti sociali, ma anche per responsabilità proprie, dilapidano le loro energie migliori (privandone anche la società), per incapacità o impossibilità di investirle, nel vuoto dell’inedia o di un agire dissennato e distruttivo per altri e per se stessi. C’è una chiamata, che ultimamente viene da Dio creatore, a investire e far fruttificare le capacità e i beni di cui disponiamo. Per quanto dipende da voi giovani, non mettere a frutto le risorse e le potenzialità della vostra età diventa presto un peccato dinanzi a Dio e un delitto nei confronti della società intera. Sta qui la prima testimonianza da rendere, il primo segno del vostro essere cristiani, la prima espressione del vostro desiderio di bene per i vostri coetanei e per la vostra generazione. Mettere a frutto ciò che siete e ciò che avete per un progetto di vita e di società: non è questo che il Signore vi chiede oggi? O pensate forse che la fede si possa ridurre a qualche preghierina e a qualche canzonetta in bella compagnia? La fede sfida la vita e chiede di diventare scelta operosa e impegno concreto. La vita deve essere trasformata dall’Eucaristia così che la celebrazione possa diventare vera per la potenza dello Spirito che agisce in essa e la conseguente assunzione dell’esistenza secondo un orientamento profondamente rinnovato.
La croce e la testimonianza
Ma questa testimonianza, che scaturisce da una Eucaristia che innerva l’esistenza personale e sociale, ha bisogno di contenere una dimensione, che ha sempre un valore essenziale per la fede cristiana e risulta anche profondamente attuale per la condizione giovanile. Nel suo Messaggio a voi indirizzato, papa Benedetto XVI scrive: «Nella storia della Chiesa, i santi e i martiri hanno attinto dalla Croce gloriosa di Cristo la forza per essere fedeli a Dio fino al dono di se stessi; nella fede hanno trovato la forza per vincere le proprie debolezze e superare ogni avversità». Senza il passaggio della fatica e del sacrificio, non c’è possibilità di futuro umano e non c’è autenticità di fede e di esistenza cristiana. Abbiamo bisogno di rompere il paradigma in cui ci stiamo lasciando imprigionare; quello secondo cui la vita è fatta solo per essere consumata e goduta, possibilmente senza costi (anche se poi non si capisce o non si pensa che qualcuno dovrà pagarne il prezzo, poiché un prezzo, ciò che usiamo e consumiamo, ce l’ha sempre).
La missione giovani – ma la stessa vale per gli adulti, e a volte direi anche prima e di più – deve cominciare da questo nuovo approccio cristiano alla vita personale e sociale. Un approccio che non disdegna la fatica e il sacrificio per realizzare qualcosa di buono, un approccio che ha fiducia e, anzi, sperimenta che nel dono di sé c’è la fonte della gioia (e possiamo citare ancora il detto paolino di At 20,35: «Si è più beati nel dare che nel ricevere»: dare a Dio e agli altri con il dono di sé e con l’offerta della testimonianza personale). Qui si gioca la sfida più grande per le nuove generazioni, ovvero l’apprendistato della libertà. Perciò il Papa ci ha detto ieri nel suo discorso durante la liturgi
a della Parola: «Edificando sulla ferma roccia, non solamente la vostra vita sarà solida e stabile, ma contribuirà a proiettare la luce di Cristo sui vostri coetanei e su tutta l’umanità, mostrando un’alternativa valida a tanti che si sono lasciati andare nella vita, perché le fondamenta della propria esistenza erano inconsistenti. A tanti che si accontentano di seguire le correnti di moda, si rifugiano nell’interesse immediato, dimenticando la giustizia vera, o si rifugiano nelle proprie opinioni invece di cercare la verità senza aggettivi».
C’è un posto per la parola nella testimonianza cristiana, ma essa annuncia Cristo svelando il senso dell’impegno di vita che la grazia del Signore rende possibile. Una parola dissociata sistematicamente dalla vita ha scarse possibilità di farsi intendere ed essere accolta. I vostri coetanei, ma anche tutti i nostri contemporanei, hanno bisogno di vedere in qualche modo cominciare a realizzarsi ciò che noi annunciamo. Essi hanno bisogno di vedere la speranza di futuro e di vita buona che è contenuta nelle vostre persone e nelle vostre esistenze. Abbiamo tutti bisogno di nuovi stili di vita, di nuove relazioni, di solidarietà capace di far nascere progetti e fermenti di società rinnovata dalla speranza e dall’amore cristiano.
Concludo con le parola del Papa, che proprio in merito a questo aspetto nel suo Messaggio vi scrive: «la vittoria che nasce dalla fede è quella dell’amore. Quanti cristiani sono stati e sono una testimonianza vivente della forza della fede che si esprime nella carità: sono stati artigiani di pace, promotori di giustizia, animatori di un mondo più umano, un mondo secondo Dio; si sono impegnati nei vari ambiti della vita sociale, con competenza e professionalità, contribuendo efficacemente al bene di tutti. La carità che scaturisce dalla fede li ha condotti ad una testimonianza molto concreta, negli atti e nelle parole: Cristo non è un bene solo per noi stessi, è il bene più prezioso che abbiamo da condividere con gli altri».
In questi giorni stiamo riscoprendo che la fede è necessaria per vivere, che abbiamo bisogno della fede per vivere; senza di essa non riusciamo a decifrare il mistero dell’esistenza e orientare la vita, perché solo essa ha il potere di risvegliare le nostre energie sopite, dilapidate o sprecate senza senso.
Non torneremo gli stessi a casa dopo questa giornata; queste parole ci toccano e ci stanno già cambiando, perché ci rendono missionari coraggiosi e testimoni convincenti di Cristo Gesù.
Madrid, Chiesa di San Juan de la Cruz, venerdì 19 agosto 2011