Continua l'emergenza umanitaria nel Corno d'Africa

Ogni 11 settimane muore il 10% della popolazione somala sotto i 5 anni

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di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 23 agosto 2011 (ZENIT.org).- A poco più di un mese dal drammatico appello lanciato domenica 17 luglio da Benedetto XVI in occasione della preghiera dell’Angelus, continua la catastrofe umanitaria nel Corno d’Africa, in particolare nella già martoriata Somalia. Dopo il Bakool Meridionale e la Bassa Shabelle nel luglio scorso, la soglia della carestia è stata superata agli inizi di questo mese anche in altre tre regioni della Somalia, cioè la Media Shabelle (specialmente i distretti di Balcad e Cadale), quella di Barandor, la quale comprende l’area della capitale Mogadiscio, e il cosiddetto corridoio di Afgoye.

E tutto indica che le cose non cambieranno presto. “Non commettiamo l’errore di credere che il peggio sia passato”, ha avvertito a Ginevra il portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Adrian Edwards (Agencia EFE, 12 agosto). “La situazione non migliorerà almeno fino a gennaio”, ha ribadito a sua volta la coordinatrice degli interventi umanitari della Fondazione Cooperazione Internazionale (COOPI) in Somalia, Gemma Sammartin (la Repubblica.it, 4 agosto).

L’emergenza si allarga anche nel nord della Somalia, in particolare nel Puntland, cioè la regione semi-autonoma che forma la punta estrema dell’Africa orientale. “Le popolazioni hanno perso l’85% del bestiame per la siccità e la percentuale di malnutrizione acuta ha raggiunto il 25% nei campi profughi di Bosaso e il 23,6% nella regione di Karkar”, ha dichiarato Daniele Timarco, di Save the Children Italia.

Secondo i dati del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, UNICEF, disponibili sul sito dell’organismo (www.unicef.it, 17 agosto), sono almeno 12,4 milioni le persone che nei quattro Paesi colpiti dalla siccità hanno “immediato, urgente bisogno di aiuto umanitario”. Le stime parlano infatti di 4,8 milioni di persone nell’est dell’Etiopia, 3,7 milioni in Somalia (dei quali 2,8 milioni nel sud del Paese), altri 3,7 milioni nel nordest del Kenya e infine 165.000 nel piccolo Gibuti.

Sempre secondo l’UNICEF, nella sola Somalia 1,85 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza e più di 780.000 risultano malnutriti, dei quali 640.000 nelle zone meridionali. Di quest’ultimo gruppo, 310.000 bambini – ovvero quasi la metà – soffrono di malnutrizione acuta grave. In tutto il Corno d’Africa, 600.000 bambini sono in immediato pericolo di vita, in quanto affetti da malnutrizione grave. “Si calcola – così si legge nel Situation Report di Caritas Somalia, inviato all’agenzia Fides (20 agosto) – che ogni 11 settimane muore il dieci per cento della popolazione somala sotto i 5 anni”.

Continua nel frattempo l’esodo degli sfollati. I dati dell’UNHCR, che la settimana scorsa ha lanciato un nuovo portale web per l’emergenza nel Corno d’Africa [1], fanno impressione. Basta pensare alla situazione in Dadaab, la polverosa città nel nordest del Kenya, che accoglie attualmente il più grande complesso di campi profughi. Secondo le stime dell’agenzia ONU, i vari campi di Dadaab – Ifo, Dagahaley e Hagadera, più la cosiddetta “Extension Ifo”, con i settori Ifo 2 e Ifo 3 – accolgono circa 440.000 rifugiati somali, una cifra che supera il numero di abitanti di città italiane come Bari (320.000). Fuggendo dalla carestia, la siccità e la violenza nel loro Paese, già oltre 140.000 somali hanno raggiunto quest’anno il Kenya, di cui 70.000 nei mesi di giugno e di luglio (www.unhcr.it, 19 agosto).

Il costante afflusso di profughi pone le organizzazione umanitarie davanti ad un compito immenso. La situazione igienica e sanitaria nei sovraffollati campi è spesso proprio ai limiti, con tutte le conseguenze, come dimostra l’insorgere di malattie come la colera, il morbillo e la pertosse. Nel complesso di campi di Dollo Ado, in Etiopia, sono stati registrati secondo l’UNHCR ad esempio 166 casi di sospetto di morbillo e 15 decessi legati alla malattia infettiva.

Per far fronte a questa ennesima emergenza, le agenzie internazionali hanno lanciato una serie di programmi di vaccinazione di massa. Proprio nel complesso di Dollo Ado si è conclusa la settimana scorsa nel campo di Kobe una prima campagna di immunizzazione contro il morbillo di tutti i bambini della fascia di età compresa dai 6 mesi ai 15 anni ed è stata avviata una seconda nel sito di Melkadida, che con i suoi 40.000 profughi è il più grande dell’Etiopia.

Un’altra sfida per gli operatori umanitari è la continua violenza. Venerdì 5 agosto, una sparatoria avvenuta durante la distribuzione di cibo nel più grande campo profughi della capitale somala Mogadiscio, Badbado, ha provocato una decina di vittime. Secondo alcuni testimoni, la violenza è scoppiata quando soldati governativi o miliziani vicini al debole governo di transizione hanno cercato di rubare una parte delle quasi 300 tonnellate di aiuti del Programma Alimentare Mondiale (WFP). Il primo ministro somalo, Abdiweli Mohamed Ali, ha visitato il sito e si è dichiarato “profondamente dispiaciuto” (guardian.co.uk, 5 agosto).

Violenza ed abusi colpiscono anche i profughi somali che dopo aver camminato per interi giorni e notti riescono a raggiungere i campi in Kenya o in Etiopia. Un nuovo rapporto di Human Rights Watch (HRW), reso pubblico questo mese sotto il titolo “‘You Don’t Know Who to Blame’. War Crimes in Somalia” [2], denuncia ad esempio anche gli abusi dei diritti umani commessi da parte delle truppe dell’AMISOM (la missione dell’Unione Africana in Somalia) e della polizia keniana. Non mancano infatti le notizie di donne somale stuprate a Dadaab o dintorni da poliziotti keniani.

Un capitolo a parte sono i combattenti del movimento islamico estremista al-Shabab, che si sono ritirati da Mogadiscio, permettendo alle truppe governative di espandere il controllo su tutta la capitale, che secondo le stime accoglie circa 475.000 sfollati interni, di cui 100.000 sono arrivati negli ultimi mesi. “Mi chiedo se quella degli Shabab sia una ritirata strategica per far confluire a Mogadiscio gli aiuti umanitari per poi di colpo ritornare e prenderne una parte, oppure la loro dirigenza ha avvertito la fortissima pressione internazionale (…) ed ha quindi deciso di lasciare temporaneamente la scena della capitale somala”, ha detto a Fides (8 agosto) monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti ed amministratore apostolico di Mogadiscio.

L’ONG statunitense International Christian Concern (ICC), che denuncia la persecuzione dei cristiani nel mondo, accusa d’altronde i miliziani di al-Shabab di negare deliberatamente ai cristiani che vivono nei territori controllati da loro l’accesso agli aiuti o la possibilità di fuggire in zone sotto controllo governativo, una mossa che fa parte di una strategia per sradicare il cristianesimo dalla Somalia. “Qualsiasi somalo sospettato di essere un cristiano o un amico di un cristiano, non riceve alcun aiuto alimentare”, ha affermato il capo di una chiesa clandestina (ICC, 15 agosto). Secondo fonti locali, sono almeno 18 i cristiani morti per stenti nelle città di Afgoye, Baidawa e Kismayo, dopo essere stati esclusi dagli aiuti umanitari.

Come risaputo, gli al-Shabab, che nell’estate scorsa hanno messo al bando tre agenzie umanitarie cristiane accusandole di essere missionarie, si sono sempre mostrati molto feroci nei confronti dei cristiani. Basta ricordare le sconvolgenti immagini dello sgozzamento nel 2008 di un convertito al cristianesimo, il venticinquenne Mansur Mohammed, da parte dei miliziani islamici.

Nel frattempo, la comunità cristiana internazionale continua a fianco delle altre agenzie umanitarie il suo impegno a favore delle popolazioni colpite. Mentre Caritas Somalia sta coordinando gli aiuti provenienti dalle altre Caritas nel mondo, l’organizzazione cattolica irlandese Trócaire assiste ad esempio circa 220.000 persone nel centrosud della Somalia (Fides, 20 agosto). Da parte loro, i vescovi cattolici del Kenya hanno lanciato nelle scorse settimane un fondo di
emergenza – il Catholic Charity Emergency Fund – e hanno rivolto un appello per una sottoscrizione a favore dell’iniziativa caritativa (Fides, 4 agosto).

A nome di Papa Benedetto XVI, il Pontificio Consiglio Cor Unum ha mandato un “sostanzioso aiuto” a 5 diocesi del Kenya e a 6 diocesi dell’Etiopia, che “stanno affrontando l’emergenza umanitaria con i pochi mezzi che hanno a disposizione”. Lo ha dichiarato il segretario del dicastero, monsignor Giampietro Dal Toso, in un’intervista alla Radio Vaticana (12 agosto). “La presenza della comunità internazionale è garantita, ma, lo ripeto mi sembra che l’attenzione debba essere tenuta desta, perché attualmente è la crisi finanziaria a occupare la maggior parte dell’informazione. Ma in questi Paesi, e in tanti altri nel mondo, c’è gente che muore di fame e nel terzo millennio è inammissibile”, ha ricordato il presule.

[1] http://data.unhcr.org/horn-of-africa/

[2] http://www.hrw.org/sites/default/files/reports/somalia0811webwcover.pdf

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ZENIT Staff

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