Gesù non è la fine, ma è “il fine”

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ROMA, sabato, 23 aprile 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata in occasione del Venerdì Santo dal Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova.

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Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore

Riascoltiamo le parole del Profeta Isaia: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere (…) Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (…) Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità (…) per le sue piaghe noi siamo stati guariti”.

Tutto sembra congiurare perché l’ uomo si allontani da Te, Signore della Croce. Neppure la bellezza del viso Ti hanno lasciata: al suo posto hanno messo l’ orrore della violenza e dell’accanimento; hanno disegnato il volto della sconfitta, di un sogno schiacciato sotto i piedi del mondo, e così doveva apparire fino alla fine dei tempi. Hanno chiesto a Erode di cambiare la scritta piantata sul legno; ma, in realtà, forse avrebbero voluto scrivere una sola parola: fine! Sì, finalmente il caso Gesù era chiuso, il suo messaggio, troppo diverso da quello che essi volevano, era stato zittito per sempre… i seguaci – povera gente credulona – dispersi. Tutto è concluso, finito.

Sotto la croce oggi siamo noi, nel cuore della Settimana Santa, e tocca a noi scrivere la parola che spiega quell’uomo martoriato e irriconoscibile. Nessuna autorità può imporci una parola diversa da quella che abbiamo nel cuore ma che oggi non possiamo tenere segreta. Quale sarà questa parola che dovremmo scrivere con il sangue dell’anima perché non sbiadisca mai nel correre dei giorni e degli eventi?

Allunghiamo l’ orecchio, e dalle tue labbra tumefatte odiamo, insieme allo spirito che consegni al Padre, una breve parola che è simile a quella che vorrebbero scrivere come una sentenza inappellabile: Gesù non è la fine, ma è “il fine”. Proprio perché Tu sei il Figlio di Dio sei il fine della nostra esistenza, il fine delle nostre croci, il fine della nostra sete di bellezza e di amore, della nostra fame di vita e di eternità. Sei il fine di tutto ciò che di buono e di grande vi è nel cuore della terra, il punto conclusivo verso cui viaggia questo universo, così splendido ma così tormentato e incerto. Loro non lo sapevano – non potevano – ma Ti hanno issato sulla croce e posto così, come un grumo di sangue, fra la terra e il cielo per indicare a tutti che sei la via per il cielo, la verità del cielo, la vita che è il cielo. Guardiamo a Te e scopriamo ancora una volta la bellezza incomparabile e unica del cristianesimo: è Dio che ama l’ uomo fino alla follia della croce. Nient’ altro. Non c’è novità simile nella storia del mondo: sapersi cercati da Dio e amati fino a questo punto – fino alla fine – significa che tutto cambia nella storia; significa essere trasformati dal di dentro, valutare le cose nella luce del fine vero, della meta alta e definitiva, significa diventare dei lottatori di Dio perché da quel petto squarciato continua a fluire la forza dello Spirito che rinnova ogni cosa. Aiutaci, Gesù benedetto, a scrivere quella piccola parola sul tuo legno e a non dimenticarla mai, a non diventare mai insensibili al tuo amore.

“Adoramus Te Christe et benedicimus Tibi, quia per sanctam crucem tua redemisti mundum”

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ZENIT Staff

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