Giovani spagnoli, religiosità e sette

In che cosa credono i giovani del XXI secolo?

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di Luis Santamaría del Río

MADRID, venerdì, 22 aprile 2011 (ZENIT.org).- In vista della prossima Giornata mondiale della gioventù, Madrid 2011, inauguriamo una nuova serie di articoli di ZENIT, con cadenza quindicinale, in cui un gruppo di esperti analizzerà le credenze religiose dei giovani di oggi. La serie è diretta da Luis Santamaría del Río, sacerdote esperto nelle nuove religiosità e membro fondatore della Red Iberoamericana de Estudio de las Sectas (RIES).

Ci auguriamo che questa nuova rubrica possa contribuire alla comprensione del mondo religioso giovanile, con particolare attenzione alla Spagna, a sostegno degli operatori della pastorale e degli educatori.

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Lo scorso mese di marzo, il Centro de Investigaciones Sociológicas ha rivelato che durante il primo trimestre del 2011, l’indice di frequenza alla messa domenicale e agli altri atti di culto in Spagna è aumentato del 2,7%, anche se il dato statistico appare ambiguo in quanto nello stesso periodo è diminuito dell’1,1% il numero degli spagnoli che si considerano cattolici (il 74,8%).

Guardando ad altri studi demografici risulta che solo il 54,4% degli spagnoli si considera “una persona religiosa” rispetto alla media europea del 67,8%, secondo lo European Values Study del 2008. E se si sommano le persone che dicono di essere molto interessate o un po’ interessate agli aspetti spirituali – intesi genericamente – si arriva alla metà della società spagnola: il 49,8%.

Tutti questi dati ci possono essere utili per darci un’idea della “temperatura spirituale” in Spagna secondo la sociologia e del terreno fertile che può essere sfruttato dai fenomeni delle sette e della nuova religiosità.

Ma vorrei analizzare, concretamente, i numeri relativi a questi giovani. Per questo mi servirò dell’ultimo studio pubblicato in Spagna su questo segmento della popolazione: il rapporto della Fundación Santa María “Jóvenes españoles 2010”.

Secondo il capitolo dedicato alla religione, elaborato da Mayte Valls, “la religione continua ad occupare uno degli ultimi posti nella scala di valori delle cose più importanti per i giovani” tra i 15 e i 24 anni. È indubbio che la socializzazione religiosa è minore e che Dio è il grande assente nelle famiglie spagnole, in un momento segnato da stili di vita consumistici ed edonistici, incentrati sul piacere. “In questo contesto è difficile che sorga tra i giovani l’interesse per ciò che è religioso”, che però si mantiene stabile come riferimento simbolico.

Lo studio rivela che il 53,3% dei giovani si definiscono cattolici, rispetto al 16% di indifferenti, il 9,3% di agnostici, il 17,1% di atei e il 2% di credenti di altra religione. Inoltre, tra i credenti vi sarà una grossa percentuale di giovani che non si identificano nell’istituzione ecclesiastica, nelle pratiche religiose e nella morale cattolica.

Inoltre osserviamo che è aumentato il numero di giovani che non appartiene ad alcuna associazione (81%) e che solo il 2,4% partecipa ad associazioni benefiche e l’1,6% a gruppi religiosi. Non è un caso che l’associazionismo sia più frequente tra i giovani più religiosi.

Ancora più interessante è il capitolo sulle credenze, dove troviamo che il 19,8% dei giovani spagnoli crede nella reincarnazione, superando il 18,8% di quelli che credono nella resurrezione dei morti. Lo studio segnala che sono in aumento sia la religiosità cattolica “à la carte”, sia quelle che i sociologi denominano “religioni civili” (l’ecologismo, lo sport, il culto del corpo, ecc.).

Un altro dato importante di cui tenere conto è il concetto di Dio, che può essere aperto, e molto, alle proposte delle nuove spiritualità. Queste sono le definizioni dell’Essere supremo che vengono condivise: “ciò che c’è di positivo negli uomini e nelle donne” (32,8%), “qualcosa di superiore che ha creato tutto e da cui tutto dipende” (35,9%) e, soprattutto, “forze ed energie nell’universo che influiscono nella vita” (41,2%). Tutte queste risposte alla domanda su Dio rivelano un’idea molto generica di una divinità impersonale, molto simile a quella delle correnti della New Age.

Selezionando altri dati interessanti, osserviamo che il 69,5% dei giovani crede che è possibile vivere la fede “individualmente, senza condividerla con una comunità di credenti” e il 50,1% sostiene che “è una questione privata e deve essere vissuta privatamente”. Si tratta di un forte individualismo religioso che, sebbene possa apparire a prima vista come un atteggiamento in grado di immunizzare i giovani contro la importante componente di gruppo delle sette, in realtà li lascia alla mercé delle più diverse correnti spirituali di stampo intimista.

Da ultimo, ritengo fondamentale osservare le cifre relative alla fiducia che questi giovani così poco religiosi (un terzo di loro ritiene che “la credenza in Dio è una superstizione come le altre”) ripongono nel mondo esoterico, fondamentale nella nuova religiosità. Il 34,7% crede che negli oroscopi e nell’astrologia “c’è o ci potrebbe essere qualcosa di vero”; il 24,7% pensa lo stesso per le “manzie” (le varie tecniche divinatorie); il 18,7% si fida dei guaritori o dei taumaturghi; e la percentuale più bassa è riservata alla comunicazione con l’aldilà, che convince il 14% dei giovani. I numeri, curiosamente, sono più elevanti tra le donne che tra gli uomini, in tutti questi casi.

Risulta quindi un notevole rafforzamento di queste credenze parareligiose, rispetto ai sondaggi precedenti. Dati che non sono tra loro contraddittori. Come afferma il sociologo Juan González-Anleo, “la diminuzione delle credenze religiose è solitamente accompagnata da un aumento delle superstizioni”. Questo è, in termini molto sintetici ma con dati attuali, il terreno fertile in cui, tra i giovani dell’Occidente – qui esemplificati negli spagnoli tra i 15 e i 24 anni – in tempi di crisi globale, possono attecchire molte delle offerte del mondo delle sette e delle nuove religiosità.

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ZENIT Staff

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