Non si arresta la violenza estremista in Pakistan

La legge antiblasfemia, un alibi contro le minoranze religiose

Share this Entry

di Paul De Maeyer
 

ROMA, martedì, 19 aprile 2011 (ZENIT.org).- In Pakistan, basta la solita voce di una presunta profanazione del Corano o di blasfemia nei confronti del profeta Maometto per suscitare l’ennesima violenza da parte musulmana contro la comunità cristiana. Chi osa alzare la voce e denunciare l’ingiustizia, finisce a sua volta nella mira degli estremisti. Lo confermano purtroppo le notizie giunte dal Paese asiatico nel fine settimana appena trascorso.

Come riportato dall’agenzia Fides (18 aprile), nella città di Gujranwala, a nord del capoluogo della irrequieta provincia del Punjab, Lahore, una folla di musulmani esaltati ha lanciato domenica 17 aprile un assalto contro la United Pentecostal Church ed impedito alla “comunità terrorizzata” di celebrare la Domenica delle Palme. Mentre molti fedeli sono stati percossi e malmenati nell’attacco, che si è concluso – ironia della sorte – con l’arresto di 12 cristiani, l’obiettivo era secondo le fonti di Fides il pastore della chiesa, Eric Issac. La sua colpa: aveva chiesto la liberazione di due cristiani arrestati venerdì 15 aprile nel villaggio cristiano di Aziz Colony (o Azizabad Colony), nei pressi di Gujranwala. Si tratta di Mushtaq Gill, membro della Chiesa presbiteriana e vice preside del Christian Technical Training Center (CTTC) a Gujranwala, e di suo figlio Farrukh Gill, laureato e dipendente della National Bank of Pakistan.

Mentre sabato 16 aprile sono stati segnalati altri incidenti legati alla vicenda, secondo la ricostruzione dei fatti pubblicata lunedì 18 aprile da Compass Direct News il caso dei Gill è scoppiato venerdì dopo la preghiera quando un gruppo di musulmani si è radunato davanti alla casa della famiglia, accusando Farrukh Gill di aver dissacrato il Corano e di blasfemia nei confronti di Maometto. La prova della presunta profanazione erano alcune pagine bruciate di un esemplare del libro sacro dell’islam ed una nota, nella quale lo stesso Farrukh avrebbe comunicato di aver dissacrato la copia. Le carte sarebbero state trovate da un giovane musulmano – guarda caso – di fronte all’abitazione della famiglia cristiana.

La manifestazione davanti a casa Gill ha rischiato di degenerare. L’intervento della polizia, che ha arrestato e posto in custodia “protettiva” i due cristiani, ha evitato il peggio. Come racconta l’Express Tribune (17 aprile), alcuni dei manifestanti hanno cercato anche di appiccare il fuoco all’abitazione. Secondo il quotidiano pachistano, che parla anche di diverse centinaia di famiglie dei villaggi cristiani di Aziz Colony e di Gulzar Colony messe in fuga, le accuse mosse nei confronti di Mushtaq e Farrukh Gill non sono nuove. La storia delle pagine bruciate del Corano, così ribadisce la testata, è emersa già due o tre mesi fa.

Tutto questo fa pensare che si tratti di un caso montato ad arte. Lo stesso ispettore di polizia che sta seguendo la vicenda, Muhammad Nadeem Maalik, ha ammesso che le accuse sono infondate. “Le indagini preliminari dimostrano che il sig. Gill e suo figlio Farrukh sono innocenti”, ha detto a Compass. “Sembra essere uno schema ben congegnato, perché i responsabili hanno scelto l’ora delle preghiere del venerdì per portare a termine il loro piano”, così ha continuato Maalik, che ha spiegato anche di essere sulle tracce di “gelosie o vecchie inimicizie”. Ne è convinto anche il pastore locale, Philip Dutt, che conosce la famiglia da vari anni e vive nello stesso quartiere. “Le accuse sono completamente infondate”, ha sottolineato a sua volta il pastore. “Qualcuno ha chiaramente cospirato contro la famiglia Gill”, così ha ribadito Dutt secondo Compass.

Anche se ritiene che i due siano innocenti, la polizia ha comunque stilato (ma poi posto sotto sigilli) un cosiddetto “First Information Report” o denuncia della violazione della famigerata legge sulla blasfemia, in concreto gli articoli 295-B e 295-C del Codice Penale pachistano. Gli emendamenti al Codice penale introdotti nel 1986 sotto la dittatura del generale Mohammad Zia-ul-Haq (1924-1988) prevedono la pena capitale per i colpevoli di oltraggio nei confronti del Profeta. Secondo le fonti di Compass Direct News, i due membri della famiglia Gill sono poi stati rilasciati dalla polizia, per essere arrestati di nuovo dopo le proteste energiche da parte della comunità musulmana.

Mentre è stata creata una commissione composta da 8 persone (6 musulmani e 2 pastori cristiani) per risolvere la questione, la quale dovrà presentare le sue conclusioni entro venerdì prossimo, la vicenda dimostra nuovamente che nelle mani degli estremisti la legge pachistana sulla blasfemia è una micidiale arma contro le minoranze religiose. “Questo caso è un esempio classico di come cristiani e musulmani continuano ad essere imputati di blasfemia sulla base di accuse false”, così ha detto Sohail Johnson, di Sharing Life Ministry, a Compass.

Per fortuna, questa scellerata strategia non funziona sempre. La polizia pachistana ha rilasciato questo fine settimana (per motivi di sicurezza l’uomo è stato trasferito in un luogo segreto) un altro cristiano, Arif Masih, arrestato il 5 aprile scorso nel villaggio di Chak Jhumra, nella diocesi di Faisalabad. Accusato falsamente di aver strappato pagine del Corano, ad ottenere la sua liberazione è stata l’ormai nota Masihi Foundation, la quale assiste anche Asia Bibi, la prima donna pachistana condannata nel novembre scorso alla pena di morte per presunta blasfemia. Come segnalato dalle fonti, la Masihi Foundation è riuscita a raccogliere 50 “affidavit” (dichiarazioni o testimonianze date sotto giuramento) di persone – in maggioranza fedeli musulmani -, che hanno confermato l’innocenza di Arif. Dietro alla denuncia di blasfemia si celava – con la complicità della polizia locale – la vendetta personale da parte di un musulmano, la cui famiglia aveva perso di recente una battaglia legale per una questione di proprietà terriera contro la famiglia Masih (Compass Direct News, 15 aprile).

Secondo quanto rivelato dal Pakistan Christian Post (19 aprile), a richiamare l’attenzione sulla situazione “critica” dei cristiani in Pakistan è stata l’organizzazione Human Rights Focus Pakistan (HRFP). I casi di blasfemia – ha sottolineato questo gruppo per i diritti umani – non colpiscono solo le persone direttamente imputate, ma anche le loro famiglie, i loro villaggi, anzi l’intera comunità cristiana. Per l’HRFP, le leggi sulla blasfemia sono “totalmente discriminatorie”. Anche se ancora nessun cristiano pachistano è stato messo a morte in nome della normativa, le vittime sono comunque tante, anzi troppe. Inoltre il gruppo ha avvertito che a Gujranwala i fondamentalisti hanno indetto per venerdì 22 aprile una grande manifestazione. C’è da temere che attaccheranno le “colonies” o i villaggi cristiani così come il Christian Technical Training Center (CTTC) di Mushtaq Gill.

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione